La ricerca scientifica e tecnologica relativa agli usi pacifici del nucleare riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo di ogni paese in relazione ai tanti benefici, diretti ed indiretti, che ne derivano, ed ha importanti ricadute in molteplici ambiti e settori. Esistono, infatt, i vari modi di declinare i possibili impieghi dei risultati ottenuti, a seconda di chi sia il principale utente finale della ricerca stessa.
Da quando, nel 2018, il rapporto speciale del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite ha lanciato l’allarme che, in assenza di un’azione urgente e trasformativa, ci saremmo diretti a capofitto verso un disastro climatico entro il 2035, i politici di tutto il mondo hanno raddoppiato gli sforzi per attuare le politiche climatiche di mitigazione.
Secondo l’ultima versione del PNIEC inviata a luglio a Bruxelles, le rinnovabili dovrebbero soddisfare il 65% dei consumi finali di elettricità nel 2030, con una quota aggiuntiva di potenza pari a 74 GW. Considerato il calo del costo del fotovoltaico e il fatto che una parte dei progetti di eolico offshore vedrà la luce nel prossimo decennio, possiamo immaginare che prima del 2040 la percentuale di elettricità verde raggiungerà o oltrepasserà l’80% della domanda elettrica (che è, peraltro, l’obiettivo della Germania per il 2030).
Dopo l’incidente di Chernobyl, l’Italia ha abbandonato il nucleare, riformulando le proprie politiche energetiche senza contare su questa fonte. Altri paesi, però, in tutto il mondo, non solo hanno continuato a utilizzare il nucleare, ma stanno dando vita a nuovi sviluppi. Oggi a distanza di quasi 40 anni, si riapre il dibattito sull’opportunità o meno di puntare su questa fonte anche nel nostro paese.