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Il russo che verrà

Tra le parole chiave dell’energia emerse nell’evento che Assorisorse e RiEnergia hanno organizzato nell’ambito di OMC 2025 figurano le parole “gas” e “sostituibilità”. Su queste ha riflettuto il Prof. Massimo Nicolazzi, sottolineando l’importanza che ha avuto e che ancora avrà questa fonte nel soddisfare una crescente fame di energia e nel permettere forniture stabili in un mondo che va ancora a rilento, e con evidente difficoltà oggettive, verso uno sviluppo massiccio delle fonti rinnovabili. 

La ridondanza fossile

La transizione “ecologica” è, appunto, transizione. Un processo in cui il fossile si ritira progressivamente dalla scena mantenendo nel mentre un suo ruolo in commedia. Quale sia il ruolo del fossile nell’uscita di scena lo definiscono poi la celerità degli investimenti sostitutivi ed il progresso di tecnologia; e i tempi dell’uscita li dettano la capacità di costruire nuova generazione e la velocità di sostituzione dei convertitori, inclusi quelli domestici (dall’auto al boiler alla cucina a gas). In un mondo che si avvia a 9 miliardi di abitanti direi nulla di possibilmente immediato.

Il gas dopo la Russia

Due anni fa (11 gennaio 2021) ICE/TTF quotava il gas a poco più di 17 €/MWh. Il 22 dicembre dello stesso anno ha superato i 130. Una settimana prima dell’invasione dell’Ucraina (17 febbraio 2022) era tornato poco sopra i 64 Euro. L’invasione all’inizio lo fa salire ma non troppo. Poi il 3 Marzo schizza a quasi 133; si prende un breve riposo e poi (7 luglio) rischizza oltre i 180. Ad agosto più che schizzare esplode. Il 26 del mese segna 342,864. Poi comincia a scendere, con un piccolo rimbalzino (ma proprio piccolo) in coincidenza con l’esplosione di Nord Stream 1 e 2.

Gas. Ieri, oggi, domani.

Ieri

In principio fu il fratello non voluto. All’inizio dell’altro secolo in America correva il detto che trovare gas era un incidente; ma trovarlo due volte era fallimento o, al meglio, licenziamento. Lo si riusciva praticamente a consumare solo dove lo producevi; e la sua immobilità lo condannava ad essere fastidio. Poi si capì che via tubo poteva andare lontano; e mettersi a fare concorrenza ai due parenti fossili. Negli Stati Uniti riusciva a partire dal Texas e ad arrivare a Chicago già prima dell’ultima guerra mondiale; e in Europa comincia a spostarsi negli anni ’60 e dopo la scoperta di Groeningen (Paesi Bassi).

Elogio dell’autosanzione

La vulgata o è complottista o non è. E può darsi che Gazprom complotti davvero. L’anno scorso non ha venduto volumi a breve in piattaforma, insomma non ha messo in vendita gas aggiuntivo rispetto a quello che vende con contratti di lungo periodo. E non ha alimentato gli stoccaggi che controllava in Europa. Disse che aveva avuto qualche problema tecnico con la produzione; e che doveva con priorità riempire gli stoccaggi di casa sua. Che magari non è implausibile. Però anche magari era solo per fare esplodere i prezzi, e tenerci al guinzaglio in vista dell’inverno. Tra chi lo pensa c’è anche chi aggiunge che lo faceva in vista e in funzione della guerra prossima ventura; però magari a deciderlo bastava un po’ di genialità nella politica commerciale. E in punto di commercio di gas i russi sono sempre stati bravissimi.

Il lungo, il corto, il russo

Una volta era semplice. Il gas viaggiava solo via tubo, e il tubo non essendo girevole garantiva l’ultima forma sopravvissuta di matrimonio indissolubile. Quello tra il giacimento (di provenienza) e il mercato (di destinazione). Il tubo però costava e costa; e lo si aveva da finanziare. Donde la necessità che gli fosse assicurato un cash flow pluriennale utilizzabile a garanzia del debito. Il contratto venne così a prendere forma obbligata. È bilaterale e deve essere pluriennale. A garantire la cassa contiene di regola una clausola di take or pay, in virtù della quale il compratore si obbliga a garantire in ogni anno il pagamento di un volume minimo di gas anche se in ipotesi ne ha ritirato di meno. La pluriennalità ti pone poi il problema della formula di prezzo. Su quello “istantaneo” di oggi si può trattare; ma come lo aggiorniamo per i prossimi vent’anni? La scelta fu di aggiornarlo non all’inflazione ma al costo dell’energia; e dunque di utilizzare a fini di indicizzazione il cugino petrolio, in forma dell’evoluzione di prezzo (di regola) di un paniere di greggi e/o di prodotti.

L’ultimo dei gasdotti

Correva l’anno 2007. Poderoso appello di Camilleri cui dà palco Repubblica. Salviamo Noto dalle trivelle. Ci venne venduta l’idea che grazie a un titolo minerario qualcuno potesse a suo arbitrio far buchi davanti alla cattedrale; ed anche che il danno e l’impatto sul territorio del cercare e produrre idrocarburi sarebbe stato grave ed irreversibile. Vinsero naturalmente i buoni; ed il latifondista petrolifero fu cacciato dalla rivolta di braccianti ed intellettuali. Nel trionfo si dimenticarono però di un particolare. 

Pandemia e transizione: meglio non cantare vittoria troppo presto

Ci si interroga di frequente su quel che sarà dell’energia dopo il virus; e sembra prevalere l’ipotesi per cui il virus favorirà, e anzi accelererà, la decarbonizzazione. Il tema viene di regola interpretato in due tonalità. La prima è che il virus dimostra l’insostenibilità del nostro “sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura del creato” (la citazione è di Papa Francesco), e che perciò ci impone quasi normativamente un abbandono del nostro modo di addomesticare energia fossile. La tonalità alternativa declina invece più laicamente il modo in cui il lockdown ha cambiato comportamenti ed abitudini; e ne deriva che il dopo virus non sarà un ritorno alla normalità del passato, ma il graduale affermarsi e consolidarsi di una “nuova normalità” meno fossile e oggi ancora in divenire.

Il Green Deal, ovvero della difficoltà di separarsi dai fossili (e dalla mucca)

Dice l’Europa che (rispetto al 1990) entro il 2030 dovremo diminuire le nostre emissioni del 55% ed arrivare ad emissioni azzerate entro il 2050. Dice che per questo molto bisognerà investire e lancia per questo un European Green Deal. Che basti quello che prevede di investire, che i soldi si trovino e che gli investimenti siano canalizzati nella direzione giusta è agenda che ha già scatenato letteratura copiosa. Qui giusto qualche nota sul fossile e sulle difficoltà che il Green Deal (o equivalente) potrebbe incontrare.

Libia e Iran. Ovvero dell’essere strategici ed altre leggende

L’Iran è sotto embargo e quasi in guerra. In Libia è guerra civile. E siccome entrambi ci vengono tramandati come grandi produttori di petrolio, la nostra sicurezza (energetica) vacilla. O almeno questa è la narrazione corrente. Lasciamola ai media, che la realtà è un poco più articolata.

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