Come era prevedibile, è bastato che Regione Lazio e Acea trovassero un accordo perché l’“emergenza idrica” dell’estate 2017 transitasse dalle prime pagine alla cronaca locale. Ancora qualche giorno di Purgatorio nelle pagine interne, poi finalmente potremo tornare a disinteressarci dell’acqua, come d’abitudine.
È il destino delle catastrofi all’Italiana: un ciclo prevedibile fin nei dettagli, che inizia con un lungo sonno, in cui nessuno fa niente, salvo poche cassandre che segnalano a chi di dovere la necessità di intervenire in modo duraturo e sostenibile, facendo manutenzioni e investimenti, accolte da alzate di spalle, sguardi impotenti, rinvii al domani di quel che si potrebbe fare oggi.
Il nostro mondo è fatto di gocce. Il 70% del pianeta è costituito d’acqua, tra mari, laghi, fiumi, falde, ghiacciai, terreno, nell’atmosfera, che attraverso il ciclo idrologico alimentato dal sole, si muove in continuazione e si trasforma nelle diverse forme di pioggia, neve, ghiaccio, acqua salata, acqua dolce. Il 97,5% di quest’acqua però è salata mentre solo il 2,5% è dolce; di questa solo lo 0,1% è accessibile per il consumo umano. L’acqua potabile non è rinnovabile così velocemente come si può pensare, secondo una stima, ci vogliono ben 40 anni prima che la goccia di pioggia caduta sulle montagne arrivi a noi uscendo dal rubinetto di casa. Circa 800 milioni di persone soffrono la crisi idrica, tra Asia, Africa e America Latina, e nel 2050 saranno 4 miliardi.
Dalle Alpi a Roma. La protagonista degli ultimi mesi è stata senza dubbio l’acqua, o meglio la sua carenza. La mancanza idrica è diventata da questa estate un problema nazionale non più confinato alle sole regioni che ne sono storicamente afflitte quali Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, dove in realtà quest’anno, pur nelle stesse condizioni climatiche del resto d’Italia, le conseguenze della siccità si sono manifestate sino ad adesso nel solo comparto agricolo e in misura ancora limitata. E’ tuttavia interessante analizzare con maggiore dettaglio la situazione attuale siciliana, anche perché per la sua numerosa popolazione e la ricorrenza di periodi siccitosi rappresenta un caso emblematico del perché, pure in presenza di acclarati fenomeni climatici, le politiche di contrasto alla carenza idrica si sono dimostrate parziali e non risolutive.