Una volta era semplice. Il gas viaggiava solo via tubo, e il tubo non essendo girevole garantiva l’ultima forma sopravvissuta di matrimonio indissolubile. Quello tra il giacimento (di provenienza) e il mercato (di destinazione). Il tubo però costava e costa; e lo si aveva da finanziare. Donde la necessità che gli fosse assicurato un cash flow pluriennale utilizzabile a garanzia del debito. Il contratto venne così a prendere forma obbligata. È bilaterale e deve essere pluriennale. A garantire la cassa contiene di regola una clausola di take or pay, in virtù della quale il compratore si obbliga a garantire in ogni anno il pagamento di un volume minimo di gas anche se in ipotesi ne ha ritirato di meno. La pluriennalità ti pone poi il problema della formula di prezzo. Su quello “istantaneo” di oggi si può trattare; ma come lo aggiorniamo per i prossimi vent’anni? La scelta fu di aggiornarlo non all’inflazione ma al costo dell’energia; e dunque di utilizzare a fini di indicizzazione il cugino petrolio, in forma dell’evoluzione di prezzo (di regola) di un paniere di greggi e/o di prodotti.
Poi cominciò a cambiare il mondo; o meglio ad assumere forma liquida. Il GNL cominciò a navigare; e progressivamente è arrivato a superare il 30% del commercio internazionale di gas naturale (il resto ovviamente viaggia ancora via tubo). La fondamentale novità è che viene meno il vincolo di destinazione. Gassoso va dove lo porta il tubo; e liquido va dove lo porta il prezzo. Il GNL può arbitrare tra le differenze di prezzo dei vari mercati (essenzialmente Asia ed Europa, con aggiunte di Sudamerica); e questo è stato uno degli stimoli a destinare - in parallelo ed in aggiunta agli esistenti contratti di lungo periodo - volumi sempre più importanti di gas liquefatto a contratti corti, o meglio istantanei (spot). In contemporanea, l’infrastruttura europea si dimostrava capace di ospitare contrattazioni spot anche per gas trasportato via tubo e resosi disponibile per mancato rinnovo di volumi di contratti di lungo o altrimenti.
Lo spot crea l’hub, o forse meglio viceversa. Non tanto come luogo di confluenza fisica del gas; ma soprattutto come Borsa per la sua contrattazione quotidiana. C’è un prezzo del gas che si fissa in Borsa ed è pubblico e c’è un mercato dei futures. Un po’ come il petrolio al Nymex. Spot e Hub combinati redistribuiscono il ruolo del price maker e insieme rendono possibile cambiare formula di indicizzazione. Se ho un mercato del gas, perché indicizzare a petrolio? Nei contratti di lungo cominciano così a fare capolino e a diffondersi indicizzazioni “gas to gas”, basate cioè sulle variazioni dei prezzi all’hub scelto come riferimento. La sostituzione è a volte totale, altre parziale, e altre volte ancora prevede il ritorno al petrolio al superamento di un certo limite di scarto; e altro ancora. È una sostituzione non omogenea; ma nella misura in cui è introdotta delega di fatto al corto di fare il prezzo per il lungo. In hub il prezzo si forma su contrattazioni spot (futures inclusi); e quel prezzo detta la misura dell’indicizzazione gas to gas per i contratti di lungo periodo. Il GNL americano sul mercato europeo è un price maker; ed il gas che arriva dalla Russia è un price taker.
Il sistema, in anni di abbondanza dell’offerta, ha funzionato. Come ha ricordato da ultimo Jonathan Stern (FT, 17 Gennaio) “as recently as May 2020, oil-linked prices were nearly six times those at hubs which were at historical lows. The continent was awash with gas”. Con il “gas to gas” la Signora Gina ancora nel 2020 risparmiava.
Poi è venuto il Covid, e poi sul gas (2021) la tempesta perfetta. Poco idroelettrico in Brasile, e poco eolico in Mare del Nord, e il gas che li deve sostituire. Qualche fermo per guasto o manutenzione straordinaria, e il cinese che si era rimesso a fare il cinese, e altro ancora. La domanda che schizza e sale al cielo. La corsa sfrenata a carichi di GNL spot (che sono quelli che fanno il prezzo…) in concorrenza sfrenata tra mercato asiatico e mercato europeo. il prezzo del gas è così salito in un anno del 400% (con punta di 800%...) mentre quello dell’olio saliva del 40 (con punte a cinquanta). La Signora Gina col gas to gas non arriva a fine mese, anche perché la pressochè perfetta correlazione tra andamento del prezzo del gas ed andamento del prezzo dell’elettricità le pone ormai qualche limitazione all’uso di lavapiatti e lavatrice.
