Del blackout in Portogallo e Spagna che ha paralizzato per un lungo tempo i due paesi, quel che più sorprende è che a distanza di diversi giorni, accadde il 28 aprile, non ne siano state ancora chiarite le ragioni per cui impazzano interpretazioni di varia natura: eccesso della quota di rinnovabili, criticità nelle reti, guasto a una linea di trasmissione e quant’altro.

Nell’arrampicarsi sugli specchi di sedicenti esperti ci si è poi allargati a paragonarlo frettolosamente al blackout che paralizzò l’intera Italia il 28 settembre 2003 per la durata di 24 ore, che può ben definirsi il guinness dei blackout nella storia elettrica mondiale (si rinvia al mio articolo su Energia nel numero 4 del 2003). Per la semplice ragione che accadde in una primaverile serata autunnale quando i consumi erano al minimo – se non per la prima notte bianca a Roma – mentre eventi di tal tipo avvengono quando i consumi sono superiori alla potenza disponibile.

Cinque morti per cause accidentali; 110 treni fermi con 30 mila passeggeri; blocco del traffico aereo; interruzioni nell'erogazione dell'acqua in molte zone del Sud; bancomat fuori servizio, come la più parte dei distributori di benzina.

Questo e molto altro riportano i quotidiani. Raccontano di «un Paese sotto choc», come titola il «Corriere della Sera», che sa però reagire con responsabilità e compostezza. Il ritorno alla normalità avviene gradualmente. La prima regione a riprendersi, dopo 3 ore, sarà il Friuli-Venezia Giulia, grazie al soccorso della Slovenia; la lanterna di Genova si riaccenderà dopo 4 ore, per l'intera Liguria bisognerà attendere oltre 6 ore; per Roma circa 12. L'ultima regione sarà la Sicilia che dovrà attendere 18 ore e 56 minuti.

Il nostro sistema elettrico collassò invece per l'incapacità dell'offerta a soddisfare una domanda a livelli minimi: con un utilizzo della potenza elettrica installata prossima a ¼ del suo totale.

Siamo rimasti al buio, in buona sostanza, con centrali spente per oltre 60.000 MW!!! A seguito di una nostra decisione e non già di eventi esterni. Si dettero allora spiegazioni talora ridicole come quella che imputava il blackout alla mancata realizzazione delle centrali nucleari una ventina di anni prima! Secondo una prassi che si era consolidata i produttori elettrici italiani, a iniziare da Enel (allora presieduta da Piero Gnudi), avevano preferito – e nessuno l’aveva impedito – spegnere la più parte delle loro centrali per attingere massicciamente alle più convenienti importazioni.

Alle 3:00 del mattino del 28 settembre il ricorso alle importazioni ammontava a 6.951 MW. Un livello superiore a quello degli anni precedenti, superiore a quello massimo previsto dal Gestore nel 2003 e, quel che più conta, superiore a quello valutato dallo stesso Gestore come livello di massima capacità di trasporto in piena sicurezza: la cosiddetta Capacità Netta Trasmissibile (NTC - Net Transfer Capacity). Le importazioni risultavano la notte del 28 settembre anormalmente superiori - in un ordine di grandezza di 1.000 MW - a quelle registrate nelle 21 domeniche precedenti (alla medesima ora e in simili condizioni di domanda).

Importazioni effettuate quindi per convenienza e non, come in precedenza, per necessità. Questo avveniva per la disarticolazione dei processi decisionali che aveva fatto seguito alla liberalizzazione dei mercati. Al modello imperniato su un soggetto monopolista verticalmente integrato si era sostituita una pluralità di soggetti.

Dalla loro interazione dipendeva la capacità di pervenire ad un sintesi che non sacrificasse, come avvenuto, interessi particolari a quelli generali. Tra i lontani eventi italiani e quelli recenti in Portogallo-Spagna non vi è quindi connessione se non per la pluralità dei soggetti decisionali da cui dipende la continuità del servizio elettrico.

Quanto accaduto evidenzia però, ieri come oggi, la cruciale importanza delle reti elettriche, oggi accresciuta dalla massiccia penetrazione delle rinnovabili e dalla elettrificazione dei consumi (compresa la mobilità), che richiederebbero un enorme flusso di investimenti. Da questo dipende quel che può indicarsi come la ‘nuova sicurezza energetica’ dell’elettricità e quindi la nostra vita quotidiana. Le reti elettriche di trasmissione e distribuzione dovrebbero aumentare su scala mondiale dagli attuali 75 milioni di chilometri a oltre 200 milioni entro il 2050, con la costruzione ogni anno di circa 5 milioni di chilometri. Entro la stessa data, l’Unione Europea avrà bisogno di investimenti sulle infrastrutture elettriche per oltre 2.000 miliardi di euro molto di più dell’attuale ritmo di investimenti. Secondo l'Agenzia di Parigi è essenziale che vi siano profondi cambiamenti nel funzionamento e nella regolamentazione delle reti, mentre gli investimenti, che sono rimasti sostanzialmente stagnanti, devono (dovrebbero) raddoppiare.

In caso contrario le reti rischiano di essere l’anello debole del processo di transizione rendendone irraggiungibili gli obiettivi, come il blackout in Portogallo e Spagna ha bene dimostrato.