Per chi si occupa di clima la pubblicazione annuale del World Energy Outlook, ormai una ricorrenza mondiale, avviene all'insegna di una domanda implicita: lo scenario energetico più importante del mondo conterrà qualche segnale di riduzione delle emissioni? Come un eterno ritorno dell'identico la domanda si ripropone immutata ogni anno, sotto la spinta di dati e segnali che si raccolgono durante i mesi che precedono il WEO, che segnalano espansioni delle rinnovabili o avanzamenti nell'ambito della decarbonizzazione. La stessa IEA, all’interno del WEO, sottolinea i progressi verso una diffusione capillare dell'elettricità generata da fonti a basso o nullo contenuto di carbonio. Si ha quasi l’impressione che la IEA voglia dare un messaggio di speranza e di conferma della possibilità di un futuro energetico diverso. Tuttavia, puntualmente, i fuochi di artificio della dichiarata decarbonizzazione si scontrano con la brutalità del dato sulle emissioni contenuto nel WEO, sia esso quello concernente le azioni di policy pianificate (New Policies Scenario) o ancor peggio quello tendenziale (Current Policies). Questa è stata l’amara realtà degli anni passati e questa è la triste situazione descritta nello scenario di quest’anno. Anzi, lo scenario presentato a Londra lo scorso 13 novembre è quanto mai negativo nelle sue conclusioni di fondo.

Nell’Executive Summary si possono leggere le seguenti implacabili parole della IEA: “Nello Scenario New Energy Policy, le emissioni di anidride carbonica derivanti dal sistema energetico seguono una direttrice di lento aumento da qui al 2040, ma questa traiettoria non si concilia affatto con quella che, secondo il mondo scientifico, sarebbe necessario percorrere per contrastare il cambiamento climatico (…) Il trend emissivo previsto rappresenta un grande fallimento collettivo nel far fronte agli impatti ambientali associati all’uso di energia”. Forse mai la IEA era stata così negativa e così esplicita: “a major collective failure”, questa l’espressione usata, laddove la parola “collective” punta il dito su un’intera generazione di esseri umani, inerme di fronte al disastro che essa stessa segnala.

La situazione ha del paradossale perché, a fronte di dati positivi relativi al presente - le rinnovabili si espandono come non mai e l’efficienza energetica avanza - ci si aspetterebbe ancor di più dati positivi circa un futuro posto a distanza di un paio di decadi. E invece, come il criceto che gira nella ruota, l’essere umano si ritrova al punto di partenza: le rinnovabili si espandono, ma “a major collective failure” si manifesta. Dunque che cosa accade? Sono errati i dati del presente? La dichiarata decarbonizzazione è fenomeno fittizio? Nulla affatto: la transizione energetica è avviata ed effettivamente, come dice la IEA, la grande crescita della domanda energetica sarà soddisfatta dalle fonti verdi a scapito di quelle fossili, carbone in primis, e la quota di generazione da rinnovabili aumenterà dall’attuale 25% al 40% nel 2040, mentre il carbone seguirà il percorso inverso. E tuttavia, ciò non è sufficiente, perché tale transizione energetica - che è fenomeno concreto e reale - non ha velocità sufficiente per contrastare la crescita delle emissioni, e nella questione climatica la velocità delle policy è tutto, o quasi. Di qui il dato terribile delle emissioni che la IEA sintetizza in un grafico a pagina 106, il quale confronta le emissioni dello scenario New Policies con quelle dello scenario Sustainable Development, ovvero quello che porterebbe agli ambiti 2°C. 

Fig. 1 – 2010-2040: Emissioni di CO2 per Regioni nel NPS

Fonte: Figura 2.10 del WEO 2018  © OECD/IEA 2018 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

In sintesi, nel 2040 le emissioni di CO2 prodotte dal sistema energetico dovrebbero essere 17,6 miliardi, invece saranno 35,8 miliardi. Per ironia della sorte il dato ha una sua rotondità scultorea: emetteremmo il doppio di quanto dovremmo! Domanda: è eccessivo dire, di fronte a questo dato, che la situazione è disperata? E’ eccessivo dire che il genere umano vive una sorta dissonanza cognitiva che lo porta, da una parte verso la rimozione del futuro disastro planetario e, dall’altra, verso un compiacimento melenso per i pochi progressi ottenuti?