Qui si aprì dibattito. Essenzialmente sull’opportunità di tornare all’indicizzazione a petrolio; e sul se dopo tanto amore per i mercati spot non fosse il caso di ripensare favorevolmente alla sicurezza intrinseca dei contratti di lungo periodo.
Sulla prima la storia recente risponde e insegna. Il mercato del gas e quello del petrolio spesso se non addirittura strutturalmente ormai divergono. Qualcuno potrebbe osservare che in prospettiva il mercato del gas potrebbe farsi molto più volatile di quello dell’olio. Il che, viste le diverse destinazioni d’uso e la tendenziale insostituibilità del gas con altri fossili nella generazione elettrica, è certo una possibilità. Che però non elimina il fatto che la convenienza di un tipo di indicizzazione sul concorrente dipenda da esogene di mercato, come 2021 e 2020 ci insegnano. Tornare al petrolio non è panacea, ma solo una sostituzione, e tendenzialmente per equivalente, di profili di rischio. Chi vuole può anche sbizzarrirsi con un sistema misto oil/gas (già peraltro presente in alcuni contratti).
Il corto e il lungo. Il lungo ti assicura i volumi (Gazprom ha sospeso le vendite spot, ma rispetta i contratti di lungo). Però che il contratto sia lungo nulla ti dice rispetto al prezzo. Non c’è “sconto” per l’impegno di lungo periodo (Gazprom ha anzi sempre sostenuto che i long term devono riconoscere un premio al fornitore per gli oneri che sopporta per garantire la flessibilità dell’erogazione). Due società cinesi hanno da poco sottoscritto contratti di lungo periodo (sino a 19 anni) per l’acquisto di GNL americano. La pubblicistica ci dice che l’indicizzazione sarà al 100% sull’andamento dei prezzi Henry Hub. Vero che Henry Hub suona meglio di TTF; ma comunque la scelta è di affidarsi a un’indicizzazione 100% gas to gas. Se i russi dicono che stanno vendendo sotto il prezzo di mercato (poi chi può verifichi) stanno dicendo se è vero in realtà che nei loro contratti hanno mantenuto una qualche magari parziale forma di aggancio ai prezzi dell’olio. Fate che giri il vento, e venderanno sopra.
Assicurarsi i volumi non è comunque poco. Almeno alla prossima tempesta siamo sicuri che il gas arrivi, e a quali prezzi poi vedremo. Però come UE abbiamo qualche contraddizione da risolvere. Da un lato, chiediamo alla Russia di garantire il nostro diritto (?) alla sicurezza dell’approvvigionamento. Dall’altro, via decarbonizzazione e obiettivi di net zero notifichiamo quotidianamente al russo che non vediamo l’ora di cessare di essere suo cliente e che siamo impegnati a riuscirci nel più breve termine possibile (e difatti lui si precipita a costruire un tubo Siberia – Cina, che là la produzione dei giacimenti/bacini da cui adesso fornisce noi è sicuro di riuscire a venderla).
Accantoniamo le fiabe curiose, tipo l’idea che se tutti gli europei trattassero insieme appassionatamente ci darebbero tutto il gas che ci serve e ce lo farebbero pure pagare meno. Giusto boutades, ovvero il coté onirico della politica.
Concentriamoci sul reale, e dunque sul mercato. Il russo quest’inverno non ha offerto spot. Sollecitando in contemporanea una disponibilità europea all’aumento dei volumi impegnati long term. Insomma chiede al cliente una garanzia di durata e volumi. E per contro a Bruxelles stanno pensando a vietare tout court contratti di importazione di gas successivi ad una scadenza predeterminata (2040? il mitico 2049? Fingendo di non capire che in realtà il problema è arrivarci, al 2040 e/o 49).
Nella realtà non spetta alle Farnesine ma agli operatori/ imprenditori di decidere se prendersi il rischio di contratti di lungo. Si suppone ancora muniti per richiesta del venditore di clausole di take or pay, e non della clausola per cui se Bruxelles decarbonizza prima liberi tutti. Temo che se vogliamo contratti “lunghi” ci toccherà di dover pensare a sistemi di tutela dell’operatore/importatore (tipo, per semplificare, una forma di assicurazione contro le responsabilità contrattuali – take or pay incluso) per l’ipotesi di non essere più in condizione per via di regola UE o altrimenti di piazzare per intero i volumi importandi sul mercato domestico.
Il russo sarà anche guidato dalla geopolitica. Però alla fine si comporta come un bravo direttore commerciale. Quasi a suggerirci che se mai la crisi indotta dal moltiplicarsi del prezzo fosse figlia di politica, lo sarebbe anzitutto di politica energetica europea.