In questi due anni di pandemia ha dato prova di grande elasticità e coordinazione, ma adesso il delicato meccanismo che ha fatto funzionare il mercato del petrolio sta iniziando a cigolare, e non è chiaro se gli scricchiolii siano frutto della transitoria incertezza dei tempi oppure scaturiscano da motivi strutturali, sui quali sarebbe bene intervenire al più presto.
Secondo un copione che ha numerosi precedenti nella lunga storia del petrolio, gli ultimi mesi di questo anno hanno visto un repentino cambio nello scenario economico ed energetico.
Fino al mese di ottobre la ripresa economica indotta dai successi nella lotta al COVID-19 aveva spinto i prezzi del petrolio a riguadagnare e poi superare i livelli del 2019 dando per scontato un ritorno alla normalità ed alle abitudini sospese per un lungo periodo di tempo, con particolare riferimento agli spostamenti di persone e merci da un continente all'altro, consentendo quindi un netto recupero della domanda di questa fonte.
C’è la possibilità che inizi un superciclo per il mercato del petrolio? In altre parole, è davvero possibile che il Brent torni sopra quota 100 dollari al barile, come accadde otto anni fa, tra il 2013 e il 2014, oppure quei tempi sono definitivamente un ricordo? La risposta degli esperti è stata piuttosto categorica e univoca: questa possibilità non c’è. Perlomeno, non nei prossimi anni. Sono infatti ancora troppe le incertezze legate alla pandemia e al cambiamento di abitudini che essa ha innescato. Quindi, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia, la domanda di petrolio non tornerà ai livelli pre-Covid prima del 2023. Sempre se non ci saranno altre sorprese.
Considerando l’imperversare della pandemia e il conseguente crollo dei consumi, il prezzo del petrolio nel 2020 si è comportato abbastanza bene, eccezion fatta per quel terribile lunedì di fine aprile, quando un contratto in scadenza del WTI andò a finire per scambi maldestri virtualmente sottozero. Allora in tanti si chiesero se qualcosa sarebbe cambiato per sempre per il mercato petrolifero, ma in realtà – a parte una presa di coscienza da parte di alcuni trader improvvisati sulla complessità del mercato petrolifero – non è cambiato un bel niente.
L’emergenza Covid-19 sta avendo chiare ripercussioni a livello globale su tutti i settori produttivi e il settore energetico non è sicuramente escluso. Al contrario, sta registrando una contrazione dei consumi che i principali produttori energetici non possono trascurare. Il calo preoccupa tanto i producers di greggio quanto quelli del gas, sia nella sua forma piped che il GNL. Per quest’ultimo, in particolare, il calo della domanda si tradurrà non solo in annullamenti di contratti di fornitura a lungo termine, ma anche in rimodulazioni e differimenti delle decisioni sugli investimenti finanziari da parte dei principali paesi esportatori.
Le misure di confinamento imposte a causa della diffusione del Covid-19 hanno avuto un impatto significativo sulla mobilità di miliardi di persone e conseguentemente sulla domanda di petrolio. Nel mese di aprile quest’ultima è diminuita di 29 milioni di barili al giorno, quasi un terzo del consumo mondiale.
Sul fronte dei prezzi, il petrolio ha toccato valori mai visti nella sua lunga storia e il 20 aprile, il “Black Monday”, il prezzo del WTI, il greggio di riferimento degli Stati Uniti, ha raggiunto valori negativi, costringendo produttori e i trader a pagare per sbarazzarsi di un prodotto che non trovava compratori e che non poteva nemmeno essere stoccato.
Negli Stati Uniti il Covid-19 ha avuto ricadute pesanti sul settore Oil & Gas, accentuando le criticità legate a un contesto internazionale caratterizzato da prezzi bassi. Così come per altri paesi produttori, il comparto energetico sta risentendo del calo dei consumi conseguente alle misure di lockdown imposte per contenere la pandemia. Un calo che secondo le stime della Energy Information Agency (EIA) nel primo trimestre del 2020 si è attestato sui 5,8 mil.bbl/g rispetto allo stesso periodo del 2019.
Un’economia mondiale che fatica a crescere, una instabilità ormai frequente nelle quotazioni del greggio e dei prodotti petroliferi, una pandemia che sconvolge i consumi di energia a livello globale. In questo scenario che ormai in molti definiscono inedito, i principali attori dei mercati energetici stanno reagendo in maniera talvolta simile, talvolta del tutto differente. Insieme a Andrei Belyy, Professore Associato presso la University of Eastern Finland e fondatore della società di consulenza Balesene abbiamo intrapreso un viaggio per scoprire affinità e differenze nella gestione dell’incertezza, a partire dalla Russia.
Chi troppo in fretta sale cade sovente precipitevolissimevolmente. E questo si sa. Ma cosa succede a chi troppo in fondo cade? C’è da domandarselo, dopo che per la prima volta nella storia il futures sul WTI è stato scambiato in territorio negativo, arrivando a segnare -40 dollari al barile. È successo a inizio di questa settimana, lunedì in tarda serata, per motivi tecnici (l’avvicendarsi del contratto di maggio con quello di giugno) e logistici (l’ingorgo a Cushing).
Per capire il senso dell’accordo OPEC Plus firmato all’inizio di aprile bisogna fare un passo indietro, evitando analisi che abbiano troppo a che fare con classiche logiche di mercato e di contingenza economica. Certo, la domanda è crollata, e in un gioco al quale siamo ormai abituati da quarti di secolo i produttori sanno molto bene che in questi casi hanno convenienza a tagliare la produzione e a far salire il prezzo, guadagnando sul margine.