A pagina 112 la IEA propone un altro grafico interessante sulle emissioni, nel quale si mostra – questa volta con un orizzonte al 2030 – come il New Policies Scenario coincida di fatto con gli impegni assunti dai Paesi a Parigi (Nationally Determined Contributions, NDC) ma sia assai distante sia dall’obiettivo dei 2°C (SDS) sia dal Bridge Scenario che la IEA aveva presentato nel 2015, proprio in coincidenza con la Conferenza di Parigi.

Fig. 2 – 2015-2030: Emissioni di CO2 in diversi scenari

Fonte: Elaborazione di RiEnergia su dati © OECD/IEA 2018 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

In parole povere, mostrando la coincidenza degli scenari NPS ed NDC, la IEA ci sta dicendo che il problema non risiede nel fatto che i Paesi non stanno facendo ciò che hanno dichiarato a Parigi, piuttosto che il problema è proprio lì, nella coincidenza tra target dichiarati e realtà. Il problema nasce dal fatto che gli impegni assunti, pur essendo qualcosa di positivo - senza gli NDC, le tonnellate di CO2 emesse sarebbero non 35,8 ma addirittura 42,5 miliardi - non sono sufficienti a centrare l’obiettivo ultimo dei 2°C. In sostanza, a distanza di tre anni, il nodo dell’Accordo viene al pettine: i Paesi hanno detto di volere i 2°C, o addirittura l’1,5°C, ma hanno poi assunto impegni che li portano verso i 3°C. E ciò emerge nello stesso anno in cui l’IPCC pubblica un rapporto nel quale raccomanda di contenere l’incremento di temperatura entro il grado e mezzo anziché entro i 2. In definitiva, la conclusione che si trae a distanza di tre anni è che, delle due interpretazioni estreme dell’Accordo di Parigi - Ban Ki-moon, “a monumental triumph for people and our planet”, James Hansen “a fraud really, a fake… no actions, just promises” -  quella del climatologo americano abbia un maggior contenuto di verità.

Questa è la situazione oggi, a meno che…. a meno che non accada qualcosa che faccia virare la traiettoria alta delle emissioni verso quella bassa. E qui veniamo alla COP 24 che tra qualche giorno si aprirà a Katowice, in Polonia. Ragioni di spazio impediscono di sintetizzare qui la mole ingente di contenuti tecnici che la Conferenza dovrà affrontare. Rimandiamo al bel rapporto di C2ES (Center for Climate and Energy Solutions) “Essential elements of the Paris Rulebook” Il report è interessante non solo perché consente, a chi voglia addentrarsi nei contenuti tecnici della COP 24, di impadronirsi dello stato dell’arte del negoziato, ma soprattutto perché la lettura delle pagine offre una descrizione del grado di complessità e di sofisticazione estrema che attraversa il negoziato internazionale. Siamo di fronte a una burocratica laboriosità della cui necessità non dubitiamo, ma la cui collocazione ci sentiamo di porre in discussione. In ultimo, il negoziato internazionale ruota intorno a due aree principali: obiettivi e meccanismi da una parte, procedure e regole dall’altra. Rientrano nella prima aspetti quali la dimensione dei tagli, l’entità dei loro incrementi periodici, la creazione di crediti di carbonio attraverso progetti esteri e riforestazione, l’entità e la distribuzione dei flussi finanziari a favore dei paesi emergenti. Fanno parte della seconda area le metodologie di contabilizzazione delle emissioni, i criteri di trasparenza nell’esplicitazione dei progressi conseguiti, la misurazione dei benefici associati alle azioni di adattamento, ecc. E’ chiaro che le due aree di azioni hanno peso diverso: la prima potrebbe essere definita il motore della lotta al cambiamento climatico, la seconda gli accessori. Certo, senza regole e procedure si rischia disordine e confusione, e pertanto, entro certi limiti, esse sono necessarie. Tuttavia, riteniamo che l’intero sforzo del negoziato dovrebbe essere concentrato sul cambio della pendenza della curva del negoziato, ovvero sul motore, e non su metodologie che, per quanto importanti, rimangono un accessorio. Ci sarebbe molto da discutere in merito alla pendenza della traiettoria del carbonio, perché la sua modifica è possibile, come evidenzia il terzo e ultimo grafico tratto dal WEO 2018 (pag. 113) che qui esporremo:

