C’è un grafico che con icastica semplicità racconta dove siamo, dove stiamo andando, dove dovremmo andare e cosa ha rappresentato la pandemia per il clima. Del grafico non c’è traccia all’interno del WEO 2020, ma l’AIE lo propone nelle slide della launch presentation.

Il grafico ci dice quattro semplici cose:

  • le emissioni di CO2 da combustibili fossili sono cresciute, dell’1% per la precisione, dal 2010 al 2019.
  • Le emissioni non diminuiranno, ma saranno più o meno stabili nel periodo 2019-2070, se si adottano le policy esplicitate dagli Stati (scenario STEPS, Stated Policies Scenario).
  • Le emissioni dovrebbero scendere a zero nel 2070, contro i 33 miliardi di tonnellate dello scenario STEPs, se si vuole contenere la crescita della temperatura entro i 2°C (scenario SDS). Gli impegni di emissioni nette pari a zero da parte di aree importanti quali ad esempio Europa, Regno Unito, Cina, Nuova Zelanda non consentono di raggiungere il target, pur nell’ipotesi ottimistica che siano tutte realizzate.
  • Emissioni nette pari a zero nel 2050 implicano una distanza abissale rispetto all’attuale traiettoria.

Emissioni di CO2 negli Scenari del WEO 2020

Fonte: OECD/IEA 2020, World Energy Outlook, Launch Presentation, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

In sintesi, passato uguale crescita CO2; policy dichiarate (STEPs) uguale stabilità; 2°C (SDS) uguale distanza profonda da STEPs; net zero emissions: salto quantico. Tralasciando i quanti e soffermandosi sui più umani STEPs ed SDS e su un orizzonte temporale di soli 10 anni, facciamo parlare i numeri. La tavola seguente riporta i tassi di crescita medi annui della CO2 da combustione fossile nel periodo 2010-2019, nello scenario STEPs e in quello SDS al 2030. Per la CO2 totale si tratta di passare da una crescita di circa l’1% annuo a una diminuzione del 2,8% (5% per il settore elettrico e 1,6% per i consumi finali). En passant diciamo che sull’orizzonte al 2040, la diminuzione annua diventa 3,8% (6,7% per il settore elettrico e 2,6% per i consumi finali).

CO2: tassi di crescita medi annui

Fonte: Elaborazione autore su dati AIE, WEO 2020

È possibile uno scatto del genere? È possibile invertire la rotta e procedere nella direzione opposta a velocità tripla (al 2030) o quadrupla (al 2040) rispetto a quella dei dieci anni precedenti? Per usare un’immagine è come se una persona che pesa intorno a 100 kg, e che nei dieci anni precedenti è ingrassata al ritmo di 1 kg all’anno, dovesse dimagrire di punto in bianco di 3-4 kg all’anno nelle decadi a venire. Detta così, il nuovo corso dietetico appare proibitivo e improbabile, ma la realtà è più complessa. A favore della nuova dieta vi sono almeno tre elementi: il primo è che la persona ha già cominciato a cambiare stile di vita, tanto che nell’ultimo anno rendicontato (2018-2019) il suo peso è rimasto sostanzialmente invariato. Dunque, c’è già stato un cambio di passo e pertanto il -2,8% delle emissioni globali non andrebbe confrontato con i dieci anni precedenti ma con l’ultimo anno. In secondo luogo, nell’ultimo anno (2020) un imprevisto squilibrio organico, del tutto casuale, ha limitato fortemente i suoi appetiti tanto da fargli perdere 7-8 kg. Non solo, verosimilmente lo squilibrio avrà effetti, seppure ridotti, anche nel 2021. Dopo il 2021 occorrerà capire cosa accade, poiché non è da escludere che la fame repressa riemerga sontuosa dagli abissi facendo nuovamente lievitare il suo peso. Ma qui interviene il terzo elemento, ovvero la volontà della persona. Io diviso per eccellenza, la persona a dieta si dimena tra due poli di attrazione: un vecchio io dedito al cibo e un nuovo io che quella dedizione vorrebbe cancellare. Nella misura in cui si rafforza la determinazione del secondo io, il primo si indebolisce. Ora, effettivamente, negli ultimi mesi parti dell’io nuovo hanno manifestato un rinnovato slancio tanto da indurlo a esplicitare con fermezza e decisione obiettivi di riduzione del peso sfidanti e senza precedenti.

