Nell’ambito del “Green Deal”, una delle legislazioni più dibattute a livello europeo è il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari: la cosiddetta “tassonomia” dell’Unione Europea, un sistema di classificazione a base scientifica che dovrà diventare il riferimento globale per definire se un’attività economica può essere considerata sostenibile da un punto di vista ambientale.

Il Regolamento in sé pone le basi e le linee generali per tale classificazione, mentre i relativi atti delegati entrano nel dettaglio di quali attività economiche sono sostenibili e secondo quali criteri. Le attività che rientrano nella classificazione dettata dagli atti delegati sono elegibili per ricevere finanziamenti che vanno nella direzione degli obiettivi climatici dell’Unione Europea (neutralità climatica al 2050).

Ne deriva che le attività economiche non incluse negli atti delegati - o incluse, ma secondo criteri troppo stringenti - rischiano di vedersi preclusa la possibilità di finanziamenti in futuro. Infatti, anche se la Commissione europea sostiene che la tassonomia è una guida, non un obbligo, giuridicamente parlando un Regolamento UE vincola gli stati membri in tutte le sue parti.

Ecco perché, dal momento della pubblicazione della proposta legislativa da parte della Commissione europea fino ad oggi (fase di attuazione degli atti delegati) è in corso un partecipatissimo dibattito che vede l’intero settore industriale intento a cercare di convincere la Commissione europea  - ma anche il Parlamento e il Consiglio - del proprio potenziale nel contribuire al raggiungimento della neutralità climatica.

Uno dei settori industriali direttamente impattati dalla tassonomia e fortemente impegnato a Bruxelles a contribuire alla definizione di una legislazione secondaria il più giusta ed inclusiva possibile è quello della raffinazione.  In quale modo la tassonomia impatta tale settore? L’atto delegato che entrerà in vigore a partire dall’inizio del 2022 detta alcune regole.

Innanzitutto, esso prevede l’inclusione nella tassonomia della produzione di biogas e biocarburanti per l’utilizzo nel trasporto. Mentre l’inclusione di tale produzione è positiva e inclusiva, la descrizione dell’attività economica in questione non prende in completa considerazione le priorità ed esigenze del settore della raffinazione: infatti, non include i carburanti liquidi e gassosi per il trasporto di origine non biologica e i combustibili a carbone riciclato.

In secondo luogo, l’ammissione dell’utilizzo di elementi come la biomassa e i rifiuti organici industriali è prevista per alcune attività economiche, come la produzione della plastica, ma non per altre (come il trasporto. Questa distinzione non solo è discriminatoria nei confronti del settore della raffinazione che sta facendo importanti sforzi a livello di investimenti e di innovazione per trasformare la propria produzione (pensiamo alla conversione delle raffinerie convenzionali in bioraffinerie!), ma è anche in contraddizione con i criteri di sostenibilità previsti da altre legislazioni europee esistenti (ad esempio l’attuale Direttiva sulle energie rinnovabili).

Sempre con riferimento alla sezione dedicata alla produzione di biogas e biocarburanti per l’utilizzo nei trasporti, questa viene classificata come “attività di transizioneinvece che come “attività sostenibile”. Ciò significa che l’esistenza di tale produzione deve essere limitata nel tempo, vale a dire fino al momento in cui non ci saranno alternative in grado di sostituirla completamente. Questo approccio riflette un atteggiamento generale della Commissione europea - il passaggio totale al trasporto elettrico su strada in tempi estremamente rapidi e ambiziosi - che si sta verificando anche in altre proposte legislative (come la revisione degli standard di emissione di CO2 per i veicoli leggeri e pesanti attualmente sul tavolo a Bruxelles, che propone il divieto di immissione nel mercato di veicoli con motori a combustione interna a partire dal 2035).

In sostanza, la Commissione sembra non voler prendere in considerazione il potenziale dei biocarburanti liquidi a basse emissioni di carbonio come tecnologia complementare all’elettrico per il trasporto su strada: un simile approccio garantirebbe neutralità tecnologica, rispetto della possibilità di scelta e di capacità di acquisto dei consumatori, utilizzo di infrastrutture già esistenti, e così via.

Mentre il dibattito riguardante il trasporto su strada è in atto, relativamente al trasporto pesante (mezzi pesanti, trasporto marittimo e aereo) non c’è dubbio che i carburanti a basse emissioni di carbonio siano fondamentali per la decarbonizzazione.

Affinché il settore della raffinazione possa produrre tali carburanti su larga scala, si stima che siano necessari investimenti fino a 650 miliardi di euro in 30 anni. Tali investimenti saranno possibili solo se il quadro legislativo europeo si dimostrerà solido e certo per il settore. Per contro, definizioni poco chiare e poco inclusive all’interno della tassonomia europea possono risultare molto pericolose per un settore vitale come quello della raffinazione.

Fortunatamente, la tassonomia è un argomento relativamente nuovo sul quale la Commissione europea prevede di lavorare ancora a lungo, sia attraverso la revisione  degli atti delegati e la stesura di nuovi, sia tramite l’adozione di nuove misure legislative che potrebbero includere attività economiche oggi non considerate.

Sarà, quindi, molto importante includere il settore della raffinazione a tutti i tavoli di lavoro che stanno definendo i dettagli della tassonomia europea e riconoscere il suo potenziale per contribuire alla decarbonizzazione.