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Una leadership per la transizione

Solo 10 anni fa la rappresentazione del mondo come è oggi sarebbe sembrata improponibile e ai limiti della fantascienza. Pur sotto i primi colpi disgreganti di un progressivo scollamento dei rapporti internazionali, ci si trovava ancora in un quadro globale di relativa stabilità in tutti i campi, dall’economico al politico, dal tecnologico all’energetico, dal sanitario al sociale. 

Macrotrends 2022-2023: il difficile futuro che ci aspetta

Si intitola “Il nuovo (dis)ordine globale”, il rapporto Macrotrends 2022-2023 di Harvard Business Review Italia, un’opera collettiva di quasi 30 autori che analizzano il presente e il futuro degli eventi e delle tendenze più importanti di cui ogni decision maker deve tenere conto in questi tempi perturbati. Tra gli autori Stefano Venier, Renato Mannheimer, Rony Hamaui, Umberto Bertelè, Carlo Stagnaro, Ugo Loeser e Andrea Granelli. I 25 saggi del rapporto affrontano i temi più rilevanti in un quadro globale sempre più dominato da crisi convergenti, come la guerra russo-ucraina, i persistenti effetti della pandemia, il contrasto ai cambiamenti climatici, la difficile transizione energetica.

Energia e clima: l’urgenza di cambiare

Recentemente, in una manifestazione di giovani a Milano in coincidenza con l’avvio della grande conferenza sul clima di Glasgow, Cop 26, si sono sentiti slogan come “stop greenwashing”, “rise up for climate justice” o il più creativo “o la borsa o la vita”. Slogan forti, efficaci, in parte anche giusti, anche se inevitabilmente un po’ ingenui. Gli slogan, d’altra parte, sono necessariamente grezzi e sintetici e l’ultimo citato se la prendeva con il simbolo dell’economia capitalista di mercato, appunto la borsa, con i manifestanti accampati proprio di fronte alla Borsa di Milano nella ben nota Piazza degli Affari.

Governare la crisi ed evitare la tempesta perfetta

La pandemia ha cambiato il nostro futuro in modo percepibile e consistente. Forse non è vero che “nulla sarà più come prima” ma è senz’altro vero che molte cose saranno cambiate e che dovremo abituarci a una “nuova normalità”, o a più “nuove normalità”. In primo luogo, perché la pandemia globale ci ha messo di fronte a una discontinuità tangibile che rafforza la nostra capacità di comprendere che le “grandi crisi” sono possibili: oggi la crisi sanitaria, domani, forse, quella climatica. In secondo luogo, perché dovremo gestirne gli effetti diretti per ancora molto tempo. E, in terzo luogo, perché ora sappiamo, sono gli esperti a dircelo, che le interconnessioni multiple di un mondo globalizzato rendono probabili, se non certe, nuove crisi anche in futuro.

Dallo sviluppo senza limiti ai nuovi limiti allo sviluppo

Gli allarmi si susseguono, anche se molti li ignorano e altri non li condividono. Ma il climate change è una realtà che tocca tutti in tutto il mondo, sebbene in modo differenziato. Recentemente gli scienziati dell’IPCC (International Panel on Climate Change), che da decenni ci avvertono del pericolo dei gas serra e del riscaldamento globale, sono stati ancora più drastici: abbiamo, come pianeta, non più di 12 anni per tagliare le emissioni e fermare l’innalzamento della temperatura media del globo, dopo di che l’effetto sarà irreversibile e il pianeta Terra andrà incontro a catastrofi ingestibili come lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai, la desertificazione, l’innalzamento dei mari e altri effetti poco piacevoli.

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