Fig. 3 – 2010-2040: Riduzioni di CO2 e metano nello scenario SDS rispetto all’NPS

Fonte: Figura 2.16 del WEO 2018 © OECD/IEA 2018 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

Si tratta di un grafico di grande speranza che mostra, non solo come sia tecnicamente possibile passare dalla curva New Policies a quella Sustainable Development, ma come circa metà dell’abbattimento possa essere realizzato attraverso misure, già individuate nel Bridge Scenario, che hanno costo netto nullo. Ora, il Bridge Scenario era stato proposto dalla IEA nel 2015, come contributo alla COP 21 di Parigi. Tre anni dopo, la IEA torna a segnalarne l’opportunità. La ragione vorrebbe che l’imminente Conferenza delle Parti dedicasse le sue energie a temi quali la cattura dell’enorme potenziale di abbattimento segnalato dalla IEA, come pure da altre prestigiose istituzioni, ad esempio stimolando – se non elaborando – semplici proposte di regolazione che possano favorire questo risultato. Tuttavia, nulla di tutto questo accadrà perché, dopo oltre mille giorni dal Paris Agreement, il negoziato è ancora impelagato nella definizione del Rulebook, ovvero delle regole del gioco, cioè gli accessori. In particolare, si discuterà su come attuare quanto deciso a Parigi, sui criteri tesi a garantire la trasparenza delle azioni, sullo sviluppo delle capacità, sulle tecnologie di adattamento, sugli aspetti finanziari. Il negoziato avverrà all’insegna del Dialogo di Talanoa, lanciato nel corso della COP 23 dalla Presidenza fijiana, che si articola su tre domande principali: “Dove siamo? Dove vogliamo andare? Come ci arriviamo?”. Ci auguriamo che almeno una piccola parte del “come” che compare nella terza domanda sia dedicata al motore del negoziato e non si trasformi in un accessorio tout court. L’impellenza di una riflessione sul come modificare la pendenza della traiettoria del carbonio non è che la logica conseguenza della diffusa consapevolezza – anche e soprattutto in seno alla UNFCCC – dell’insufficienza delle azioni dichiarate dai Paesi a Parigi. Ed infatti, l’articolo 4 dall’Accordo afferma che i Paesi devono comunicare nuovi obiettivi ogni 5 anni, e che essi devono rappresentare un miglioramento rispetto a quanto precedentemente dichiarato. Ciò significa che, a cominciare dal 2023, si farà un bilancio della situazione e le Parti dichiareranno nuovi e più impegnativi tagli delle emissioni.

C’è bisogno di fare di più, ma l’impressione che si ricava da queste prime COP dopo Parigi è che, purtroppo, la storia si ripeta. Cominciano ad apparire somiglianze marcate con il Protocollo di Kyoto: siglato nel 1997, attraverso una sequela di COP tecniche che è durata più di una decade, il negoziato ha progressivamente posposto la questione dell’individuazione dei nuovi obiettivi post-2012, fino ad arrivare fuori tempo massimo. Così Kyoto muore, e Parigi sorge, e ciò dà certo nuovo impulso alla lotta al climate change. Tuttavia la dinamica negoziale ricorda molto il passato e appare antica, lenta, burocratica e vischiosa. L’accento continua ad essere posto sugli accessori e non sul motore, nonostante esso sia lento e viaggi a velocità dimezzata rispetto a quanto dovrebbe. Questa è la fotografia, drammatica, della situazione odierna.

Chiudiamo l’articolo con un augurio rovesciato: che esso, soprattutto nella seconda parte, sia fallace e miope - errato nell’analisi e nelle conclusioni - e che la COP 24 e quelle a seguire possano smentirlo piegando la curva delle emissioni verso i 2°C o, ancor meglio, verso il grado e mezzo.

Nota: Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non vanno ascritte all’azienda nella quale egli lavora.