Tracciare nuove traiettorie di futuro per il continente africano, capaci di creare sviluppo nelle aree più depresse del pianeta e dare un’alternativa alle popolazioni rispetto alla dolorosa scelta di lasciare le proprie terre e finire spesso preda dei trafficanti di essere umani. E’ l’obiettivo del primo progetto agricolo italiano di filiera nel continente africano, sottoscritto dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini, la più grande organizzazione agricola a livello italiano ed europeo, Claudio Descalzi amministratore delegato dell’Eni, Società integrata nell’energia impegnata nella promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, Federico Vecchioni amministratore delegato Bonifiche Ferraresi (BF) Spa, la più grande azienda agricola italiana e unico gruppo agro industriale quotato in borsa, e CAI, i Consorzi Agrari d’Italia. L’intesa è stata firmata in occasione dell’ultimo Forum internazionale dell’agricoltura di Cernobbio, alla presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Il grande tema dell’approvvigionamento delle materie e delle sue ricadute negli equilibri geopolitici vede oggi Coldiretti protagonista con BF Spa, il primo hub agroindustriale Europeo per le filiere alimentari innovative, ed i Consorzi Agrari che rappresentano la prima rete di servizio agricolo italiana. La più grande infrastruttura per l’agro-tecnologia a vocazione alimentare è dunque oggi strumento per realizzare progetti e investimenti nelle agricolture del pianeta a partire dalle aree meno sviluppate e carenti di risorse alimentari. L’alleanza strategica con Eni si traduce nella più importante operazione di sistema, a trazione tutta italiana, nel cui ambito verranno valutate iniziative di sviluppo sostenibile nel nostro Paese e all’estero.
L’Africa è il continente più giovane del pianeta, ha una crescita demografica esponenziale ed è popolato da 1,2 miliardi di persone, con un’età media di 17 anni. Secondo le stime delle Nazioni Unite, il numero degli abitanti dovrebbe raddoppiare entro il 2050, ponendo l’area al centro dalle discussioni sul futuro e sulla sostenibilità del sistema alimentare. In questo contesto, i grandi temi dello sviluppo dell’immigrazione e della crescita sociale si intrecciano e vedono per la prima volta protagonista un attore italiano capace di accompagnare lo sviluppo agroindustriale del Continente africano, generando un percorso virtuoso e dalle grandi ricadute su aree vocate, ma prive fino ad oggi di opportunità.
La “piattaforma Coldiretti - BF-Cai-Eni” ha identificato un bacino potenziale di intervento su circa 100.000 ettari e sta individuando, con gli attori locali, le filiere più interessanti per le popolazioni ed il mercato interno. L’obiettivo è garantire il fabbisogno alimentare delle comunità locali per contribuire a raggiungere l’obiettivo “fame zero” delle Nazioni Unite entro il 2030. Si punta, in particolare, a realizzare distretti dedicati alle filiere agroindustriali e demofarm in modo da garantire ampie ricadute occupazionali.
La creazione di queste filiere sarà abilitata da un percorso di formazione del personale locale, a frequenza obbligatoria e sostenuto da borse di studio. Generare opportunità di formazione e lavoro consentirà di rafforzare la resilienza delle persone che vivono in Paesi africani colpiti dalla povertà riuscendo a mitigare i fenomeni migratori. Il progetto si rafforzerà se ad attori privati si affiancheranno istituzioni e governo nell’interesse europeo e dell’intera economia mediterranea.
“L’obiettivo è esportare un modello di sviluppo che punti sulla valorizzazione delle realtà locali, sfruttando le potenzialità dell’impresa familiare e sostenendo così i piccoli produttori del Sud del mondo, minacciati dalla distorsione nei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti che favorisce l’accaparramento delle terre e provoca la fuga dalle campagne verso i Paesi più ricchi dove spesso li attendono la sofferenza e l’emarginazione” ha sottolineato il Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.
Quasi l’80% di quanto viene consumato nel mondo viene dalla piccola agricoltura familiare, eppure le famiglie di agricoltori nel Sud del mondo sono quelle più vulnerabili. Da qui l’idea di “esportare” nel territorio africano un modello capace di coniugare diritto al cibo e dignità dell’uomo, in grado di restituire il diritto di produrre, prima di tutto, gli alimenti necessari al proprio sostentamento e poi ad avviare un processo di economia territoriale.
In Italia questo si è dimostrato un sistema vincente, costruito sull’attenzione alle persone, che trova le proprie radici nella storia agricola italiana, consentendo a molti di lavorare nelle campagne, privilegiando le culture locali, salvaguardando le biodiversità ed i territori senza cedere alla grandi produzioni indifferenziate lontane dal nostro Paese.