L’Italia e l’Europa si stanno giocando ormai la tenuta delle proprie reti di approvvigionamento, trasporto e distribuzione di energia e gas – con i principali rischi che si addensano sui mesi invernali almeno fino ad aprile 2023. L’uso di parole così nette sarebbe parso allarmistico fino a pochi giorni fa, nonostante la guerra in Ucraina stia infuriando da ormai più di tre mesi; anche oggi non si tratta che di un’evenienza, ma tutt’altro che remota. Sono tre le linee di rischio che si stanno gonfiando a velocità imprevedibile:

  • l’apparentemente irragionevole tattica “a spallate” adottata dalla Russia, il cui obiettivo evidente è di seminare la discordia politica attraverso “traumi” commerciali ed economici;
  • la vulnerabilità seria della rete elettrica di fronte a un insostituibile appetito di gas – la cui conferma e crescita nel breve sconta le défaillances delle altre fonti e il quadro climatico-meteorologico;
  • (sottotraccia) la possibilità che emergano motivi di tensione dagli altri fornitori di gas all’Europa, che nell’abbandono del russo vengono “irradiati” di una rinnovata centralità (ne abbiamo già due esempi).

Partiamo dal primo punto. La sequela di misure adottate dalla Russia contro i suoi tradizionali acquirenti europei di combustibili fossili procede su un crinale che da ambiguo si sta facendo sempre più tendente all’azzardo. Con il crollo dei transiti attraverso il gasdotto Nord Stream (the “mother of all pipelines”) siamo giunti al parossismo, intaccando all’osso quel 32% del gas consumato in Europa che ancora nel 2021 appariva fantascientifico mettere in dubbio. Gazprom ha inquadrato la massiccia diminuzione delle consegne nel contesto di sanzioni e contro-sanzioni: la tedesca Siemens non avrebbe restituito un’unità di compressione posta a Portovaya (presso San Pietroburgo) sottoposta a manutenzione. Il lavoro sarebbe poi finito in outsourcing addirittura in Canada, a Montreal, e proprio l’embargo canadese sul fossile russo sarebbe ora il massimo impedimento. Le reazioni sono prevedibili: mercati nel panico, futures a breve scadenza che tornano a schizzare e sfiorare 1,5 €/smc. Il vicecancelliere tedesco Habeck diffonde un appello pubblico «a cittadini e imprese» perché si adoperino quanto più possibile per risparmiare energia e gas naturale.

Andamento dei flussi giornalieri di gas dalla Russia attraverso le principali rotte (escluso TurkStream).

Fonte: Refinitiv, TSO nazionali

Il regolatore tedesco esclude la presenza di nessi causali ragionevoli tra la questione con Siemens e il gigantesco crollo nei flussi. I toni si scaldano in fretta: il CEO di Gazprom Miller afferma che nel periodo di consuete manutenzioni di luglio (che comporta lo shutdown del gasdotto per più di una settimana) sarà impossibile inviare le turbine dei compressori in Canada e che non ci sarebbero alternative praticabili. In questi termini si tratterebbe né più né meno di una dichiarazione di aperta ostilità, visto che nel frattempo non si registra alcun incremento dei flussi attraverso la rotta ucraina, che pure mantiene un sovrappiù di capacità inutilizzata all’entry point di Sudhza. L’Italia, che si trova di fatto al capolinea della rotta ucraina, sta avvertendo l’onda d’urto dell’affaire Nord Stream nella decurtazione delle nomine negli ultimi giorni (pur già scarsissime per nostra virtù: in questi primi 6 mesi la quota russa del fabbisogno è stata pari al 22% rispetto al 38% dell’anno scorso).

Andamento delle importazioni giornaliere di gas in Italia (i flussi russi sono un "di cui") vs. prelievi ed immissioni in stoccaggio

Fonte: SNAM.

Salvo smentite radicali è lampante l’innalzamento del livello di contrapposizione “muscolare” rispetto alle settimane di aprile e maggio, in cui tanto si è trattato nelle cancellerie occidentali per salvaguardare il nucleo di flussi “intoccabili” verso Germania e Italia lasciando che i campioni nazionali si assoggettassero all’escamotage dei doppi conti in rubli presso Gazprombank. In quel caso era stato sicuramente Putin a riportare una vittoria tattica (proteggendo peraltro il cambio), mentre coloro che voltavano le spalle alla revisione unilaterale dei contratti (Polonia, Bulgaria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Lituania) si vedevano sospendere le deliveries – naturalmente in una posizione di fattibilità nel rispettivo bilancio domanda-offerta e nella stazza del proprio fabbisogno, per quanto si sia trattato di scelte sofferte.

