Le risorse di idrocarburi (petrolio, gas naturale e carbone) hanno due caratteristiche chiave correlate. Innanzitutto, non sono equamente distribuite a livello globale. Ad esempio, le riserve provate di petrolio sono localizzate per il 13,3% in Nord America, per il 19,5% in Centro America, per lo 0,5% in Europa, per l’8,5% nella Comunità degli Stati Indipendenti, per il 47,6% in Medio Oriente, per il 7,5% in Africa e per il 2,3% in Asia e nel Pacifico. In altre parole, il Medio Oriente detiene le maggiori riserve petrolifere su scala mondiale, l’Europa le minori. Per quanto riguarda il gas naturale, i dati vanno nella stessa direzione: Nord America 5,6%, America Centrale 4,2%, Europa 1,5%, Comunità degli Stati Indipendenti 30,6%, Medio Oriente 40,9%, Africa 7,1% e Asia Pacifico 10,0%. Ancora una volta, il Medio Oriente ospita i principali giacimenti di gas naturale mentre l’Europa è il fanalino di coda. Questa disuguaglianza nella distribuzione globale delle riserve di idrocarburi è significativa sia dal punto di vista economico che strategico. Le economie europee avanzate necessitano di ingenti risorse di idrocarburi per mantenere il loro alto livello di sviluppo economico e di prosperità: ciò significa dipendere dalle forniture di petrolio e gas dal Medio Oriente e da altre regioni.

La seconda caratteristica è che, a differenza della maggior parte delle commodities, il petrolio e il gas non sono solo beni economici, ma anche strategici. Il prezzo della maggior parte delle materie prime è di norma il risultato dell’equilibrio tra offerta e domanda, con scarso spazio per l’intervento politico. Al contrario, i prezzi del petrolio e del gas risentono sia delle forze economiche che di quelle politiche e sono quindi in parte influenzati dai governi dei paesi produttori e consumatori. La ragione principale dell’intervento statale è legata al fatto che gli idrocarburi sono ampiamente percepiti come la linfa vitale dell’odierna civiltà: modellano le politiche economiche e quelle ambientali, e persino il modo in cui vengono condotte le guerre moderne.

Queste due intrecciate caratteristiche spiegano l’esistenza di una letteratura ampia e crescente e di un intenso dibattito politico sulla cosiddetta “geopolitica dell’energia”. Diversi anni fa, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) introdusse una definizione completa del concetto di "sicurezza energetica", includente sia la disponibilità (geografica) di risorse di idrocarburi che la loro convenienza (geopolitica) ed accettabilità (ambientale). Un concetto che sottolinea il ruolo centrale dei governi nella definizione delle politiche Oil&Gas.

Per molto tempo il mondo ha fatto affidamento sui combustibili fossili per soddisfare la maggior parte del suo fabbisogno energetico. Non solo i prezzi erano accessibili, ma l'altrettanto importante interruzione delle forniture innescata da dispute politiche non costituiva un problema insormontabile. La creazione dell'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel 1960 sotto forma di cartello rappresentativo dell'interesse dei principali paesi produttori di petrolio fu il segnale che stava per verificarsi un cambiamento chiave. Il cosiddetto embargo petrolifero (1973-74) che seguì la crisi arabo-israeliana del 1973 rappresentò un punto di svolta nella percezione decennale della sicurezza energetica. Da allora le forniture di petrolio e gas naturale sono state più volte interrotte a causa di crisi politiche. Queste dispute geo-strategiche hanno anche contribuito all'intensa fluttuazione dei prezzi e alla loro volatilità.

Sin dal primo embargo petrolifero, sia i paesi produttori che quelli consumatori hanno usato petrolio e gas come armi politiche per difendere i relativi interessi nazionali. I governi decidono di aumentare o diminuire la loro produzione per manipolare i prezzi. Allo stesso modo, sempre i governi decidono di interrompere l'esportazione o l'importazione di petrolio e gas per generare un cambiamento politico. In un mondo perfetto, i governi non interverrebbero e a guidare i mercati dell’energia sarebbero solo le forze economiche (domanda e offerta). Ma non viviamo in un mondo perfetto e nel mondo reale i governi intervengono e probabilmente continueranno a intervenire sui mercati energetici al fine di promuovere i loro obiettivi politici.

Negli ultimi decenni i paesi consumatori hanno usato il petrolio e il gas come armi politiche più spesso di quanto non abbiano fatto i paesi produttori. Iran, Libia e Venezuela (tra gli altri) sono stati soggetti a sanzioni petrolifere, imposte loro dalle maggiori potenze economiche mondiali. Dalla rivoluzione del 1979 in poi, l'Iran è stato colpito più volte da queste misure e all'inizio del decennio 2000 gli Stati Uniti e l'Europa hanno smesso di comprare il suo petrolio per influenzare i negoziati sul programma nucleare. Allo stesso modo la Libia, sotto l'ex leader Muammar Gheddafi, è stata per anni soggetta a sanzioni (petrolio incluso) che avevano il chiaro obiettivo di portarla a rinunciare al suo programma di sviluppo di armi di distruzione di massa e di fermare il supporto al terrorismo. Infine, il Venezuela, che detiene le più grandi riserve petrolifere provate al mondo, è stato sanzionato a causa della sua politica anti-americana e la sua produzione è in calo da anni.

L'Arabia Saudita, il leader OPEC, dispone del maggior livello di capacità produttiva inutilizzata su scala mondiale. Ciò significa che, per ragioni politiche, il governo di Riad ha deciso di tenere circa un milione e mezzo di barili di riserva, pronti ad essere messi in produzione in un breve lasso temporale qualora sia necessario far fronte ad eventuali ammanchi innescati da catastrofi naturali o crisi politiche. A titolo di esempio, a fine giugno 2018, l'Arabia Saudita ha deciso di aumentare la sua produzione petrolifera per compensare la mancanza - concreta o presunta - di forniture da Iran, Libia e Venezuela. Ironia della sorte, il presidente Donald Trump, leader del mondo libero e dell'economia di mercato, ha chiesto all'OPEC e all'Arabia Saudita di intervenire sul mercato petrolifero e di manipolare i prezzi.

Questo speciale di RiEnergia esamina l’interazione tra politica ed economia, analizzando nel dettaglio tre paesi produttori caratterizzati da forti crisi o cambiamenti interni - Libia, Venezuela e Arabia Saudita – e la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti in cui l'energia viene utilizzata come arma di contrattazione: il tutto mettendo in evidenza l'importante ruolo che i governi giocano nella definizione della politica energetica. Come già la congiuntura attuale sta evidenziando, si può sostenere che anche nel prossimo futuro, le politiche energetiche e i prezzi dell'energia continueranno a riflettere il delicato equilibrio tra forze economiche e forze geopolitiche.