Correva l’anno 2007. Poderoso appello di Camilleri cui dà palco Repubblica. Salviamo Noto dalle trivelle. Ci venne venduta l’idea che grazie a un titolo minerario qualcuno potesse a suo arbitrio far buchi davanti alla cattedrale; ed anche che il danno e l’impatto sul territorio del cercare e produrre idrocarburi sarebbe stato grave ed irreversibile. Vinsero naturalmente i buoni; ed il latifondista petrolifero fu cacciato dalla rivolta di braccianti ed intellettuali. Nel trionfo si dimenticarono però di un particolare. A Noto il metano lo avevano estratto già da e per anni e la testa pozzo era praticamente dentro il paese. E gli effetti del produrre erano stati così devastanti che nessuno, Camilleri compreso, sembrava essersene accorto (se ne accorse poi il Sole 24 ore, ma, inutile a dirsi, la segnalazione non fu mai rilanciata).

L’appello dello scrittore siciliano mi è tornato in mente all’avvio del TAP: il gasdotto che ci porta il gas azero. Le minacce, i ricorsi, i duelli e persino ripetuti gli scontri di piazza. Solo che stavolta non vinsero i buoni. Il gasdotto lo si riuscì a finire, e da Dicembre 2020 è operativo e funzionante. Lui è finito, e qualcuna delle bufale con cui lo avevano avversato nel frattempo si è pure liquefatta. Dagli ulivi che il progetto avrebbe condannato, e che invece curati e trapiantati sono stati tra gli unici a sopravvivere alla xylella; alla spiaggia di Melendugno ed alla sua vocazione turistica che sarebbero state travolte dall’invadenza dell’opera, e che invece quest’estate a gasdotto finito erano frequentate as usual (al netto, ovviamente, del fattore Covid). “C’è il gasdotto TAP ma non si vede” (ancora Sole 24 ore); un pò come a Noto c’era il metano ma, Camilleri compreso, non lo vedeva.

Il tubo si fece ed il pozzo no. Che se ci pensate bene è ambientalmente un’ironia della Storia. Il gas in Adriatico non si può di fatto più produrre né cercare. Però possono trasportarcelo. Come se si ignorasse che trasportare gas richiede energia; e che perciò più il gas viaggia e più emette. Se ci fosse più rispetto per l’ambiente, il gas andrebbe preso nel punto più vicino possibile; e invece - che Dio ci scampi dalla trivella- il lavoro sporco (?) meglio lo facciano gli altri. Gli idrocarburi come unica attività per la quale la pratica del Km 0 è peccato; e pure mortale.

Comunque, tubo est. Dal 31 Dicembre porta un flusso di 11 milioni di mc al giorno; che in una quindicina di mesi a regime diventeranno 28 milioni. Otto miliardi di mc/anno che arrivano in un Paese che nel 2019 (il 2020 per pandemia non conta) ne ha consumati meno di 71; e poi una possibile ulteriore espansione sino al raddoppio della capacità iniziale. Vende con contratti di lungo periodo il 95% di quel che trasporta, e dunque non contribuisce se non indirettamente alla liquidità del mercato. Però la vulgata ce lo dà venduto a sconto sul prezzo che si forma al Punto di Scambio Virtuale; e dunque potrebbe contribuire e forse significativamente alla riduzione del gap di prezzo oggi corrente tra noi e i Paesi nordeuropei (gap che oscilla a seconda della situazione dei mercati locali e di altri fattori, ma che oggi ha anche strutturalmente una sua ragione nella diversità degli oneri di trasporto. Il gas russo o quello norvegese per venire qui fanno comunque più chilometri che non fermandosi in Germania).

La produzione europea di gas naturale sprofonda; l’Algeria potrebbe esportare sempre di meno; la Libia dà qualche problema di affidamento. Aggiungete che pullulano ancora nostalgici quasi fobicamente terrorizzati dalla dipendenza dalla Russia. Su questo sfondo noi via TAP abbiamo accresciuto la nostra capacità di approvvigionamento; forse migliorato la nostra condizione competitiva in materia di prezzo; e il gas ci è pure arrivato fino a Melendugno senza che noi lo si finanziasse. Riflettendoci potrebbe venirvi la tentazione di raddoppiare; insomma di accogliere con gioia un’ulteriore infrastruttura.

