Anni di Europa affamata di energia per alimentare lo sviluppo, e a cui tocca di scegliere tra carbone, gas, nucleare o un loro qualche mix. Il petrolio arretra da generazione e riscaldamento (è troppo prezioso al trasporto); e a noi tocca di scegliere tra quel che resta. L’Italia del boom è assediata da smog e polveri sottili (1972, Torino, Università. Vai in collina e di sotto la città non la vedi, intrappolata com’è in un parallelepipedo di miasmi); sostituire l’olio combustibile con carbone non è nemmeno pensato, anche per mancanza della materia prima sul suolo nazionale; e un po’ di gas lo produciamo in casa e il resto c’è chi ce lo può mandare via tubo. E soprattutto il gas è pulito. Il metano ti dà una mano; e a metanizzazione compiuta sotto la collina riappare la città. Il gas è così diventato, soprattutto negli ultimi trent’anni, il protagonista di una parziale transizione intrafossile che gli ha visto erodere quote di mercato a carbone e petrolio. Entriamo in questo secolo, e la fame di accesso alla fonte sembra aumentare. E ci nutriamo di gas. Adesso che c’è la guerra e il prezzo è schizzato al cielo parte però l’accusa retroattiva di avere reso il Paese troppo dipendente dal gas e in particolare troppo dipendente dal gas russo.

Prima di giudicare, srotolate la macchina del tempo. Entriamo nel secolo che le rinnovabili sono ancora uno stato d’animo; e che se non vuoi carbone e non puoi usare petrolio per generare elettricità e per riscaldarti ti restano solo metano e nucleare. La Germania li usa entrambi; la Francia è spintamente nucleare; e noi scegliamo di astenerci dall’atomo. Non ci resta che il metano. Sì, però non c’era ragione di andarne a prendere così tanto dalla Russia. Si però dove sennò? Con l’eccezione degli Stati Uniti, gli idrocarburi tendono ad accumularsi in territori politicamente instabili o altrimenti problematici (in Svizzera si sono accumulati i traders, non i giacimenti).

Fin verso la fine del primo decennio il nostro primo importatore fu l’Algeria. Poi i rinnovi con la Russia, con durata al 2036 e volumi fortemente aumentati. Mi direte che all’aumento dei volumi negli anni successivi non ha fatto riscontro un aumento dei consumi, e che già all’epoca qualcuno (Mincato, AD di ENI) mise autorevolmente in guardia dalla “bolla del gas”. Le proiezioni più ricorrenti erano però nel senso di un continuo aumento della domanda (per l’Italia si parlò di superamento a breve dei 100 miliardi di mc/anno; in realtà siamo poi arrivati a 80); e chi all’inizio del secolo poteva osservare il traffico su Mosca (e io ci lavoravo) non poteva non notare un aeroporto sovraffollato di delegazioni italiane inviate da operatori (tra i quali la quasi totalità delle ex municipalizzate) alla caccia disperata di una qualche fornitura russa, possibilmente di lunghissimo periodo (poi in pochi anni cambiò l’estetica delle delegazioni, passando dal paleoemiliano dello spigato del già dirigente del PCI alla cravatta di Hermès del neoberlusconiano, ma la caccia al gas cambiò look senza conoscere sosta).

Poi in realtà i nostri consumi si sono stabilizzati al ribasso; ma la potenziale bolla è stata compensata dal fatto che in 15 anni la produzione europea è calata di 2/3, e quella italiana, dopo avere superato i 17 mld di mc/anno oggi si attesta a poco più di tre. La nuova sensibilità ambientale non ha ridotto i consumi; ma ha reso estremamente più comodo importare anziché produrre.

Fine digressione. Giusto per dire che chi accusa di indulgenza alla dipendenza dovrebbe raccontare con le lenti del primo decennio del secolo che cosa avremmo dovuto usare al posto del gas e dove avremmo potuto andarlo a prendere in alternativa alla Russia. Magari ricordandosi che siamo comunque l’unico Paese europeo collegato via tubo con 5 diversi luoghi di produzione (Algeria, Russia, Mare del Nord, Azerbaijan, Libia).

Riassunto di ieri. Il metano è energia pulita, ed è pure disponibile in abbondanza. Il gas si candida a fonte della transizione, che può sostituire, con minor impatto, gli altri fossili in attesa di essere sostituito. La candidatura è così forte da attirare sostegno pubblico persino per il suo mettersi in concorrenza col petrolio nel feudo del trasporto. Veicoli pesanti e navi alimentate a GNL sono lì a testimoniarlo.

Oggi

La candidatura ha improvvisamente perso colpi. Abbiamo riscoperto che il gas è comunque fossile; ed anche che, se si disperde in atmosfera, ha, a parità di massa, un global warming potential che è 34 volte quello dell’anidride carbonica. E in produzione e in vettoriamento, le possibilità che si disperda, per venting o per leaks o altrimenti, sono di ordine più che significativo.

Parentesi. Noi oggi disponiamo di tecnologie che ci consentono di conoscere della dispersione in tempo reale; e anche soprattutto in relazione al trasporto via tubo di prevenirla significativamente. Nella battaglia gas sì, gas no, non si è però percepita grande sensibilità al tema. Eppure, posto che in ogni scenario del gas fossile non faremo a meno di domattina, il non disperderne dovrebbe essere priorità. Oggi, in attesa di sostituirlo, cerchiamo almeno di non mandarlo in cielo. Vero che controlli rigorosi e globali incontrerebbero difficoltà a volte insormontabili. (Difficile pensare di poter far volare un drone sul tubo russo, o magari attrezzarlo ad es. con metodi di rilevamento acustico o similari. È vero che se non gli lasci fare venting in atmosfera all’americano produrre shale costa qualcosa in più). Però almeno provarci dovrebbe essere esigenza avvertita. A Bruxelles, seppure coi tempi di Bruxelles, ci stanno lavorando sia col tentativo di introdurre obblighi di controllo periodici per le imprese operanti in Europa che con quello di controllare le pratiche anti dispersione adottate sui luoghi di produzione e nel trasporto del gas importato. Un’accelerazione incisiva (un survey dell’anno scorso ha in Europa verificato fenomeni di dispersione in 123 siti) sarebbe benvenuta e in sua attesa un’iniziativa di prevenzione/monitoraggio del nostro Paese sarebbe un buon inizio.

