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Who Took the Burden of Energy Crisis?

In 2022, the European Union experienced the most severe energy crisis in decades. When the EU backed Ukraine against Russia’s invasion, the reduced gas flows towards the EU pushed prices upwards. Therefore, an unexpected surge in electricity, heating and transport fuel prices hit households and businesses. As price spikes spread all over the economy, these effects created an inflationary trend that threatened vulnerable income groups and brought into sharp focus their distributional impacts. The EU promptly created a legislative framework to tackle the crisis. EU Members States (Member States) shortly followed, collectively introducing 657-billion-euros-worth of national temporary measures to reduce the burden of energy prices. Although such measures were similar, their effects were different due to Member States’ social, economic and political contexts.  In a joint study, the Basque Centre of Climate Change (BC3) and the Institute of European Environmental Policy (IEEP) found evidence of the social impacts of the energy crisis across EU Members States.

Su chi è ricaduto il peso della crisi energetica?

Nel 2022, l’Unione Europea ha vissuto la più grave crisi energetica degli ultimi decenni. Il supporto riconosciuto all’Ucraina a fronte dell’invasione russa e la conseguente riduzione dei flussi di gas verso l’UE hanno spinto i prezzi della materia prima a livelli record. Ciò si è tradotto in un aumento inatteso dei prezzi dell’elettricità, dell’energia per uso riscaldamento e dei carburanti per i trasporti che ha interessato famiglie e imprese. Man mano che i prezzi elevati colpivano i diversi settori economici, andava delineandosi una tendenza inflazionistica critica per le classi di reddito vulnerabili, evidenziandone gli impatti distributivi.

Perché non ha senso (per un politico) parlare di “sussidi alle fonti fossili”

I combustibili fossili – petrolio, gas e loro derivati – costano ancora troppo poco per i danni che provocano all’ambiente e alla salute. In altri termini, la loro tassazione – nonostante sia in Italia tra le più alte al mondo, almeno su benzina e gasolio – non copre il costo delle esternalità negative. Questo costo va quindi “internalizzato”. Come? Aumentando le tasse su gas, petrolio e derivati (accise in primis), con l’introduzione di una carbon tax e/o con l’eliminazione di tutti gli “sconti” per particolari usi, settori economici o consumatori finali.

Come cancellare i sussidi ambientalmente dannosi e combattere la disuguaglianza

Di fronte all’avanzata della crisi climatica investire nella transizione ecologica è un imperativo per tutelare il benessere delle società umane, eppure in molti ancora si domandano se la spesa sia sostenibile per le finanze globali. Quello che in genere non sanno è che, ancora oggi, le risorse economiche dirette a favorire l’uso dei combustibili fossili valgono molto di più di quelle investite per abbandonarne l’uso.

Non è semplice tenere il conto, perché non c’è una metodologia univoca e condivisa tra i vari Paesi per stimare questi sussidi. Ma le indicazioni raccolte nel merito, in Italia come a livello internazionale, sono già in grado di delineare il fenomeno nella sua portata.

G20 needs a clearer plan to end fossil fuel subsidies

As G20 leaders head to the Delhi Summit this week, a recent study by the International Institute for Sustainable Development (IISD) and its partners showed that the bloc allocated a record USD 1.4 trillion of public funds to support fossil fuels in 2022. This figure—which includes fossil fuel subsidies (USD 1 trillion), investments by state-owned enterprises (USD 322 billion), and lending from public financial institutions (USD 50 billion)—is a stark reminder of the substantial sums of public money that G20 governments continue to channel into fossil fuels, despite their well-known dangers and the related destructive effects of climate change.

G20: serve un piano più chiaro sulla fine dei sussidi ai combustibili fossili

Mentre i leader del G20 si avviano al Summit di Delhi, uno studio recente dell’International Institute for Sustainable Development (IISD) insieme ad altri istituti di ricerca dimostra come il blocco delle principali economie mondiali abbia allocato una cifra record, pari a 1,4 bilioni di dollari, in fondi pubblici a supporto delle fonti fossili. Questa cifra, la quale include anche i sussidi agli idrocarburi (1 bilione di dollari), investimenti in compagnie di stato (322 miliardi di dollari) e prestiti da parte delle istituzioni finanziarie pubbliche (50 miliardi di dollari), rappresenta un chiaro promemoria della quantità di fondi pubblici che tuttora i governi del G20 continuano a canalizzare verso le fonti fossili, nonostante i riconosciuti pericoli derivanti da questa scelta e gli effetti distruttivi sul cambiamento climatico.

Progress along the lng pathway to marine decarbonisation

All alternative marine fuels exist on a pathway from fossil-fuels (grey) to renewable based synthetic e-fuels (green). For some fuels, this pathway includes a biogenic fuel derived from sustainable feedstocks such as human or agricultural waste, as is the case for bio-LNG or bio-methanol. For others, this biogenic mid-point is unlikely to exist at scale, for instance bio-ammonia.

Il contributo del GNL per la decarbonizzazione del settore marittimo

Tutti i combustibili marittimi alternativi a quelli derivanti dal petrolio rientrano in un processo di evoluzione che va dai prodotti di origine fossile sino agli e-fuels sintetici di origine rinnovabile. Per alcuni di questi, il percorso verso la decarbonizzazione include i biocombustibili, ovvero prodotti di origine biogenica derivati da materie prime sostenibili come i rifiuti umani o scarti agricoli: è il caso del bio-GNL o del bio-metanolo. In altri casi, questo step intermedio è molto difficile che si realizzi su vasta scala, ad esempio per la bio-ammoniaca.

EU ETS esteso al settore shipping: un processo da 14 anni ‘in the making’

Sebbene sia perfettamente in linea con le nuove politiche di sostenibilità portate avanti dalla Commissione europea, l’idea di un’espansione del sistema EU ETS a nuovi settori come quello del trasporto marittimo non è un’idea neonata: le basi per la costruzione di nuovi framework normativi erano già state teorizzate oltre un decennio fa. Già nel 2009, infatti, in Europa era stato adottato il ‘Climate and Energy Package’. In tale pacchetto l’UE esortava apertamente a fissare dei target di riduzione delle emissioni non solo l’UNFCCC (United Nations Framework Coalition fon Climate Change) ma anche, nello specifico per il settore marittimo, l’IMO (International Maritime Organization). Vi era però un monito: qualora entro il 31 dicembre 2011 non fosse stato raggiunto un accordo, le redini sarebbero tornate in mano alla Commissione. Questa avrebbe, dunque, proposto il proprio pacchetto per il monitoraggio delle emissioni del settore marittimo, con l’obiettivo di farlo entrare in vigore entro il 2013.

La decarbonizzazione passa per il mare: il ruolo strategico dei porti

La transizione energetica rappresenta una sfida ma anche un'opportunità senza precedenti per il settore marittimo e portuale. I porti sono destinati a diventare fulcri strategici nell'ecosistema energetico del futuro, collegando produzione, distribuzione e consumo in un quadro sempre più sostenibile e tecnologicamente avanzato. Ormai è chiaro come la decarbonizzazione passi per il mare.

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