E invece forse no. Con prezzo volatile e domanda che stagna, sembra difficile pensare che qualcuno riporti gas fino a Melendugno o comune assimilato senza che venga finanziato o che gli si garantisca che l’investimento abbia un ritorno economico. Magari un investimento sulla catena liquefazione/rigassificazione è più abbordabile (anche se, pure lì, i presunti interessati lo reclamano “strategico”, ed insomma a rendimento comunque garantito); ma per una pipeline, magari da Cipro, che costa 6-7 miliardi (stima), i soldi dove li trovi?

Una nuova grande infrastruttura, nelle condizioni del presente, richiede “sostegno pubblico”. E il vento, per il gas è cambiato; o almeno sta cambiando. Per qualche anno il gas ha goduto di fama di fossile buono, quello che doveva prenderci per mano e condurci dall’oscurità del carbone alla luce del sole. Poi in pochi mesi è quasi ridiventato fossile tout court. Il gasdotto East Med nell’Aprile 2019 per la UE si classificava Progetto di Interesse Comune, ma adesso dubito che si confermerebbe. La parola d’ordine sembra vieppiù nel senso del limitare se non completamente bloccare il “sostegno pubblico” a progetti odoranti di fossile. Il sostegno pubblico s’ha da tingere di verde.

 Un nuovo soldato avanza nel processo di transizione dalle fonti fossili. Il suo nome è idrogeno! Riscaldamento, trasporti, generazione, settori hard to abate. Il futuro, ci proclamano, è ovunque idrogeno. Che in sé, se ci pensate e lo unite al resto dell’esercito rinnovabile, è pensiero bellissimo. Acqua, sole e vento. Gli elementi primordiali e a tutti accessibili come fonti pressochè esclusive. I corsi di sicurezza energetica che chiudono per il venir meno dell’oggetto; e qualche ministero anche. Non ho dubbi che la tecnologia ce lo renderà possibile. Però il quando ed il quanto (quanto costa e chi paga) mi sembrano ancora largamente incerti.

Dice il PNIEC che investendoci 10 miliardi nel 2030 l’idrogeno verde potrebbe provvedere al 2% del nostro fabbisogno energetico (che detta così non sembra a buon mercato) e salire al 20% entro il 2050. L’attuale rete gas nazionale dovrebbe ospitare miscele (semplifico) di idrogeno e biogas; però comunque miscele, che, anche in questa proiezione, grosso modo l’80% della miscela dovrebbe essere metano (con l’ovvia notazione a margine per cui se i consumi aumentano di oltre il 20% aumenta anche la domanda di gas).  Insomma, negli usi che consentono interfuel competition tra idrogeno e gas anche gli scenari più aggressivi disegnano l’idrogeno come fonte che per almeno qualche decennio si aggiunge al gas, e non come fonte che lo sostituisce.  Di dove saremo per volumi e prezzo con l’idrogeno verde da qui al 2050 è ancora atto di fede più che proiezione; e sui capitali necessari c’è rischio che non ci bastino gli zeri. Poi magari il costo di produzione dell’idrogeno verde crolla davvero entro il decennio da 5 a 2 dollari; però magari. Il gas naturale sembrerebbe in ogni scenario doverci ancora servire molto e a lungo, e sarebbe saggio evitare il rischio che uno stop al sostegno pubblico si traduca tra qualche anno nella difficoltà di soddisfare la domanda corrente.

Poi però mi rendo conto che la mobilitazione finanziaria europea è l’equivalente ormai di un all in sull’idrogeno; e che tali e tanti sono gli interessi che ha messo in moto che il manifestare dubbio ti espone come eretico. Dato che di necessario sostegno pubblico parliamo, il tema si riduce ad un problema di allocazione di (limitate) risorse pubbliche tra tipologie di investimenti; e se oggi a fini allocativi metti in concorrenza elettrizzatore e gasdotto il destino del gasdotto è segnato.

TAP ovvero l’ultimo gasdotto. Dove non potè l’ulivo potrà (forse) l’idrogeno.