Nell’ambito delle trattative mondiali per fronteggiare il rischio climatico quella degli impegni per la riduzione delle emissioni di metano è una storia di successo. Si potrà festeggiare solo quando si avranno le prove della loro effettiva riduzione, ma se ripercorriamo le estenuanti spesso inconcludenti discussioni che caratterizzano i meeting mondiali, iniziando dagli incontri annuali della Conferenza delle Parti (COP), difficile trovare precedenti su cui si sia registrata una tale convergenza in così poco tempo.
Una progressione di iniziative convergenti che farebbe pensare ad una (incredibile) regia, e forse a qualche elemento molto concreto e inderogabile, ma lo vedremo alla fine. Meglio andare con ordine. Che le molecole di CH4, principale componente del gas naturale, fossero climalteranti lo si sa da sempre. 80 volte peggio della CO2, nei primi venti anni dall’emissione. L’argomento è stato a lungo trascurato perché comunque si tratta del combustibile fossile che, se bruciato bene, è quello di gran lunga a minore impatto ambientale in generale, niente zolfo e polveri sottili.
Da qui il suo crescente successo nella sostituzione di carbone e petrolio, come prova anche l’attuale crisi dei prezzi. La transizione energetica o ecologica che dir si voglia non può fare a meno del gas naturale. E lo confermano gli stessi sforzi per “ripulirlo”, di cui ci occupiamo qui. Va aggiunto che evidentemente l’argomento era maturo e con la presenza di grandi interessi. Chi ha arato il terreno?
Il gas naturale per gli usi termici delle industrie e il riscaldamento degli ambienti si usa diffusamente da 70 anni e da una ventina anche per la produzione di elettricità. Fino a una decina di anni fa si è trattato di un mercato diviso per macro regioni, legato al vincolo dell’uso dei gasdotti per la movimentazione del gas. Diventa globale con la “rivoluzione” dello shale gas iniziata nel 2005 negli USA, che da importatori diventano rapidamente esportatori mondiali di gas naturale liquido. Il minore prezzo di estrazione compensa il costo dei viaggi oceanici delle metaniere.
Ma c’è un problema. La fratturazione idraulica degli scisti, che permette di produrre il gas anche dai giacimenti orizzontali, pone seri problemi di perdite di metano in atmosfera. Il Presidente americano Obama vede la complicazione e interviene con specifiche regolamentazioni per contenere le emissioni. Le imprese Oil&Gas protestano per l’aumento dei costi di estrazione ma si adeguano.
L’Europa guarda, ma la faccenda al momento resta interna americana. Intanto però si avviano nuovi filoni di ricerca scientifica sul potenziale climalterante del metano e si attivano associazioni ambientaliste. La più attiva tra queste l’Environmental Defence Fund (EDF), attiva dal 2019 anche in Italia, che lancia una campagna mondiale per la riduzione delle emissioni di metano nell’industria energetica. Crescono intanto offerta e domanda di GNL, che entro pochi anni è previsto superare per quantità il gas venduto via gasdotto.
Tra le promesse che hanno portato alla vittoria del Presidente americano Trump nel 2017 c’era anche quella di eliminare le regolamentazioni volute da Obama, prontamente mantenute. Grazie anche alla maggiore attenzione per le rumorose iniziative della nuova Presidenza USA, cresce la sensibilità sui rischi climatici delle emissioni di metano. Non potendo influire su Trump, politici, ricercatori e ambientalisti portano l’argomento in ambito ONU, attivando iniziative dell’UNEP. Con l’elezione di Biden nel 2020, democratico come Obama, gli USA sono ora impegnati a ripristinare le precedenti regolamentazioni.
Prende così corpo l’OGMP (Oil and Gas Methane Partnership 2.0), iniziativa della Coalizione per il clima e l'aria pulita guidata dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, in collaborazione con la Commissione europea, il governo del Regno Unito, il Fondo per la difesa ambientale e le principali compagnie petrolifere e del gas. A fianco all’OGMP, varata nel 2014 ma implementata nel 2020, che lavora per aiutare le compagnie a ridurre le emissioni su basi volontarie, opera l’OGCI (Oil and Gas Climate Initiative) che raccoglie fondi delle imprese da dedicare agli investimenti nel metano ma non solo.
Nell’autunno del 2019 la Commissione presenta l’European Green Deal, con una forte proposta per la chiusura degli impianti a carbone prevedendo anche compensazioni per la sua sostituzione con il gas naturale nelle centrali elettriche, annunciando azioni per la riduzione delle sue emissioni. L’EGD, soprattutto a causa dello choc determinato nell’azione europea dalla pandemia, viene superato la primavera seguente dalla strategia New Generation UE, che propone una rapida sostituzione di tutti i combustibili fossili, con il gas naturale sullo stesso piano di carbone e petrolio, puntando sulle rinnovabili e sull’idrogeno per contenere il riscaldamento globale.
Ne consegue, nell’ottobre 2020, la proposta di Methane Strategy della Commissione, da tradurre in direttive o regolamenti vincolanti per la riduzione delle emissioni di metano nella UE. Intenti rafforzati dalla più recente strategia Fit for 55. Le normative europee, di cui è imminente la pubblicazione dopo i dibattiti nel Parlamento Europeo, prevedranno l’obbligo per le società di misurare, rendicontare e verificare (MRV) tutte le emissioni di metano, migliorare la rilevazione delle perdite e la riparazione di tutte le infrastrutture, nonché vietare lo sfiato e la combustione in torcia.
