Solo tre settimane fa, il 30 dicembre scorso, i Ministeri competenti (Sviluppo Economico e Ambiente) hanno rilasciato a SOGIN, l’azienda di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, il nulla osta per la pubblicazione della CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee. La mappa indica le zone del territorio italiano che sono adeguate ad ospitare il “deposito nazionale”, vale a dire l’infrastruttura ingegneristica dedicata allo smaltimento controllato e definitivo dei rifiuti a bassa e media radioattività, in parte già prodotti e in parte ancora da produrre da qui al 2070.

In realtà questo via libera era atteso già da 5 anni: SOGIN, infatti, aveva redatto la prima versione della CNAPI nel 2014 e il 2 gennaio del 2015 l’aveva consegnata all’autorità di sicurezza (ISPRA, ora ISIN). Da allora era stata mantenuta aggiornata dalla società di Stato, ma sempre ben riposta nei cassetti ministeriali.

È quindi con una certa (piacevole) sorpresa che dal 5 gennaio abbiamo potuto finalmente sapere dove e come potrebbero essere collocati, in piena sicurezza, i rifiuti radioattivi italiani. Occorre riconoscere il coraggio politico dei Ministri Patuanelli e Costa, nell’aver reso pubblico qualcosa che altri non avevano avuto la forza di portare alla luce del sole, lasciando così in infrazione l’Italia nei confronti dell’Europa. Sì, perché eravamo in debito verso Bruxelles di una strategia nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, come richiesto a tutti i Paesi comunitari, strategia nella quale il deposito svolge ovviamente un ruolo sostanziale.

E altrettanto ovviamente questo passaggio ha subito innescato le reazioni del mondo politico, dei territori e di alcuni stakeholder. Certamente non possiamo sorprenderci se molte di queste sono oggi negative o critiche, mentre solo una positiva è stata espressa sin ora, quella del Sindaco di Trino, località che peraltro non è inserita nella Carta ma già ospita una centrale nucleare e i corrispondenti rifiuti. Al di là di possibili posizioni pregiudiziali, che pure potrebbero esistere, è indubbio che sia necessario un po’ di tempo per leggere e analizzare gli oltre trecento documenti messi a disposizione da SOGIN sul sito dedicato.

All’inizio di questa analisi, vale la pena di fare almeno un paio di considerazioni tecniche.

In primis, circa la selezione delle aree idonee. Le 67 aree identificate e riportate nella CNAPI (Piemonte: 8, Toscana: 2, Lazio: 22, Basilicata: 12, Puglia: 5, Sardegna: 14, Sicilia: 4) sono il risultato dell’applicazione di criteri stringenti e rigorosi, scelti da ISIN in ossequio alle best-practices e alle raccomandazioni internazionali (IAEA). ISIN ha individuato (Guida Tecnica n.29 del 2014) 15 criteri di “esclusione”, in base ai quali sono state eliminate porzioni di territorio italiano che non consentivano di garantire i massimi standard di sicurezza per il deposito, e 13 criteri di “approfondimento”, che potrebbero portare anche all’esclusione di aree ma che sono impiegati soprattutto per generare una lista di priorità tra le aree idonee identificate.

Inoltre, un commento sulla sicurezza del deposito. Anche per questo aspetto sono state seguite le migliori pratiche internazionali. Anzi, nei confronti di qualche soluzione tecnologica adottata all’estero, quella di SOGIN è migliore poiché inserisce un’ulteriore barriera di sicurezza rispetto alle tre standard: il “manufatto”, un cilindro in acciaio all’interno del quale vengono collocati e cementati 5 barili di rifiuti radioattivi ultra-compressi; il “modulo”, un contenitore in calcestruzzo speciale da 10m3 nel quale trovano posto 4 o 6 manufatti, anch’esso riempito di cemento; la “cella”, un edificio in cemento armato alto 10m che serve ad ospitare alcune centinaia di moduli e deve resistere per 350 anni; infine, la “collina multistrato” che coprirà le 90 celle del deposito, impedendo agli agenti atmosferici ma soprattutto all’acqua di erodere o corrodere le barriere multiple di calcestruzzo e acciaio.

Ma, notazioni tecniche a parte, l’occasione offerta dal tema “deposito” è veramente unica per il Paese, almeno per tre motivi.

