Le cose non vanno come auspicato o previsto. Non vanno, in primo luogo, guardando alle emissioni clima-alteranti, il parametro cui si dovrebbe prestare maggiore attenzione, che anche nel 2023 sono aumentate, nonostante l’insoddisfacente andamento delle economie, la minor produzione di molte industrie, l’ulteriore progresso delle rinnovabili. Non vanno, in secondo luogo, guardando alla transizione energetica – il passaggio dal dominio delle fossili a quello delle rinnovabili – con i nuovi massimi storici del petrolio e del carbone, mentre il gas naturale va conoscendo una temporanea riduzione causata dall’effetto prezzi, dalle politiche pubbliche, dalla temperatura estremamente mite.
In un’intervista sul Financial Times del 19 aprile, JPMorgan ha sostenuto la necessità di un ‘reality check’ a livello mondiale sull’effettiva possibilità di raggiungere l’obiettivo ‘net-zero’ per metà secolo. La domanda di petrolio, a dispetto di quel che sostiene l’Agenzia di Parigi (AIE), ha proseguito la sua crescita raggiungendo un nuovo massimo storico ben oltre i 100 milioni di barili al giorno. La previsione dell’AIE è che cresca a 108 mil.bbl/g nel 2028, mentre l’OPEC la prevede a 110 mil.bbl/g. Livelli considerevoli per una fonte che a Bruxelles o Parigi dicono in via di estinzione. Il fatto positivo che spiega l’equilibrio del mercato e la relativa stabilità dei prezzi, con livelli per il Brent Dated oscillanti tra 80 e 90 doll/bbl, è che la maggior domanda è stata ed è più che soddisfatta da una maggior offerta nei paesi esterni all’OPEC Plus: Stati Uniti, Brasile, Canada, Norvegia e, non ultimo, la Guyana con una produzione destinata a salire nel prossimo triennio a 1,2 mil.bbl/g (come la Libia). Per contro, l’OPEC ha sinora confermato i tagli alla sua produzione, con un parallelo aumento della capacità inutilizzata (spare capacity) che ha raggiunto i 6,0 mil.bbl/g. Un ‘cuscinetto’ su cui raramente il mondo ha potuto far conto in passato.
Non diversamente dal petrolio può dirsi per la domanda di carbone che ha raggiunto un nuovo massimo storico a 8,55 miliardi di tonnellate. A trainarli i paesi asiatici – non solo Cina e India ma anche Indonesia, Vietnam e Filippine – che hanno più che controbilanciato il calo dei consumi nelle economie avanzate. Una crescita netta, quindi strutturale, se si osserva la messa in cantiere di centinaia di nuove centrali alimentate con questa fonte specie in Asia. La sommatoria di quelle in corso di realizzazione nella sola Cina non si discosta gran che dalla previsione di crescita nel prossimo quinquennio dell’insieme delle rinnovabili in tutta Europa (circa 400 GW vs 530 GW). Un aspetto di particolare rilevanza anche per il futuro, dato che una qualsiasi nuova centrale ha una durata di alcuni decenni.
Su quali basi il G7 sull’energia tenutosi a Torino alla fine dello scorso aprile si sia posto l’obiettivo di “phase out existing unabated coal power generation in our energy systems during the first half of 2030s”, quindi nel giro di appena sei anni, resta del tutto ignoto e incomprensibile. Una mera illusione, di cui è peraltro lastricata la strada della transizione. Molto difficilmente, in conclusione, vedremo un rallentamento della domanda di carbone come previsto dall’AIE che ne stima invece un calo nel 2024 e il raggiungimento di un plateau dal 2026.
Passando al gas naturale si rileva il fatto che i suoi prezzi dopo lo shock del 2022, hanno recuperato dal 2023 condizioni di equilibrio: grazie a una temperatura estremamente mite, un calo consumi, un’abbondante offerta. Dal 2025 l’atteso aumento dell’offerta di GNL ne aiuterà a restaurare una ‘nuova normalità’. I prezzi dopo i picchi del 2022 sono più che dimezzati rimanendo comunque doppi degli andamenti storici e altamente volatili. Quelli sulla piattaforma italiana PSV hanno oscillato da gennaio ad aprile 2024 tra i 30 e 35 €/MWh contro valori che, nel pari periodo del 2023, dai 70 €/MWh circa di inizio anno si sono portati intorno ai 43 a fine aprile. L’Europa ha dimostrato la capacità di fronteggiare la guerra del gas aumentando le importazioni da paesi esterni alla Russia (specie GNL) e riducendo i consumi. Le esportazioni russe via pipe all’Unione Europea sono crollate dai 140 miliardi di metri cubi del 2021 a 63 nel 2022 a 27 nel 2023, mentre quelle di LNG sono rimaste stabili sui 45 miliardi, per circa la metà vs l’Europa. La domanda – dopo il consistente calo registrato nel 2022-2023 – dovrebbe riprendere a crescere nel 2024. La bassa crescita è dovuta al rapido aumento delle rinnovabili, alla maggior disponibilità di nucleare, all’effetto prezzi e alle politiche governative, alle buone condizioni climatiche.
La sicurezza delle forniture è divenuta la prima preoccupazione nell’agenda dei governi, con un aumento della loro diversificazione e il potenziamento delle infrastrutture specie di rigassificazione del gas con la realizzazione di impianti offshore. La crescita della domanda sarà cappata da un aumento limitato del GNL a livello mondiale, quel che porta a non escludere – in un quadro comunque molto incerto – fattori di tensione e volatilità dei prezzi.
L’interrogativo che si impone è cosa accadrà se la domanda di gas dovesse riprendere dopo il sensibile passato calo. Da qui i progetti di costruzione di 13 terminal LNG in Europa. La domanda globale tra 2021 e 2030 è prevista crescere per 400 miliardi di metri cubi con Cina e Medio Oriente che contano per l’80% della crescita, mentre l’Europa dovrebbe registrare un declino di 70 mld.mc. Ne deriva il rischio di un eccesso di capacità che si tradurrà in stranded cost per gli investitori. Ai 37 terminal operativi per l’import di GNL in Europa devono aggiungersi quelli attualmente in costruzione. È stato stimato che nel 2030 oltre la metà delle infrastrutture di GNL in Europa sarà inutilizzata. Il quadro d’assieme porta alla conclusione che le cose non sono come sembrano e come vengono narrate. Per tre ragioni. Prima: si enfatizzano i rischi delle tensioni geopolitiche – mai intense come ora – mentre i mercati registrano una straordinaria stabilità. Seconda: si esalta il progredire della transizione energetica mentre le fossili conoscono nuovi record e la domanda elettrica si riduce. All’attuale velocità di sostituzione delle fossili occorrerebbero 160 anni per eliminarle totalmente. Terzo: la sicurezza energetica è tornata ad essere una priorità. Se prima era legata soprattutto a Oil&Gas adesso lo è anche verso le rinnovabili: per il timore di scarsità di materiali critici e la dipendenza dalla Cina.