A che punto sono le gare per la distribuzione del gas? Dei 177 ambiti “ottimali”, al momento quelle svolte o avviate si contano sulle dita delle mani. Nella maggior parte del paese, sembra che non ci si scampo per sfuggire alla tirannia dello status quo. Del resto, tutto sembra disegnato per favorire l’inerzia: i gestori uscenti non hanno interesse alla contendibilità dei “loro” asset; molti comuni hanno partecipazioni nelle società incumbent; e molti altri, semplicemente, non vogliono perdere una leva indiretta di intervento diretto nell’economia attraverso assunzioni e forniture. La disciplina delle gare gas risale, nel suo impianto, al 1999. Nel tempo sono stati introdotti diversi correttivi finalizzati – si è detto ogni volta – a velocizzare le procedure. Finora i risultati sono stati limitati. Il disegno di legge per la concorrenza appena varato dal governo Draghi contiene l’ennesimo intervento, probabilmente utile, difficilmente risolutivo. Che fare?
La risposta si declina su tre dimensioni diverse. La prima riguarda l’opportunità delle gare: ha ancora senso insistere con uno strumento che, si dice, non ha funzionato? La domanda, in questi termini, è mal posta. Non è infatti vero che le gare non hanno funzionato: dove sono state bandite, hanno aperto una importante fase di trasparenza e, in molti casi, si sono risolte con offerte migliorative per i consumatori e per il sistema. Questo è coerente con la teoria e con le attese, secondo cui la concorrenza per il mercato è considerata un valido strumento per ovviare ai problemi dei mercati naturalmente monopolistici (quali le reti infrastrutturali). La questione è che, nella larga maggioranza dei casi, le procedure non sono partite. E questo ci conduce alla seconda dimensione dell’analisi.
Ci sono senza dubbio ostacoli procedurali che rendono complesso l’iter per l’indizione delle gare. Da questo punto di vista ogni semplificazione è utile sia a snellire le operazioni, sia a togliere alibi. Ma, in ultima analisi, non si può pensare che un meccanismo possa essere sostenibile nel lungo termine se i giocatori non vogliono giocare. In questo senso, l’attenzione del legislatore dovrebbe concentrarsi sugli incentivi o, meglio, la rimozione dei disincentivi alle gare. Per esempio, se molti comuni temono perdite patrimoniali a causa delle regole per la valorizzazione degli asset, può essere utile andare incontro alle loro esigenze. Se all’interno di alcuni ambiti è difficile trovare un equilibrio tra le diverse amministrazioni, può essere necessario prevedere automatismi e, eventualmente, l’esercizio di poteri sostitutivi. Se alcuni gestori uscenti fanno resistenza passiva e non mettono i dati necessari a disposizione, forse servono (e vanno applicate) sanzioni più severe. Insomma: il punto non sta tanto nel disegno della procedura perfetta, che ovviamente non può esistere, ma nel giusto equilibrio tra bastone e carota. Oggi si ha la sensazione che l’uno non basti: non è sorprendente se l’immobilismo trionfa.
Al tempo stesso – e arriviamo alla terza dimensione – non si può far finta che, rispetto al periodo in cui la disciplina si è consolidata, il mondo non sia cambiato. Le esigenze della transizione energetica hanno avuto e avranno un impatto enorme sulla domanda di gas nel medio termine, attraverso la progressiva sostituzione del metano con l’elettrico e, in alcuni casi, con l’idrogeno. Ne consegue che i criteri di sviluppo delle reti che avevano senso vent’anni fa non ce l’hanno più oggi: allora era perfettamente ragionevole pensare a un continuo incremento dei consumi di gas, e quindi incoraggiare l’aumento della capacità di trasporto e distribuzione. Oggi abbiamo invece davanti la certezza di un declino dei volumi commercializzati, verso clienti sia civili, sia industriali. In questo contesto, spicca ancora di più l’asimmetria tra la struttura e il disegno della distribuzione gas ed elettrica: frammentata e potenzialmente contendibile l’una, concentrata e virtualmente inespugnabile l’altra. Una situazione doppiamente inspiegabile alla luce della convergenza tra i due mercati e della progressiva cannibalizzazione dell’uno da parte dell’altro. Lo sviluppo delle reti, allora, andrebbe ripensato in termini di sistema, cercando una maggiore congruenza nelle regole oltre che nei mercati.
È difficile immaginare che le gare gas possano avere un futuro se non si prende atto sia di quello che non ha funzionato nel passato, sia degli effetti auspicati dalle politiche di decarbonizzazione. Ma sarebbe altrettanto sbagliato gettare alle ortiche i risultati ottenuti: serve una terza via tra il non cambiare niente (e rassegnarsi a una normativa che rimane solo sulla carta) e la pretesa di cambiare tutto (scagliando la palla in tribuna). Guardare in parallelo ai due mondi dell’energia elettrica e del gas è forse la terza via che finora è mancata.