Dispersione o non dispersione, nel giro di un paio d’anni il diverso ci è comunque diventato quasi uguale. I fossili sono tutti delendi il più velocemente possibile. Il fossile della transizione è un ossimoro. L’ideodibattito sul gas nella tassonomia europea ha ben rappresentato la prevalente direzione di marcia. Ce la possiamo permettere (si fa per dire) perché, al netto di Polonia e Germania, carbone da sostituire ce ne resta poco (se in Cina tutta la generazione a carbone sparisse in favore di quella a gas il tema del riscaldamento globale sarebbe molto meno appassionante). Se usassimo più carbone il gas sarebbe insomma meno uguale. E però anche così attenzione ai tempi e ai sostituti.

Entrambi sono anche funzione della necessità di sostituire anche i convertitori finali. Nell’uso domestico, cambiare fornello o boiler ha un costo; e non puoi fare obbligo alle famiglie di sostenerlo domattina. Nella generazione elettrica, molto cammino si ha ancora da fare per riuscire a garantire il bilanciamento con sistemi di accumulo anziché con generazione a gas. E così di seguito.

La guerra poi dovrebbe averci insegnato che oggi la sicurezza è anzitutto ridondanza. La derussificazione si è sovrapposta alla decarbonizzazione, e nell’ansia di sostituire il gas russo con altro gas ci siamo resi conto che nel potenziale sostituto e nelle sue infrastrutture avevamo già smesso di investire. E perché investire? Tanto si decarbonizza, e importare è senza rischi. Parte del problema di oggi nasce dal fatto che nella certezza del verde prossimo venturo abbiamo tagliato o ridotto l’offerta possibile senza intervenire in maniera almeno equivalente sulla dinamica della domanda; e un’asimmetria prolungata può mettere a rischio la fonte e farne esplodere il prezzo.

I nostri piani di decarbonizzazione e perciò anche di demetanizzazione devono essere perseguiti; ma non possiamo permetterci di ritrovarci in difetto di energia disponibile ove poi tali piani procedessero più lenti della nostra ambizione. Produzione e infrastrutture in caso di necessità non si moltiplicano dall’oggi al domani; e dunque l’oggi del gas dovrebbe anche essere di costituire una fonte di energia da tener anche in ridondanza e in riserva per accompagnare il processo di decarbonizzazione. La guerra, da questo punto di vista, facendo sparire dal mercato una quota rilevante dall’offerta rende ancora più stringente l’interrogativo sulla necessità o meno di riprendere gli investimenti di settore. Chi è convinto che senza gas russo la transizione avanzerà a sua compensazione a passo più che spedito e senza contraccolpi di prezzo e, perciò sociali, può motivatamente rispondere in negativo. Però mentre scrivo il 70% dei nuovi progetti di generazione rinnovabile in corso di istruttoria sono fermi per vincoli paesaggistici; e ci vuole certezza che i capitali necessari ai nuovi investimenti di sostituzione del fossile affluiscano per tempo. Abbiamo bisogno di un piano di assicurazione dal ritardo. Nel processo di uscita dai fossili, non sembri paradosso, una riserva fossile in funzione quasi assicurativa mi parrebbe buona idea. Poi magari non la usiamo e assicuriamo a nostra volta gli operatori dall’andare stranded con riserve e infrastruttura (che nessuno nel settore investe se non garantisci all’investimento una ventina di anni di vita utile); però comunque ci conserviamo uno strumento che rende più affidabile la nostra programmazione. Investire in nuova produzione e nelle infrastrutture a ciò necessarie è per quel che vedo l’unica assicurazione sul ritardo oggi possibile.

Domani

C’era una volta il metano; e in futuro ci saranno “i” gas. Il Gas Package dell’Unione Europea è molto articolato ma, in essenza, l’idea è quella di sostituire progressivamente gas fossile con gas non fossile (low carbon) mantenendo la rete e spiazzando in ordine di tempo il metano con biogas e idrogeno. Per il 2050, si dice, potremmo esserci. Giusto una segnalazione, e senza entrare nel merito. La principale criticità di questo disegnare futuro si chiama idrogeno. Quanto riusciremo a produrne, a che costi e di che colore. Continuo a pensare che un idrogeno verde che richiede 9 litri d’acqua per kg prodotto e allo stato dell’arte richiede 100 kWh di elettricità per produrre al meglio 70 kWh di idrogeno possa essere un pezzo del futuro, ma non “il” futuro. Ed anche non sono certo che viaggerà prevalentemente via tubo. Il modello centralizzato di Bruxelles salva la rete; ma l’idrogeno puoi anche convertirlo in elettricità e portartelo via cavo eventualmente anche usandolo come sistema di accumulo. Molto dipenderà dai tempi di crescita della produzione di idrogeno (magari non necessariamente tutto verde…) e dai suoi costi; e anche da quanto e quando l’elettricità sarà in grado di spiazzare “i” gas dai loro attuali usi finali.

 Il futuro del gas prenderà (anche) forma dall’evolvere della competizione tra elettrone e molecola.