Lo scorso 10 novembre l’International Gas Union (IGU) – associazione che con oltre 150 membri in tutti i continenti rappresenta oltre il 95% del mercato mondiale del gas in tutta la filiera – ha pubblicato il suo primo report sullo stato dell’arte dei low-carbon & renewable gas.
La premessa importante – e che magari non è nota – è che IGU promuove non solo il gas naturale ma anche tutte le “gas molecules” che possono permettere di abbinare lo sviluppo economico e la riduzione delle emissioni in coerenza con gli Accordi di Parigi e i Nationally Determined Contributions definiti dai singoli Paesi.
Nell’ambito delle trattative mondiali per fronteggiare il rischio climatico quella degli impegni per la riduzione delle emissioni di metano è una storia di successo. Si potrà festeggiare solo quando si avranno le prove della loro effettiva riduzione, ma se ripercorriamo le estenuanti spesso inconcludenti discussioni che caratterizzano i meeting mondiali, iniziando dagli incontri annuali della Conferenza delle Parti (COP), difficile trovare precedenti su cui si sia registrata una tale convergenza in così poco tempo.
In occasione della COP 26 di Glasgow, a partire dall’impulso dato dalla Presidenza italiana del G20, è stata finalmente riconosciuta l’importanza delle emissioni di metano (provenienti da Oil & Gas, gestione dei rifiuti e agricoltura) che costituisce il secondo gas climalterante per importanza. È nato l’IMEO un osservatorio internazionale per queste emissioni presso l’UNEP, mentre UE e USA con un primo gruppo di stati nel mese di settembre hanno lanciato il “Global Methane Pledge” che prevede l’impegno di una riduzione del 30% di queste emissioni entro il 2030 (rispetto al livello del 2020).