Nella seconda metà del 2021, la crisi dei prezzi del gas naturale, tuttora in corso, ed il minore apporto delle fonti rinnovabili, in particolare nell’Europa settentrionale per l’eolico, hanno provocato una revisione sia del sentiment che degli scenari: definita come “un’iniezione di sano realismo” si è presa contezza che la traiettoria verso la piena decarbonizzazione implica rilevanti costi, che l’afflato ambientale deve prendere in considerazione la dimensione sociale e che al 2050, a tecnologia nota, le sole fonti rinnovabili non sembrano poter garantire la sicurezza necessaria dei sistemi energetici nei paesi europei. La discussione in corso sulla proposta della Commissione UE sulla tassonomia, ora includente anche il nucleare ed il gas naturale, ne sono uno degli esempi.

A livello nazionale, dopo una fase di annunciato “de profundis” del gas e delle reti (governi Conte 1 e 2; quadro strategico ARERA del 2019), la virata ha portato addirittura a mettere in agenda azioni per aumentare la produzione nazionale di gas naturale.

Al netto della revisione del PNIEC e della stima del ruolo che potranno avere i gas rinnovabili appare chiaro che le reti di trasporto e distribuzione del gas, o dei gas, saranno necessarie al sistema ancora per i prossimi decenni. Questo anche nella componente di consumo ad uso civile: il grado di penetrazione dell’energia elettrica nel segmento residenziale ed i relativi costi, in particolare di infrastrutturazione, portano a ritenere che i gas saranno parte del mix energetico domestico. La velocità di penetrazione dell’energia elettrica sarà determinata anche da eventuali misure incentivanti che dovessero essere adottate.

Con questo contesto di riferimento, appare assai evidente e necessaria una riflessione politica, legislativa, regolatoria ed industriale: se la decarbonizzazione viene data come certa, magari con tempistica incerta, se gli scenari non prevedono una sostituzione completa del gas naturale con i gas rinnovabili, una pianificazione è imprescindibile. Non farlo espone al rischio di costi inefficienti per i consumatori, investimenti rinviati o non ammortizzati, a seconda delle ipotesi, per i distributori, comunque un disegno ed assetto del mercato non coerente con il summenzionato processo di decarbonizzazione.

Disegno, oggi basato sul DLGS 164/2000, unitamente all’articolato corpo normativo emanato soprattutto nel periodo 2011-2014, che pare per diversi aspetti ormai anacronistico soprattutto perché espressione di una visione del settore oggi superata. Gestione dei gas rinnovabili, domani sempre più anche dell’idrogeno, il sector coupling, l’innovazione digitale sono alcuni degli aspetti che portano a ritenere non più attuale il disegno delle gare come riveniente dal DM 226/2011 e seguenti. Disegno che notoriamente non ha prodotto i risultati attesi: ciò non per l’articolazione degli ATEM ma per una complessità delle regole, un ruolo spesso esondante di ARERA ed un interesse assai limitato degli enti locali. Il passaggio agli ambiti per molti di loro significa minori ricavi, soprattutto nel caso delle concessioni post Letta, perdita di potere contrattuale con il concessionario al netto della partita della valorizzazione delle porzioni di rete di loro proprietà.

Alla luce di quanto finora rappresentato, si ritiene che il rispetto dell’obbligo verso la UE, nel PNRR, di intervenire per velocizzare e rendere più efficienti le gare per la distribuzione del gas naturale, rappresenti un’opportunità da non perdere. Esiste lo spazio per promuovere la riflessione e tradurla in una nuova proposta: l’articolo 4 del Ddl Concorrenza, recentemente adottato dal Governo Draghi, appare derivato, con alcune mancanze come quella relativa all’albo dei commissari di gara ed il loro sorteggio, voluto soprattutto da AGCM, dal lavoro svolto in ambito cabina di regia allargata (MISE, ANCI, ARERA, AGCM e Associazioni di settore) nell’estate del 2020. Sforzo orfano di qualsiasi riflessione sul ruolo delle reti.

Se nessuno vuole mettere in dubbio l’opportunità di fare le gare, la riflessione dovrebbe concentrarsi da un lato sulle gare per fare cosa e per quanto tempo e dall’altro se, in parallelo, non dovrebbe essere recuperata la proposta di ARERA (DCO 410/19) di promuovere le aggregazioni tra operatori di medie e piccole dimensione. Proposta che mirava a favorire un consolidamento del mercato, nell’attesa che il processo di gara finalmente si avviasse. ASSOGAS apprezzò la proposta per la sua portata pro-competitiva: un’analisi di impatto dimostrò che la proposta avrebbe potuto condurre alla creazione di un nuovo operatore grande e a cinque medi. Nuovi operatori la cui presenza, secondo sempre le stime effettuate, non avrebbero impattato significativamente sull’esito delle procedure di gare di per sé, ma sulle condizioni economiche di aggiudicazione delle medesime. Da qui la valutazione circa la pro-competitività della misura tale da compensare anche l’impatto tariffario generato dalle misure di incentivazione delle aggregazioni.

Sul fare cosa e per quanto tempo: occorre equilibrio tra la spinta a voler rivedere l’intero impianto e la preoccupazione che ciò possa semplicemente rinviare sine die il processo. La valorizzazione del nuovo scenario dei gas rinnovabili, una crescente integrazione tra le reti, implicante una più attenta pianificazione territoriale, presuppongono un bando di gara diverso e una visione temporale più ampia rispetto al periodo di 12 anni oggi previsto.

In sintesi, si auspica una consapevolezza dell’opportunità che oggi il Ddl Concorrenza offre unitamente alla volontà di intervenire sul settore per incorporare quanto prima nell’ordinamento il ruolo che le reti di distribuzione dei gas dovranno avere nello scenario considerato irreversibile della decarbonizzazione. Il MITE, le forze politiche, le altre istituzioni e gli operatori trovino lo spazio e lo slancio per promuovere un settore più efficiente, a beneficio dei consumatori e dei distributori che potranno valutare in un quadro chiaro quali investimenti siano coerenti con il predetto scenario.