Punto due: quali sono le reazioni del sistema e le relative tutele che lo stesso va faticosamente costruendosi? A livello di salvaguardia dei consumi non sostituibili va sicuramente monitorato giorno per giorno il riempimento degli stoccaggi. Le iniezioni della prima parte del terzo trimestre (fino al tracollo di Nord Stream) hanno mantenuto un ritmo record, superiore addirittura a quello del 2020. Al momento si stima che di questo passo al 01/11 si arriverebbe a livello comunitario a centrare il target dell’80% adottato, sebbene permangano alcuni nodi da sciogliere (il riempimento “di Stato” dei depositi requisiti a Gazprom Germania come Rehden e la parziale riattivazione del mega-sito di Rough in Inghilterra da parte di Centrica). Stenta invece il riempimento italiano, dopo alcune sessioni convincenti a metà maggio e nonostante i vari incentivi introdotti dal MiTE (premio di giacenza a 5€/MWh, contratti per differenza a due vie per abbattere il rischio-prezzo in capo agli operatori nel periodo di erogazione). La «tempesta» ora in atto mette a repentaglio i buoni risultati ottenuti finora, ma senza renderli irraggiungibili – a patto che le minacce di Miller non si concretizzino: in quel caso, nell’opzione “zero”, il continente avrebbe non più di due mesi di autonomia facendo affidamento solo sugli stoccaggi e sulle altre fonti. Siamo comunque a valle del decisivo regolamento per la gestione congiunta delle scorte: i paesi sprovvisti di adeguata capacità hanno accesso agli stoccaggi in altri paesi per il 15% dei propri consumi annui (gli obblighi di riempimento saranno imputabili a livello nazionale solo per il 35% del consumo medio, per evitare una sproporzione). Si spera che ciò aiuti.

La distribuzione fortemente ineguale della capacità di stoccaggio (in % sul consumo annuo 2021)

Fonti dei dati: Refinitiv, Eurostat, ENTSO-G

Per quanto riguarda invece le tutele che dovrebbero materializzarsi sotto forma di sostituzione dei prelievi di gas, il governo tedesco ha annunciato la mossa «amara ma necessaria» di aumentare l’uso del carbone per la generazione elettrica il prossimo inverno (riportando in uso per i prossimi due anni fino a 10 GW di capacità già in mothballing). Anche Austria e Paesi Bassi hanno formulato piani del medesimo tenore (Amsterdam cambierà una legge che impone alle centrali a carbone di funzionare al 35% della capacità), portando al rialzo i futures, iniziando a intaccare le scorte nei porti europei (pur in buono stato in vista dell’embargo sul carbone russo di agosto) e soprattutto soffocando silenziosamente le speranze di raggiungere gli ambiziosi target di decarbonizzazione della generazione elettrica inseriti nel Green Deal.

Certo, anche le rinnovabili sono parte integrante della soluzione: persino in Italia grazie al fast-tracking sulle autorizzazioni ambientali sono stati approvati 3 GW per nuovi impianti FER nei primi 4 mesi del 2022 e altri 4 GW sono in corso di valutazione. Si tratta di un’accelerazione notevole, visto che negli ultimi anni la media dei nuovi impianti costruiti è stata inferiore a 1 GW. La nuova capacità online è però faccenda di medio periodo, magari corroborata dal nascente mercato dei corporate PPA; il gas-to-coal switching nelle centrali termiche invece è istantaneo e questo inverno ci serviranno risposte immediate per non dover ricorrere al razionamento.

Ma una volta fatto ricorso allo switching di cui è tecnicamente plausibile ipotizzare, sarà il gas a continuare a portare il peso del bilanciamento di rete, in un orizzonte reso molto più minaccioso – come se ce ne fosse il bisogno – dallo stress senza precedenti che sta attraversando il parco nucleare francese, gradone insostituibile anche per i bilanci dei paesi contigui (da Roma a Berlino). Per la terza volta da inizio anno cala la scure di EDF sulle proiezioni per il 2022 dell’output transalpino, che scende dai 295-315 TWh a febbraio alla nuova fascia 280-300 TWh. Rilevata la presenza di casi di «corrosione sotto sforzo» in almeno 3 dei 12 reattori attualmente spenti e oggetto di indagine, la procedura di rimpiazzo delle porzioni di circuiti interessate abbisogna di gare ad hoc e di parecchi mesi di lavori. Il direttore dell’ASN (Autorité de Sûreté Nucléaire) ha dichiarato che il sistema elettrico soffre di una «doppia fragilità inedita» (nucleare + gas) e che le cause dei problemi di corrosione sono «ancora ignote» e richiedono «un piano di grande scala» per risolverle «in molti anni». I futures francesi per l’inverno viaggiano attorno ai 500 €/MWh. Basterebbe questo.