Abbandonando la metafora dietetica e tornando al clima, c’è da chiedersi se gli obiettivi di zero net emissions esplicitati da aree importanti quali l’Unione Europea e la Cina rappresentino un volano sufficiente a portare l’intero pianeta sulla giusta traiettoria. In sé stessi, come evidenzia il grafico dell’AIE mostrato sopra, essi non hanno forza sufficiente e la distanza dal target è ancora ampia; ma nulla esclude che possano manifestarsi effetti imitazione spingendo altri paesi in direzione analoga. La recente elezione di Biden è elemento di novità importante e potrebbe soffiare vento vigoroso sulla vela della decarbonizzazione.  In sintesi, pur se la brutalità dei numeri induce cautela, se non disperazione, occorre riconoscere che qualcosa è mutato e che i net zero emission pledges rappresentano una variabile importante nella partita del clima che potrebbe rovesciare gli equilibri della partita. Certo, una volta acquisito questo nuovo quadro, si entra nella questione della fattibilità dei net zero emissions target. Ciò che la storia ha evidenziato fino ad oggi è la sconfitta secca delle policy climatiche da Rio de Janeiro in poi, ovvero dalla creazione della UNFCCC. La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici non è riuscita a produrre effetti visibili. Non è un’opinione, ma una semplice constatazione fattuale suffragata dai dati: la pendenza della curva della CO2 dal 1900 in poi non reca traccia dell’azione della UNFCCC. Piuttosto, essa registra puntualmente le cicatrici delle crisi economiche (grande depressione, shock petrolifero, 2008), delle guerre e, oggi, della pandemia.

Emissioni globali di CO2 relative al comparto energetico, 1900-2020

 

Fonte: OECD/IEA 2020, Global Energy Review 2020, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

In altre parole, tutte le volte che le emissioni di carbonio sono diminuite a livello mondiale ciò è accaduto per effetto di una frenata dell’economia e non per balzi in avanti dell’efficienza o delle rinnovabili indotte dalle policy. Fino ad oggi la storia, incontrovertibile, è stata questa. Oggi, però, alcuni paesi gettano il cuore oltre l’ostacolo e sfidano il dato bruto delle serie storiche asserendo di poter riorientare i transatlantici delle proprie economie compiendo, nel giro di 3-4 decadi, rivoluzioni copernicane senza precedenti. E infatti la storia non conosce esempi di paradigmi energetici ed economici rovesciati per effetto di decisioni di policy calate dall’alto. La storia dell’economia è bottom-up: sono sempre stati gli animal spirits degli agenti economici e la chimica del mercato che, sfruttando l’innovazione tecnologica, hanno fatto decollare prima il carbone, ai danni della legna, poi il petrolio e infine il gas. Il regolatore, dall’alto, non è mai stato deus ex machina del congegno complicato dell’economia: al massimo ne ha riattivato la batteria scarica (New Deal) o dato un colpetto alla traiettoria dell’automobile (QE). Green Deal e Green New Deal sono personaggi neofiti sul palcoscenico della storia economica. Essi ambiscono a generare, per regolazione, un cambiamento che nella storia è sempre avvenuto per libera forza di mercato. È vero che nuovi equilibri di mercato avanzano spontaneamente, ovvero che la competitività delle rinnovabili è ogni giorno maggiore. Ma è altrettanto innegabile che il passo è tutt’altro che svelto e che il decremento dell’intensità carbonica dell’energia è estremamente lento.

Vale la pena riproporre qui due coppie di numeri che più di altri descrivono l’astenia della transizione energetica: l’intensità carbonica dell’energia primaria che nel 1990 era pari a 2,32 (tCO2/tep), nel 2019 è stata pari a 2,31. Ripetendo lo stesso confronto per il settore elettrico si ottengono i seguenti valori: 2,50 e 2,48. In altre parole, anche nel contesto più dinamico della green energy, ovvero la generazione elettrica, il passo è oltremodo pigro. È altresì interessante osservare come il quadro cambi qualora si getti lo sguardo su una realtà caratterizzata da una maggiore evoluzione green quale l’Unione Europa. Se nel 1990 l’intensità carbonica dell’energia primaria era pari a 2,45, nel 2019 essa passa a 1,85. Nel settore elettrico il decremento è stato da 2,32 a 1,42. Ed è altrettanto interessante sottolineare come i due coefficienti fossero rispettivamente pari, nel 2018, a 1,92 e 1,57. In altri termini, il miglioramento c’è ed è visibile, di anno in anno. Come mero esercizio speculativo, quasi un divertissement, potremmo calcolare l’anno in cui l’intensità carbonica diventa nulla - ovvero il mix energetico è totalmente decarbonizzato - nell’ipotesi che il coefficiente di intensità carbonica si riduca nella stessa misura in cui si è ridotto tra il 2018 e il 2019. I risultati della simulazione sono mostrati nella tavola seguente, in cui si riportano, per comodità del lettore, anche i diversi valori dell’intensità carbonica finora citati.

