Nei giorni scorsi ha ottenuto le prime pagine dei giornali l'allarme che il governo giapponese intende riversare in mare l'acqua contaminata che dopo l’incidente nella centrale nucleare di Fukushima di dieci anni fa viene continuamente pompata per raffreddare i noccioli dei tre reattori che hanno subito il meltdown, dopo che lo tsunami ha messo fuori uso i sistemi di raffreddamento in circuito chiuso.
Tra poche settimane si celebrerà il decennale del referendum che chiuse la discussione pubblica sul rilancio del nucleare in Italia. Il Governo Berlusconi aveva firmato con la Francia di Sarkozy un “Memorandum of Understanding” per la costruzione in Italia di 4 reattori EPR da 1650 MW, MoU poi annullato col voto referendario che riuscì a raggiungere il quorum nonostante il tentativo di bloccarlo con una moratoria. Cosa è accaduto da allora? I due EPR che erano già in costruzione a Flamanville in Francia e a Olkiluoto in Finlandia non sono ancora entrati in funzione, accumulando ritardi enormi e circa quadruplicando i costi previsti originariamente: questo nonostante non avessero avuto alcuna opposizione.
La gestione dei rifiuti è sempre più strategica in tutti i Paesi, non solo sul piano ambientale e della qualità della vita, ma anche su quello industriale ed economico. L’Italia è una medaglia a due facce. Da un lato, tradizionalmente povera di risorse, ha sviluppato - molto più di altre nazioni - le filiere del recupero nelle quali può vantare eccellenze in diversi comparti. Dall’altro, presenta diffuse criticità nella gestione dei rifiuti, tanto urbani che speciali, e manca ancora una strategia nazionale in materia. Il Paese non ha, insomma, una visione che sia al contempo di tutela ambientale e di politica industriale.
Tutti ricorderemo il 2020 per la pandemia da COVID-19 e per le ripercussioni che si sono registrate in tutti i settori produttivi e che, in modo diretto o indiretto, hanno impattato anche sulla gestione dei rifiuti. Una prima panoramica di questi effetti è presentata nel Rapporto “L’Italia del riciclo 2020”, pubblicato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e Fise Unicircular in collaborazione con le filiere della gestione dei rifiuti. I dati mostrano un settore che, anche se con qualche difficoltà, ha saputo resistere, garantendo la raccolta e l’avvio a riciclo dei rifiuti e assorbendo le criticità.
Mascherine e guanti. A partire da marzo 2020, gli italiani hanno preso dimestichezza e familiarità con i cosiddetti dispositivi di protezione individuale, che permettono di evitare il contatto interpersonale nelle occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza. Tutto è iniziato con le misure di prevenzione del DPCM 26 aprile 2020, che prevedevano, tra l’altro, le prime disposizioni rispetto all’uso di mascherine e al distanziamento sociale sia in ambito occupazionale, sia nella vita quotidiana e sui servizi di trasporto pubblico, anticipando ciò che sarebbe avvenuto con la graduale riapertura delle attività produttive e l’allentamento di alcune restrizioni per la popolazione.
La pandemia mondiale da Covid-19 ha velocizzato a livello globale la già avviata riflessione sulla mobilità sostenibile e sui cambiamenti da attuare per garantire sempre di più spostamenti a basso impatto ambientale e con consumi minimi delle risorse naturali. È una sfida che parte dai mezzi di trasporto, pubblici e privati, destinati a essere sempre più elettrici, smart e condivisi. È l’inizio di una rivoluzione che fa perno sulla batteria a celle di litio, un oggetto relativamente piccolo, ma con un ciclo di vita molto complesso su cui influiscono direttamente fattori economici, normativi, geopolitici e infrastrutturali ben precisi.
Dal Rapporto Rifiuti Urbani 2020 al Recovery Fund. Intervista a tutto tondo al Direttore Generale di Ispra, Alessandro Bratti, che prevede un nuovo impulso per l’economia circolare, ma teme che senza una riformulazione del sistema di autorizzazioni e un potenziamento deli organi di controllo i nuovi investimenti rischiano di non tradursi in una transizione concreta.
Solo tre settimane fa, il 30 dicembre scorso, i Ministeri competenti (Sviluppo Economico e Ambiente) hanno rilasciato a SOGIN, l’azienda di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, il nulla osta per la pubblicazione della CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee. La mappa indica le zone del territorio italiano che sono adeguate ad ospitare il “deposito nazionale”, vale a dire l’infrastruttura ingegneristica dedicata allo smaltimento controllato e definitivo dei rifiuti a bassa e media radioattività, in parte già prodotti e in parte ancora da produrre da qui al 2070.
Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, gasdotto TAP, stoccaggio della CO2, eolico offshore e agrofotovoltaico. L’Italia è ancora una volta bloccata sulle barricate dei NO e la confusione è tale che è difficile capire quale decarbonizzazione è accettabile da parte dell’opinione pubblica. Con il rischio che per difendere gli interessi locali si perda di vista l’interesse nazionale e il benessere pubblico legato agli obiettivi climatici. Ne parliamo con Rossella Muroni, già presidente di Legambiente e oggi vicepresidente della Commissione Ambiente presso la Camera Dei Deputati.
Sotto il profilo della circolarità, i numeri ci dicono che l’Italia rispetto alle 4 economie europee più grandi registra le migliori performance. Un primato che, tuttavia, rischia di essere perso, se non vengono adottate decise politiche di sostegno alla sua crescita. L’ultimo rapporto del Circular Economy Network, infatti, ha confermato il primo posto dell’Italia, ma segnalando che gli altri paesi crescono più velocemente. Peraltro, sotto la spinta delle politiche europee, altri Stati hanno già assunto iniziative capaci di scuotere in maniera decisa gli operatori del mercato.