Primo. Per la prima volta in Italia si è avviata una procedura strutturata di coinvolgimento dei cittadini e dei territori, nell’identificazione, progettazione e realizzazione di una infrastruttura di interesse nazionale. È di certo un passaggio epocale. È una procedura di condivisione e trasparenza già impiegata in altre nazioni, ad esempio in Francia (“débat public”). Il tutto è inserito in un processo multi-step, definito per legge (D.Lgs. 31/2010): in esso sono contenuti almeno sei passaggi, prima di giungere all’individuazione del sito. Contemporaneamente alla pubblicazione della CNAPI (i) è stata avviata la consultazione pubblica (ii) che permetterà a chiunque, cittadino, istituzione, organizzazione, di esprimere osservazioni e proposte tecniche su quanto pubblicato, ad esempio sui criteri di selezione delle aree idonee e sui risultati della loro applicazione. È un’opportunità preziosa sia per comprendere sia per contribuire, in modo molto semplice, attraverso lo stesso sito web prima citato. A valle della consultazione, SOGIN raccoglierà e analizzerà i commenti ricevuti e preparerà un confronto-dibattito pubblico, il “Seminario Nazionale”, per approfondire gli argomenti tecnici, la selezione delle aree così come gli impatti sui territori, incluse le ricadute economiche ed occupazionali. Solo in seguito a questo seminario, raccolte e valutate le ulteriori osservazioni, SOGIN redigerà la versione finale della carta (CNAI - Carta delle Aree Idonee), che passerà al vaglio di ISIN e dovrà essere approvata dal Ministero dello Sviluppo Economico (iii). A questo punto, le Regioni e gli enti locali che lo vorranno, potranno inviare a SOGIN le loro espressioni di interesse, quindi discutere e formalizzare un protocollo di accordo, non vincolante (iv). Per ciascuna area inclusa nell’accordo, SOGIN procederà alle indagini tecniche sul territorio (v), per l’individuazione dei siti adeguati ad ospitare il deposito nazionale, classificandoli e indicando il sito con la priorità più alta. Infine, il Ministero dello Sviluppo Economico, ricevuto il parere di ISIN, individuerà il sito (vi).

Secondo. Questo percorso, nuovo per l’Italia, può rappresentare realmente un segnale di cambiamento: culturale, sociale, politico e normativo. Culturale, perché il Paese ha la possibilità di dimostrare che è in grado di affrontare scelte critiche relative alle proprie infrastrutture. Con l’auspicio che questa esperienza, una volta dimostrata la propria efficacia, possa rappresentare un punto di svolta nell’approccio ai dossier strategici nazionali (pensiamo all’alta velocità e all’acciaio). Sociale, perché si utilizza una procedura largamente partecipata, nella quale tutti i portatori di interesse vedono riconosciuto il proprio contributo e possono attingere direttamente a fonti informative ampie, di qualità e garantite. Politico, perché l’obiettivo da perseguire per il bene del Paese viene deciso e chiaramente definito, evitando quindi di rimetterlo in discussione e dedicando invece risorse e attenzione alle modalità di realizzazione e alla loro condivisione. Chiedendo inoltre sia allo Stato sia agli Enti locali livelli simili di corresponsabilità nella decisione finale, e avendo come riferimento criteri identificati da organismi terzi e autorevoli (in questo caso, ISIN). Normativo, perché il percorso, pur articolato, è strutturato in modo trasparente ed è scandito da tempi e passaggi precisi, e garantisce l’esistenza di un decisore di ultima istanza (i Ministeri), anche se tale ipotesi estrema è sconsigliabile dal punto di vista politico-sociale (si pensi, in analogia, all’obbligo vaccinale).

Terzo. È infine l’opportunità per l’Italia di mostrare che è in grado di risolvere “in casa” i propri problemi di natura ambientale, al di là del vincolo comunitario, con soluzioni e capacità industriali, ingegneristiche e organizzative italiane, garantendo al contempo sicurezza e ricadute economiche ai propri cittadini. Evitando altresì sprechi di ingenti somme di denaro verso l’estero, come nel caso della sistemazione temporanea (50 anni) dei contenitori (cask) contenenti i rifiuti vetrificati ad alta radioattività, che non dovranno più rimanere “parcheggiati” (a pagamento) presso i depositi in Francia e Regno Unito, ma potranno rientrare, come da accordi, per essere collocati in un’area apposita del deposito nazionale. Nell’attesa di elaborare una soluzione definitiva fuori dall’Italia, attraverso un’intesa a livello europeo per la condivisione di un deposito geologico profondo regionale, come quello in costruzione ad Onkalo in Finlandia, previsto entrare in funzione nel 2024.

Ma al di là dei temi tecnici e di opportunità, gli aspetti che rivestono l’importanza maggiore in tutto questo processo sono quelli di una informazione chiara e diffusa, di una condivisione paziente, di una capacità d’ascolto ampia e di risposte dirette ed esaustive. Con il massimo rispetto per i territori, perché come ha ricordato di recente lo stesso Prandini, presidente di Coldiretti, la scelta deve tutelare la vocazione dei territori in un paese come l’Italia che può contare sull’agricoltura più green d’Europa, sottolineando l’importanza di un processo trasparente per la necessaria messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi.

A questo proposito, val la pena ricordare che il sito del deposito nazionale francese è nell’Aube, ossia in una delle quattro grandi regioni dello Champagne. Per di più, è ai confini del parco naturale regionale della Foresta d'Oriente. Nel caso faceste un salto (post-Covid) al sito, visita molto istruttiva e consigliata, può essere che alla mensa interna vi offrano un bicchiere di Dumont: è uno champagne prodotto lì vicino, a Champignol-lez-Mondeville.

Non abbiate paura di degustarlo. Anzi…