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La raffinazione europea nel contesto di un potenziale embargo alla Russia

Chi verrebbe maggiormente danneggiato da un possibile embargo petrolifero verso la Russia? Le finanze dei paesi consumatori o più quelle dello stato russo? Tre dati aiutano a inquadrare bene il problema. Il prezzo del Brent, che risponde in parte alle dinamiche della domanda globale di petrolio, si è portato dagli 87 doll/bbl di gennaio ai circa 115 doll/bbl attuali.

La resilienza della raffinazione italiana e la capacità di guardare avanti

La crisi Russia-Ucraina ha amplificato la tendenza, già in atto dalla fine del 2021, dell’aumento dei prezzi delle materie prime, tra cui greggio e gas, ma ha soprattutto reso evidente il reale peso dell’export russo nel settore energetico e il ruolo, da un punto di vista logistico, del Mar Nero quale area nevralgica per la caricazione di materie prime, semi lavorati e prodotti finiti non solo di origine russa.

Da chi importa petrolio l’Italia?

L’inizio del 2022 è stato protagonista di importanti tensioni geopolitiche che hanno impattato, in primis, il settore energetico. La guerra russo-ucraina sta mettendo a rischio i vari equilibri internazionali, essendo rilevante il ruolo che la Russia ricopre come produttore e maggior esportatore di energia.

La reazione dell’Unione europea alla guerra prevede, fra le varie misure, anche quella di sanzionare il mercato delle materie prime energetiche.

Guerra, embargo e l’impatto sui prezzi del petrolio

Da più di due mesi il mondo sta vivendo una crisi che non ha precedenti: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha portato ad un contrasto, che non trova riscontro nella storia recente, e che vede opporsi la Russia, da una parte, e Stati Uniti ed Europa dall’altra, mentre il resto del mondo è diviso tra posizioni di neutralità e di condanna dell’intervento delle truppe russe.

Embargo petrolio russo: le cose che non ci vengono dette

A differenza degli altri pacchetti di sanzioni imposti dall’Unione Europea, sembra che il sesto – relativo all’embargo del petrolio e dei prodotti petroliferi russi - stia dividendo gli stati membri e non sia di facile attuazione. Quali sono le vere ragioni che non rendono praticabile quest’opzione e che esulano dalla mera opposizione di alcuni paesi come l’Ungheria? Ce lo spiega in una lunga e puntuale intervista Salvatore Carollo, Oil and Energy Analyst and Trader.

Il bivio incerto della raffinazione italiana

La raffinazione rappresenta un asset strategico per la sicurezza energetica di un Paese, specie per uno come l’Italia che dipende per circa il 90% del proprio fabbisogno energetico dalle fonti estere. Negli anni passati l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) ha elaborato un apposito modello per valutare il grado di sicurezza energetica di un Paese, denominato Moses (Model of Short Term Energy Security) che, nel caso dei prodotti petroliferi, teneva conto di una serie di indici, tra cui il rapporto deficit/surplus tra i diversi prodotti, indicando nel 45% la soglia critica oltre la quale si cominciava ad essere in un’area di rischio medio-alto.

La raffinazione italiana è ancora strategica per il paese?

Il dibattito che si continua a sviluppare sull’industria della raffinazione italiana è stantio e basato su luoghi comuni vecchi di decenni. Si sente ripetere della bassa redditività che allontana ogni possibilità di nuovi investimenti e che porta inevitabilmente alla chiusura degli impianti. Non sono state mai individuate le cause profonde della crisi del settore e soprattutto non si è mai definita una prospettiva per il futuro. Nell’era della comunicazione, le chiusure di impianti vengono chiamate spesso riconversioni (in depositi, in bioraffinerie, in supporti logistici), ma comunque prevedono la fermata permanente degli impianti industriali ed il loro smantellamento.

Cosa c’entra la tassonomia UE con il futuro della raffinazione?

Nell’ambito del “Green Deal”, una delle legislazioni più dibattute a livello europeo è il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari: la cosiddetta “tassonomia” dell’Unione Europea, un sistema di classificazione a base scientifica che dovrà diventare il riferimento globale per definire se un’attività economica può essere considerata sostenibile da un punto di vista ambientale.

Combustibili sostenibili per trasporti: facciamo chiarezza sulle definizioni

Come noto, decarbonizzare il settore dei trasporti rappresenta una delle priorità strategiche e delle principali sfide a livello globale, e quindi anche dell’Unione Europea e degli Stati Membri. Le soluzioni sono necessariamente diverse a seconda del comparto in esame: trasporto privato, mezzi pesanti, settore marittimo ed aeronautico. In particolare, il ricorso ai combustibili alternativi sostenibili si pone, almeno nel breve-medio termine, come un’opzione necessaria per gli ambiti dove l’introduzione dell’energia elettrica e dell’idrogeno rinnovabili risulta più complessa, e cioè – appunto – sui mezzi aerei, nelle navi e nei mezzi pesanti.

Un anno con poca “energia”

Il 2020 sarà ricordato come uno degli anni più difficili che le economie mondiali abbiano mai dovuto affrontare, almeno nei tempi moderni. La pandemia ha colto tutti impreparati e ha avuto un impatto molto pesante sulla domanda di energia. Impatto particolarmente evidente sulla domanda di petrolio che ha risentito del crollo nel settore dei trasporti (soprattutto aereo) dove la fonte petrolifera copre oltre il 90% del fabbisogno. Stando alle ultime stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2020 la domanda di petrolio dovrebbe ammontare a poco più di 91 milioni b/g, cioé circa 10 milioni in meno rispetto allo scorso anno, mentre per il 2021 prevede che possa risalire intorno ai 97 milioni.

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