Tra tutti i grafici proposti annualmente dall’AIE nel suo World Energy Outlook ce n’è uno che rappresenta, per dirla con Nietzsche, “l’eterno ritorno dell’uguale”. Cambiano le stagioni, ma il grafico ritorna più o meno identico: è quello che confronta le emissioni del New Policies Scenario – da quest’anno ribattezzato Stated Policies Scenario (SPS) – con quelle del Sustainable Development Scenario. In parole semplici, si confronta “ciò che è” con “ciò che dovrebbe essere”, ovvero il “dove stiamo andando” con il “dove dovremmo andare”.
Povertà energetica e clima: due facce della stessa medaglia, quella della sostenibilità. Dalla pubblicazione del Rapporto Brundtland in poi, la sostenibilità è stata interpretata come un concetto basato su due equità: quella inter-generazionale, ovvero la protezione del pianeta nel tempo, e quella intra-generazionale, ovvero la giustizia all’interno della stessa generazione, lo sradicamento della povertà, anche di quella energetica ovviamente.
Di certo, qualora vi fosse un'area di leadership che l'Unione Europea, tra le mille astenie e divisioni interne, può vantare, essa è rappresenta dalle policy a favore dell'ambiente e della sostenibilità. Da Kyoto in poi la sua azione a favore di vincoli stringenti alla riduzione delle emissioni è stata continua. Lo stesso target dei 2° C, fulcro dell'Accordo di Parigi, è stato proposto dall'Unione Europea nel lontano 1996. In altri termini, ci sono voluti 20 anni prima che gli altri paesi si allineassero all'Europa. Ciò che si evince studiando target, strategie e documenti della UE è che essa crede con fermezza nell'eden della sostenibilità.
Per chi si occupa di clima la pubblicazione annuale del World Energy Outlook, ormai una ricorrenza mondiale, avviene all'insegna di una domanda implicita: lo scenario energetico più importante del mondo conterrà qualche segnale di riduzione delle emissioni? Come un eterno ritorno dell'identico la domanda si ripropone immutata ogni anno, sotto la spinta di dati e segnali che si raccolgono durante i mesi che precedono il WEO, che segnalano espansioni delle rinnovabili o avanzamenti nell'ambito della decarbonizzazione.
La formazione del settore energetico ha esperito un processo evolutivo che nel giro di tre decenni l’ha trasformata radicalmente. Tale mutamento non è altro che il riflesso di quello, più ampio, che lo stesso settore ha vissuto e sta vivendo, che a sua volte riflette quello della società intera. L’industria energetica, infatti, non accade nel vuoto, piuttosto essa avviene e diviene all’interno di quel grande contenitore di azioni, idee e sentimenti che è la società. Di qui un rapporto dialettico che trasforma, nello stesso tempo, la società e l’industria: la prima fa la seconda, e viceversa.
Gli anni dal 2014 al 2016 sono stati caratterizzati da un elemento molto positivo: la stabilità delle emissioni di anidride carbonica a livello mondiale. Il dato è notevole, se si pensa che dal 1992 in poi le emissioni erano sempre cresciute, con l’eccezione del 2009, anno caratterizzato dalla recessione economica mondiale.
Le COP sul clima si dividono in due categorie: quelle che danno origine a un nuovo corso di azioni - idealmente a una nuova traiettoria delle emissioni, o anche a nuove regole del gioco - e quelle che limano aspetti operativi dell’accordo, di maggiore o di minore importanza. Esempi della prima categoria sono Kyoto 1997 e Parigi 2015, forse anche Marrakech 2001, e in negativo Copenaghen 2009. Nel secondo insieme rientrano tutte le altre, e quindi anche la COP 23 da poco conclusa.
Il G7 sull’Ambiente si è svolto dopo la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima. Si tratta di una decisione che ha portata storica e che, inevitabilmente, ha proiettato un’ombra sinistra sul G7 di Bologna, ridimensionandone la valenza. Con monotona circolarità, la storia si ripete: Trump sta all’accordo di Parigi come George W. Bush sta al Protocollo di Kyoto. Entrambi rifiutano un accordo che la comunità internazionale reputa epocale per la lotta al cambiamento climatico: eccessivo lo sforzo per la maggiore potenza del mondo, iniqua la distribuzione dei tagli.
2005: l’Unione Europea introduce l’ETS. 2017: l’Unione Europea riforma l’ETS. Tra le due date intercorrono 12 anni di modifiche, proposte, revisioni, ricorsi alla Corte di Giustizia europea, dibattiti, pareri di esperti, consultazioni delle parti, riforme, decisioni della stessa Corte. In ultimo, il sistema non funziona come dovrebbe. I prezzi delle quote di CO2 sono troppo bassi - circa 5 €/ton - e dunque non stimolano quel processo di switch dalle fonti più inquinanti a quelle più pulite - ad esempio dal carbone al gas - che rappresenta il fine intermedio dell’ETS, funzionale a quello ultimo, la riduzione delle emissioni. Di qui la proposta di direttiva approvata dal Parlamento europeo circa un mese fa che prevede:
Dove porta la traiettoria che parte da Parigi? Verso i 2°C, come scritto nel testo dell'accordo, oppure verso un punto critico, forse di non ritorno per il clima del pianeta? Ad un anno di distanza dal Paris Agreement della COP21 non emergono con sufficiente chiarezza segnali che possano dirimere la questione. I punti sono posizionati tanto nel quadrante positivo quanto in quello negativo: di qui la difficoltà di lettura.
In positivo, due punti: il fatto che a Parigi sia stato firmato un accordo voluto da tutti i paesi e, ancora, che l’accordo sia stato già ratificato. E’ stato infatti sufficiente un solo anno affinché il 5 ottobre 2016 – in seguito all’accelerazione impressa al processo di ratifica da USA e Cina a settembre – si raggiungessero le due condizioni soglia richieste per la sua entrata in vigore: ratifica da parte di 55 paesi le cui emissioni rappresentano il 55% del totale. In sostanza, l’accordo è entrato in vigore 30 giorni dopo il conseguimento delle soglie, il 4 novembre 2016. Questo secondo punto è assai rilevante se si riflette sul fatto che occorsero ben 7 anni per pervenire alla ratifica del Protocollo di Kyoto, firmato nel dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005.