Intensità carbonica nel mondo e in Unione Europea

Fonte: Elaborazione autore su dati AIE, WEO 2020 e WEO 2008

Si può notare la distanza enorme che separa l’Unione Europea dal resto del mondo. L’UE raggiungerebbe la completa neutralità carbonica nel 2044 e nel 2028, rispettivamente per la propria energia primaria e per il settore elettrico. A livello mondiale ciò accadrebbe nel 2159 e nel 2076, ovvero bel al di là del 2070, anno in cui secondo l’AIE il mondo dovrebbe azzerare le proprie emissioni se si vuole contenere la crescita della temperatura entro i 2°C (scenario SDS).

Dunque, la velocità corrente della transizione energetica è a livello globale gravemente insufficiente. Di qui la necessità di attivare un nuovo corso verde che, spinto dal soffio del regolatore, possa accelerare il passo fiacco delle forze di mercato. Riuscirà l’operazione? Nutriamo molti dubbi che una risposta positiva sia possibile, ma non possiamo escluderlo. Soprattutto vogliamo sperarlo. E tuttavia non si può non sottolineare che finché la bottiglia è piena di barolo c’è poco spazio per il bordeaux, per quanto ottimo esso sia. Nessuno getta a mare del delizioso barolo perché c’è un bordeaux pronto per essere imbottigliato. Fuor di metafora, nessuno sostituisce il boiler a gas da poco installato con pannelli fotovoltaici, oppure la Ford alimentata a diesel comprata l’anno prima perché vede una Tesla nella vetrina del concessionario. In altri termini, lo spazio di penetrazione delle rinnovabili è limitato dal fatto che essa avviene al margine, ossia per le nuove opzioni energetiche disponibili, addizionali a ciò che già esiste ed è fossile, oppure in sostituzione di quanto, fossile, è giunto a fine del proprio ciclo di vita. È questo un punto centrale la cui importanza l’AIE si è sforzata di sottolineare nella presente edizione del WEO, dopo averlo già fatto nell’edizione del 2011. Il grafico che segue, anch’esso tratto dalla lunch presentation, mostra come l’utilizzo delle correnti infrastrutture energetiche fossili, fino al termine del proprio ciclo di vita, incorpori un quantitativo di carbonio traducibile in +1,65°C. In parole semplici, non si può attendere la fine del ciclo di vita della tecnologia esistente altrimenti, per parafrasare l’AIE, “the associated 1.65 °C global average temperature increase would put all climate goals out of reach”.

Impatto delle infrastrutture energetiche esistenti sulla temperatura del pianeta

Fonte: OECD/IEA 2020, World Energy Outlook, Launch Presentation, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

Dunque, le infrastrutture esistenti, da un lato, rallentano la penetrazione del low carbon perché ne riducono gli spazi, dall’altro, incorporano emissioni potenziali che giorno dopo giorno si fanno reali aumentando la temperatura del pianeta.

Tutti i numeri che l’AIE ci mostra evidenziano la criticità della situazione e ci dicono che il prossimo decennio è critico perché se non saremo in grado di collocarci sulla traiettoria SDS, già oggi assai sfidante per il genere umano, diverrà sempre più improbabile farlo nel futuro rispettando i tempi, che purtroppo sono stretti. In tale contesto diventa oltremodo rilevante puntare anche sull’opzione di compensazione delle emissioni via riforestazione, uno strumento che potrebbe dare un contributo considerevole al contenimento della crescita della temperatura. Ciò è tanto più vero in un periodo in cui le policy sono ancora incerte e fiacche, come i numeri – nella loro perentorietà incontrovertibile – mostrano.

Un eventuale fallimento delle politiche nel decennio 2020-2030 comporterebbe un allontanamento aritmetico dal target dei 2°C, ma avrebbe anche un valore simbolico e morale. Nella misura in cui le policy falliscono emerge l’ampiezza del loro contenuto retorico, la loro viscosità burocratica, il wishful thinking dei policy maker. Il fallimento, in ultimo, di un genere umano distratto e svagato, assopito.

Nota: Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non vanno ascritte all’azienda nella quale egli lavora.