Le metodologie di MRV saranno particolarmente importanti, perché le misurazioni delle emissioni sono oggi prevalentemente stimate. Interessante a questo proposito un’iniziativa dell’EDF, che nel 2018 ha promosso una ricerca con misurazioni puntuali sui siti emissivi verificando una sottostima del 60% delle emissioni rispetto ai dati dell’EPA, l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente degli USA. Si fa strada così l’esigenza di istituire una struttura, nell’ambito dell’UNEP, in grado di collaborare nella definizione delle MRV e soprattutto di controllarle a livello globale.
L’istituzione dell’IMEO (International Methane Emissions Observatory) è stata proposta formalmente dalla Presidenza italiana del G20 ed approvata nella riunione ministeriale Clima –Energia di luglio scorso a Napoli e successivamente nella riunione plenaria conclusiva dei lavori del G20 di ottobre e poi nella Cop26 di Glasgow a novembre. Adesso si sta lavorando per la sua organizzazione, con l’aiuto e la collaborazione anche scientifica dei Paesi attivi nell’UNEP e in particolare dell’Italia, protagonista della sua istituzione.
Nel frattempo, ad inizio del settembre scorso, si sono diffuse notizie su una imminente proposta di USA e UE per una forte iniziativa globale, da sottoporre alla Cop26, per la riduzione delle emissioni di metano, denominata Global Methane Pledge. Lo si apprende formalmente da una dichiarazione del Presidente Draghi che aderisce con una pubblica dichiarazione. Il giorno seguente viene pubblicato un comunicato congiunto della Casa Bianca e della Commissione Europea che fissa come obiettivo dell’iniziativa la riduzione delle emissioni globali di metano del 30% entro il 2030.
L’obiettivo è globale, sia per il settore energetico sia per gli altri due settori emettitori di metano, il ciclo dei rifiuti, soprattutto discariche, e agricoltura, soprattutto allevamenti. Portata alla Cop26 la GMP ha avuto un notevole successo con più di 100 Paesi aderenti. Anche se a Glasgow la Cina, che sta diventando il maggior consumatore mondiale di gas naturale, soprattutto di GNL importato, non si è pronunciata, in un successivo incontro diretto tra Biden e il presidente cinese Xi Jinping, l’impegno reciproco ha visto al primo posto proprio la riduzione delle emissioni di metano.
Al successo di questa progressione di iniziative e impegni, sembrano aver dato un significativo contributo la comunicazione Methane Tracker del gennaio 2021 dell’Agenzia Internazionale per l’Energia e l’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change (IPCC), pubblicato ad agosto. L’agenzia energetica dell’OCSE ha valutato come sia possibile ridurre significativamente le emissioni di metano a costi nulli, per il recupero del valore del metano disperso, o irrisori. Entro il 2030 si potrebbero ridurre le emissioni del 70%.
L’IPCC, nel suo sesto rapporto, ha per la prima volta affrontato il tema dell’impatto climalterante del metano, prima inglobato nel calcolo della “CO2 equivalente”, responsabile di un quarto del riscaldamento globale. Il documento sottolinea l’urgente necessità di “drastiche riduzioni” delle emissioni non CO2 come il metano, se si vuole mantenere raggiungibile l’obiettivo 1.5C dell’Accordo di Parigi. Uno sforzo rapido e su larga scala sul metano potrebbe rallentare il tasso di riscaldamento attuale del 30%.
Come dicevamo all’inizio si tratta a nostro avviso di una storia di successo, cui non sono però estranei interessi “forti”. Non possiamo quindi non ricordare che nell’ottobre 2020 Parigi vietò l’importazione di GNL americano, giudicato non compatibile con le regole ambientali francesi. Né che mentre Biden e Xi Jinping si parlavano compagnie USA stavano trattando ingenti vendite di GNL alla Cina. È come se gli USA avessero bisogno di internazionalizzare il problema delle emissioni per risolvere le resistenze dei produttori interni.
Se è così bene, il risultato è positivo per tutti, alla fine. Anche perché del metano la transizione non può fare a meno ed è bene che sia il più pulito possibile. Ridurre le sue emissioni allunga la vita del gas naturale ed è impressionante come l’accordo sulla Global Methane Pledge, indubbiamente positivo per l’ambiente, sia passato nel silenzio assordante delle associazioni ambientaliste, in Italia con l’eccezione degli Amici della Terra.
Infine, accennavamo anche ad alcuni aspetti “oggettivi” per l’impegno globale sul tema, che riguarda non solo Istituzioni e Governi ma soprattutto le stesse imprese. Il perché sono le tecnologie satellitari di rilevamento ambientale, che presto riusciranno ad identificare, fotografare e rendere pubbliche le emissioni dei singoli impianti e gasdotti su tutte le superfici terrestri. Un satellite ad hoc sarà lanciato dalla stessa EDF. Sarà difficile per Paesi e imprese negare o trovare giustificazioni di fronte alla “pistola fumante”.