Il limitato contributo previsto per gran parte delle misure di decarbonizzazione più efficaci è Il filo rosso che lega la versione aggiornata del Pniec. Nel 2030 sono, infatti, superiori ai target europei sia i consumi di energia primaria (123 vs. 111 Mtep), sia quelli di energia finale (102 vs. 93 Mtep). Per di più, il Piano punta prioritariamente sugli interventi di efficienza energetica sia in ambito civile che nei trasporti, ma il primo obiettivo contrasta con la decisione del governo di non recepire la Direttiva europea sull’efficientamento energetico degli edifici, evidentemente contando in un suo ridimensionamento a seguito dei nuovi equilibri europei.
Per realizzare il secondo obiettivo, la quota FER nei trasporti è prevista passare da 8% nel 2022 a 34,2% nel 2030, ma senza aumentare, rispetto alla precedente versione, il numero di veicoli elettrici in circolazione nel 2030 e puntando principalmente sui biocarburanti (4.687 ktep al 2030) contro 1.332 ktep di elettricità da FER e 877 ktep di biometano. Ma nel 2021 il biodiesel, utilizzabile solo per le auto a gasolio il cui numero è in costante decrescita, ha coperto in Italia il 98% del consumo di biocarburanti liquidi su strada; abbiamo quindi poco più di sei anni per mettere in produzione un volume adeguato di altri biocarburanti.
Il Piano prevede l’abbandono del carbone al 2025, ad eccezione degli impianti sardi, la cui chiusura è subordinata alla realizzazione della nuova interconnessione elettrica Sardegna-Sicilia, il cui completamento è previsto per gennaio 2029. La scadenza viene dunque posposta rispetto al precedente obiettivo di chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2025, ma per rispettare la nuova data, secondo il Pniec occorre che: a) la crescita delle FER, degli accumuli e della domanda di energia elettrica sia in linea con le attuali previsioni; b) entrino in esercizio i gruppi di generazione già selezionati nell’ambito del capacity market; c) non si verifichino dismissioni di impianti di generazione a gas oggi in esercizio e significative riduzioni dell’import disponibile, in particolare dalla frontiera Nord.
Il Pniec prevede che al 2030 le rinnovabili coprano il 39,4% dei consumi finali lordi di energia, ma che quelle elettriche si fermino al 63% dei relativi consumi, molto al di sotto di quasi il doppio del totale, secondo la sperimentata “regola del pollice”. Come nel caso delle vetture elettriche, il ridotto contributo delle rinnovabili alla più efficiente elettrificazione del sistema energetico è una delle cause dei consumi di energia superiori agli obiettivi europei. Questa carenza è compensata da un incremento dei consumi termici soddisfatti da rinnovabili (39,4%), non agevole da realizzare, visto che lo stesso Pniec ne denuncia l’attuale ritardo. Infatti, la quota FER nel settore termico, cresciuta in dieci anni (2012-2022) da 17,0% a 20,6%, nei successivi otto dovrebbe salire al 35,9%, oltre tutto con un basso contributo da parte delle pompe di calore (30,6%), altro caso di una strategia basata su una insufficiente elettrificazione del sistema energetico.
Tutto questo ha come conseguenza la conferma del ruolo rilevante del gas, il cui contributo al consumo di energia primaria tra il 2022 e il 2030 scende solo dal 40,2% al 34,5%. Il contributo dei prodotti petroliferi cala invece dal 36,9% al 29,4%, ma solo per l’elevato apporto dei biocarburanti.
Dato che nella migliore delle ipotesi le centrali a carbone continueranno a emettere CO2 fino al 2029, l’insieme delle emissioni climalteranti resterà comunque alto e di conseguenza gli obiettivi di decarbonizzazione, quantificati in un “assorbimento di oltre 35 milioni di tonnellate di CO2 equivalente al 2030”, hanno richiesto l’assegnazione di un ruolo altrettanto rilevante alla CCS.
Secondo il Pniec, al 2030, tenuto conto delle attuali stime sul profilo temporale della capacità di iniezione nel sito di stoccaggio di Ravenna e degli sviluppi infrastrutturali attesi, si stima di poter catturare 4 milioni di tonnellate di CO2. Ma lo stesso Pniec afferma che queste valutazioni “non sono state verificate dagli operatori, andrebbero approfondite attraverso studi dedicati e integrati da una fase esplorativa mirata a valutare l’estensione dell’acquifero e la caratterizzazione del sito di stoccaggio”.
L’11,4% dell’obiettivo di decarbonizzazione al 2030 tramite CCS è pertanto appeso al filo di un’ipotesi di lavoro ancora da verificare nell’anno di grazia 2024.
L’unica novità del Pniec 2024 riguarda il ricorso al nucleare, giustificato perché “La letteratura scientifica internazionale è concorde nell’affermare che un sistema elettrico interamente basato su fonti rinnovabili, in particolare non programmabili, è possibile, ma non economicamente efficiente”. Concordanza che non trova però riscontro nella letteratura scientifica internazionale, dove sul tema esiste un animato dibattito.
Inoltre, non solo nella parte del Piano dedicata al nucleare, ma anche in quella relativa a ricerca e innovazione, viene ignorato il ruolo degli accumuli di lunga durata che, insieme ad accurate previsioni meteo (rese possibili dall’Intelligenza Artificiale generativa) e alla consolidata funzione stabilizzatrice delle interconnessioni, a breve renderà di fatto programmabili anche eolico e fotovoltaico. Il Piano tace anche: a) sul rilevante aumento dei tempi di realizzazione e dei costi delle tradizionali tecnologie nucleari, che in poco più di vent’anni ha determinato il crollo dal 17% della produzione elettrica mondiale coperto dal nucleare a poco più del 9%; b) sulla forte dipendenza degli impianti in esercizio nei paesi occidentali dall’uranio arricchito importato dalla Russia.
L’opzione prescelta dal Pniec è lo Small Modular Reactor (SMR) che, pur essendo stato proposto per la prima volta trent’anni fa, non ha ancora superato la prova del budino: realizzare un PWR di 300 MW e verificare che il suo costo unitario è inferiore a quello di un PWR di grande taglia. La prova del budino manca perché, informazione ignorata dal Piano, diversi progetti hanno raggiunto conclusioni di segno opposto, ad esempio determinando l’abbandono degli SMR da parte di EdF e dell’azienda americana NuScale Power.
Per contro, il Pniec informa che tre gruppi di lavoro, coordinati dal Mase con Rse ed Enea, hanno valutato i potenziali di sviluppo, i costi e le prestazioni degli SMR e dei reattori a fusione su un orizzonte temporale fino al 2050, concludendo che lo scenario conservativo “Con nucleare” sarebbe in grado di raggiungere l’obiettivo “Net Zero” ad un costo stimato di circa 17 miliardi di euro, inferiore a quello dello scenario senza nucleare. Propone pertanto l’obiettivo di una capacità nucleare che, partendo da 0,4 GW nel 2035, sale a 7,6 GW nel 2050, quando altri 0,4 GW verranno dalla fusione nucleare.
Ma Il Piano e, sul sito del Mase, la Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile non forniscono dati che asseverino queste conclusioni. Solo recentemente mi è stato preannunciato che i dati sensibili verranno pubblicati a settembre. Mentre scrivo queste righe, ignoro se questa scadenza sarà rispettata. È comunque lecito sospettare che il ritardo sia dovuto alla necessità di sottoporre i dati ad ulteriori revisioni, nel qual caso di nuovo il Pniec anticiperebbe una scelta epocale prima di averla definitivamente convalidata.