Con il salario minimo mensile in Venezuela (5,2 milioni di bolivares pari a 1,3 euro) si possono acquistare poco più di due chili di pomodori ma non si riesce a acquistare una scatoletta di tonno da 140 grammi; alla stessa cifra, però, si possono acquistare 866 mila litri di benzina 95 ottani (i litri arrivano 5,2 milioni nel caso in cui si tratti di benzina 91 ottani). È questo uno dei tanti dati (forse il più emblematico) della crisi in Venezuela: una crisi che negli ultimi dieci anni, attraversando tanto la vita politica quanto la società e l’economia del Paese, è intimamente legata al calo dei proventi della vendita del petrolio. A partire dal 1999, quando Hugo Chávez assunse per la prima volta la Presidenza e fino all’autunno del 2008, il greggio si è costantemente apprezzato sul mercato internazionale, passando da 9 doll/bbl a 150 doll/bbl.
Nel corso degli anni, si è andato accumulando un enorme ‘bottino’ per l’impresa statale che gestisce il petrolio, la PDVSA (Petróleos de Venezuela, S.A.), inserita, nel 1999, nella Carta Costituzionale dal neo-eletto Chávez (art. 303). Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, per il Venezuela chavista (così come per quello del suo successore, Nicolás Maduro), non era (e non è) semplicemente una questione di natura economica. Si tratta, piuttosto, di uno dei pilastri su cui si fonda lo sviluppo politico e sociale del Paese, rinforzando quel contratto sociale che lega i cittadini al proprio Stato. Grazie al petrolio, infatti, è stata costruita una rete di politica internazionale, è stata definita una programmazione sociale, si è moltiplicato il consenso politico verso il movimento chavista e la sua ‘teologia’, il Socialismo del Siglo XXI. I guadagni provenienti dal greggio sono la chiave di volta che regge tutto il Venezuela: la caduta dei prezzi internazionali del 2008 (che non hanno fino ad ora più toccato i massimi di quell’anno, nonostante nel biennio 2011-2013 i prezzi siano tornati a salire) ha mostrato le aporie del modello di sviluppo chavista. Il che non fa altro che evidenziare lo straordinario potere simbolico del petrolio, garante della solidità del regime chavista-madurista.
Non è un caso, quindi, che la crisi politica e sociale del regime chavista-madurista, acuita negli ultimi 3 anni, sia accompagnata da una riduzione dei volumi di estrazione del greggio. Le opposizioni politiche, infatti, hanno visto accrescere sempre più il proprio bacino di consensi sia nel caso delle elezioni per l’assemblea nazionale del dicembre 2015 che durante le elezioni per l’Assemblea Costituente del luglio 2017: nel primo caso la coalizione di Maduro non ha ottenuto la maggioranza (fermandosi al 40, 91% dei voti validi), nel secondo l’astensione (chiesta dalle opposizioni) è stata molto alta (per Maduro, 1 venezuelano su 2 non ha votato; per le opposizioni, 2 su 3 non hanno votato). La diminuzione dei consensi verso il regime è stata accompagnata da scontri sociali che hanno a più riprese sconvolto un Paese stanco dopo lunghi anni di recessione economica, affamato dalla mancanza di beni di prima necessità, dilaniato dalla capillare militarizzazione della propria vita politica e sociale: dal 2014 ad oggi, sono state imprigionate più di 12 mila persone per ragioni politiche; tra queste più di 7 mila sono ancora vittime di restrizioni e misure cautelari (tra cui l’obbligo di firma ogni 30 giorni). Accusati di crimini politici sono anche coloro che sono scesi in piazza negli ultimi mesi per protestare contro la scarsità del cibo e dei beni di prima necessità. Si fa largo, insomma, l’idea che Maduro e il suo partito abbiano completamente perso il contatto con quel popolo venezuelano che egli stesso dice di incarnare nelle sue necessità e nei suoi sogni.
Al pari della crisi politica e sociale, la crisi economica si è incancrenita negli ultimi 3 anni. In questo clima, infatti, dal 2016 i volumi di estrazione del greggio si sono ridotti circa del 10% ogni mese. In parte si è trattato di una riduzione stabilita in maniera consensuale in seno all’Opec per indurre un aumento dei prezzi del greggio, limitando l’offerta. In parte le infrastrutture e la forza lavoro venezuelana non riescono a sopportare determinati ritmi di produzione. Nel 2017 il Paese ha prodotto 1,5 milioni di barili al giorno di greggio, nel 2016 ne produceva poco meno di 2 milioni, mentre nel 2008 il dato giornaliero si attestava su 3,2 milioni di barili. Non sono passati tanti anni da quando l’allora Presidente Chávez si poneva l’obiettivo di produrre 6 milioni di barili al giorno per il 2017. La crisi estrattiva venezuelana, però, va molto oltre l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati dall’ex Presidente Chávez: PDVSA, secondo l’agenzia Reuters, ha già comunicato di non riuscire ad adempiere i contratti stipulati con alcuni partner commerciali. Per continuare, infatti, a mantenere nel 2018 gli stessi livelli di produzione (1,5 milioni di barili al giorno), il Venezuela avrebbe bisogno di 55 impianti per la perforazione e l’estrazione del petrolio, mentre al giorno d’oggi ve ne sono solo 36 attivi. Per permettere al Venezuela di migliorare i livelli di produzione di greggio nazionale, qualche giorno fa la Banca di Sviluppo Cinese ha aperto una nuova linea di credito da 250 milioni di dollari. A fronte di una diminuzione dei livelli di estrazione del greggio, però, non vi sono state variazioni sia per quanto riguarda il consumo interno a causa dei prezzi calmierati della benzina, né vi sono stati cambiamenti nell’approvvigionamento petrolifero destinato a Cuba.
I lettori appassionati di romanzi gialli sanno che tre indizi fanno una prova: i volumi di produzione del greggio si stanno abbassando, i consumi interni non subiscono alcuna variazione e le infrastrutture ad oggi non sembrano essere capaci di reggere i ritmi di estrazione necessari per rispettare i contratti. Il che lascia presagire che il Venezuela non sarà capace di sfruttare l’aumento del prezzo del greggio di questi ultimi mesi. Ed allora proprio quel petrolio che ha rappresentato una grande fortuna per il Venezuela, oggi, sembra essere divenuto la sua nemesi.