Il 2022 non è parco di allarmi e sciagure. In diverse aree dell’Europa continentale, tra cui purtroppo l’Italia centro-settentrionale, è drammatico il quadro di siccità prodotto dalla mancanza di precipitazioni decenti. Gli invasi alpini, reduci da una stagione di riempimento modestissima, non potranno dare alcun significativo contributo idroelettrico al mix nazionale nei prossimi mesi; anzi, la condizione di severità estrema (che potrebbe essere innalzata a livello di emergenza già questa settimana) influirà anche sui prelievi a scopo di raffreddamento da parte delle centrali termoelettriche.

Già a maggio e a giugno due precoci heatwaves hanno colpito soprattutto la Francia e parte della Germania, oltre al nord della Spagna e dell’Italia. Le temperature nella seconda ondata, violentissima, sono state di oltre +10°C (in alcuni casi +20°C!) superiori alle medie stagionali. È fortissima la pressione sulle reti elettriche, non solo per le esigenze di raffreddamento degli edifici, ma anche perché oltre un certo gradiente termico nell’acqua dei fiumi le centrali stesse rischiano di dover fermarsi (a cominciare da quelle nucleari, che la utilizzano per il raffreddamento dei circuiti e per la trasmissione del calore dal nocciolo alle turbine). Peraltro, le ondate di calore riducono pesantemente anche l’efficienza dei pannelli fotovoltaici.

Non ci sono certezze su di un’estate torrida, certo, ma oramai abbiamo un ragionevolissimo grado di sicurezza su di un’estate in deficit idrico e su di un inverno a reattori spenti. Aggiungiamo un paradosso a mo’ di chiosa: il cap al prezzo del gas ad uso termoelettrico approvato in Spagna e Portogallo sta producendo come conseguenza avversa proprio l’aumento ulteriore della sua quota nel mix: un assaggio possibile in caso di estensione all’intera Europa di questa misura.

Chiudiamo dunque il cerchio, tornando alle vulnerabilità delle forniture. Il gioco perverso intavolato dalla Russia a valle dell’invasione dell’Ucraina aumenta (per sottrazione) l’importanza delle altre provenienze. Qualsiasi manutenzione imprevista e duratura dalla piattaforma continentale norvegese avrebbe un ulteriore impatto peggiorativo sui prezzi. Un incendio il 09/06 ha messo fuori uso il terminal di liquefazione di Freeport (Texas), il terzo negli USA, che recentemente ha rifornito in abbondanza l’Europa occidentale (10% dell’import quest’anno). L’impianto resterà fuori uso per almeno tre mesi e un suo rientro completo non avverrà prima di fine anno. Ciò renderà molto difficile il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato a marzo da Biden e Von der Leyen (+15 bcm all’Europa entro l’anno) e probabilmente non mancherà di aumentare la competizione tra Europa e Asia non appena la domanda di quest’ultima (soprattutto cinesi) riprenderà quota in vista dell’inverno.

In Italia, l’Algeria si ritaglia una nuova parte da attore protagonista (31% delle forniture ytd), ragion per cui osserviamo con attenzione il peggioramento dei rapporti diplomatici tra Algeri e Madrid. Di seguito alla conferma della posizione filo-marocchina del governo Sánchez sulla questione del Sahara Occidentale (che vede contrapposti Algeria e Marocco) è sospeso un trattato di amicizia risalente a 20 anni fa e minacciata la rottura di tutti i rapporti commerciali in essere. Il promesso ampliamento della capacità massima di Medgaz da 8 a 11 bcm annui ne è la prima vittima dopo che i flussi verso la Spagna erano stati ridotti di un terzo ad ottobre, con la chiusura del gasdotto Maghreb Europe. Dal degenerare della situazione potrebbe naturalmente trarre vantaggio l’Italia nel breve-medio termine, ma non è chiaro il grado di prevalenza dei consumi interni dato dal governo algerino.

Panorama dei flussi di gas dall'Algeria

Fonti: Refinitiv, SNAM, JODI.

Non è comunque il caso di vedere il bicchiere mezzo pieno, almeno per ora. Per quanto sembri che il processo di “weaponization” dell’energia possa rimanere limitato alla Russia, l’insieme di problemi sistemici – più o meno dipendenti dagli errori di valutazione del passato – si salda in un quadro di potenziale caos. Non si sa in quali condizioni ne usciremo, ma si sa fin da ora che il raggio d’azione dei governi per assorbirne gli impatti dovrà essere come mai prima esteso e calibrato con precisione.