Nel settembre 2023 destò un certo scalpore un articolo del Direttore Esecutivo della IEA Fatih Birol, apparso sul Financial Times, che annunciava il contestuale declino della domanda di petrolio, carbone e gas prima del 2030. I commenti erano rimbalzati nei media del villaggio globale annunciando, con enfasi, la fine dell'era dei fossili. Un paio di anni prima, nel maggio 2021, l'Agenzia di Parigi aveva pubblicato il rapporto Net Zero  che non solo delineava un percorso di atterraggio verso l'obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050, ma auspicava lo stop agli investimenti nei fossili già dall’anno seguente.

Oggi la IEA torna sui suoi passi e cambia narrazione, reintroducendo nel WEO  uno scenario (Current Policies Scenario, CPS) che aveva abolito da un pezzo poiché troppo incentrato sui fossili e, dunque, superato. Perché questo ritorno? Nella sessione di domande e risposte al termine dell'evento di lancio del WEO, alla domanda sulle ragioni della reintroduzione dello scenario CPS - se esse risiedessero nella spinta di un’Amministrazione americana oggi incline alla difesa del paradigma fossile - Birol ha risposto negativamente, individuandola nell’incertezza. Poiché vi sono crescenti elementi di incertezza economica, energetica e geopolitica, la IEA ha ritenuto opportuno ampliare il range dei futuri possibili introducendo un nuovo scenario. Se, da una parte, questa spiegazione poggia su un elemento di verità, dall’altra è verosimile che il nuovo clima politico abbia influenzato l’Agenzia, così come il forte vento green l’aveva condizionata intorno al 2020, facendo di essa l’alfiere dell’imminente rivoluzione verde. Perché questo si pensava allora, che l’economia green fosse in fase di decollo e che le rinnovabili avrebbero preso il sopravvento in un pugno di anni. Lo pensavano molti studiosi, commentatori, politici e, soprattutto, lo pensava il mercato. Quale esempio della sbornia verde dell’epoca, riportiamo il grafico del fondo Ishares Global Clean Energy, di BlackRock, che investe in aziende di tutto il mondo attive nella produzione di energia verde.

Ishares Global Clean Energy ETF

Fonte: https://www.google.com/finance

 

Si può vedere come il picco a 33 dollari venga raggiunto proprio all’inizio del 2021, l’anno del report Net Zero, dopodiché la quotazione dell’ETF perde progressivamente quota tanto che ai nostri giorni, 5 anni dopo, pur beneficiando di un 2025 favorevole, il fondo vale circa la metà. Tuttavia, in pieno Covid, la percezione era quella: ottimisticamente favorevole alle rinnovabili. Oggi, e qui veniamo alla terza ragione del mutato sentire della IEA, il quadro è cambiato e ci si è resi conto che le fonti fossili sono ancora sulla breccia e, per usare le parole del maggiore esperto mondiale di transizioni energetiche, Vaclav Smil, “dopo un quarto di secolo di transizione energetica mirata, non si è verificata alcuna decarbonizzazione globale assoluta dell'approvvigionamento energetico. Il contrario. In quel quarto di secolo, il mondo ha aumentato sostanzialmente la sua dipendenza dal carbonio fossile”.

Citiamo tre dati a sostegno di questa affermazione che potrebbe apparire forte. Il primo è quello relativo alle emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili che, dall'accordo di Parigi in poi, sono sempre aumentate, se si fa eccezione per il 2020, anno caratterizzato dal Covid e dal lockdown. Il secondo dato è quello concernente il mix energetico, per il quale la quota dei combustibili fossili continua ad essere ferma intorno all'80%, stesso livello del 1990. Il terzo numero da citare è forse quello più importante: l'intensità carbonica dell'energia. Se prendiamo tutte le emissioni di CO2 generate dai combustibili fossili e le dividiamo per i consumi totali di energia, otteniamo i numeri rappresentati nella tabella che segue:

Intensità carbonica dell’energia

Fonte: elaborazione dell’autore su dati IEA

Come si può vedere, il coefficiente è sostanzialmente bloccato. Paradossalmente, nel 2020 era più basso che nel 2024. In senso stretto, non c’è decarbonizzazione perché essa consiste proprio nella riduzione di questo numero, che idealmente dovrebbe tendere a zero. Ma quel che vediamo è che ciò non accade: il coefficiente è sostanzialmente stabile, ed è chiaro che non è possibile alcuna transizione se non si riduce l'intensità carbonica dell'energia e se i decrementi, quando avvengono, impattano sulla seconda cifra decimale. Certo, possiamo ridurre le emissioni consumando meno energia ed essendo più efficienti, e negli ultimi decenni gli incrementi di efficienza hanno contribuito al contenimento delle emissioni più di quanto abbia fatto la modifica del mix energetico. Ma ciò è solo un pezzo, meno importante, della decarbonizzazione la cui essenza, in ultimo, risiede proprio nel tendere all’azzeramento dell'intensità carbonica dell'energia, tagliando alla radice il link tra consumi di energia e CO2.

Dunque, l'anno centrale di quello che qualche volta avevamo definito il decennio critico  sta rappresentando una resa dei conti per la transizione energetica. La IEA non fa altro che prendere atto di questo fenomeno e reintrodurre quello scenario Current Policy che aveva ottimisticamente messo da parte.

Certo, come ha sottolineato più volte la IEA nel suo evento di lancio del WEO 2025, si tratta di scenari e non di previsioni, e dunque l'Agenzia non sta dicendo che negli anni a venire i consumi di petrolio aumenteranno, come sostiene da anni l’OPEC, puntualmente criticando la narrazione green della IEA. Però, sebbene evitiamo di assegnare qualsiasi grado di probabilità allo scenario Current Policies, il semplice fatto che esso sia stato reintrodotto testimonia la possibilità di un mondo che avrà ancora bisogno di combustibili fossili, e ciò indebolisce non poco l'ipotesi del picco della loro domanda prima del 2030.

Limiti di spazio impediscono di entrare nei dettagli tecnici del WEO 2025, report utilissimo per la ricchezza tanto dei dati quanto degli spunti offerti. Qui ci soffermeremo solo su tre punti.

Il primo si riferisce alla distanza tra lo scenario STEPS (Stated Policies) e quello CPS, mostrato in modo assai efficace dalla IEA nel grafico seguente. Mentre nel caso del carbone assistiamo alla riduzione dei consumi sia nello scenario CPS che, in misura più marcata, in quello STEPS, nel caso di petrolio e gas naturale siamo di fronte a curve che prendono direzioni opposte, crescenti (CPS) oppure decrescenti (STEPS). Per il petrolio, nel 2035 la domanda totale è ipotizzata essere di 5 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g) superiore nel CPS rispetto allo STEPS, con il 40% di questa differenza dovuta alla lentezza della penetrazione delle auto elettriche. Nel caso del gas, il delta nei consumi tra i due scenari è intorno al 6% ed è dovuto essenzialmente alla diversa velocità di penetrazione delle rinnovabili nella generazione elettrica.

Domanda di carbone, petrolio, gas nei principali settori e scenari IEA (2010-2050)

Fonte: OECD/IEA 2025 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

 

Il secondo punto che ci sembra degno di nota è quello relativo all'elettrificazione. La IEA ha più volte sottolineato, nell’evento di lancio ma anche negli anni recenti, che stiamo entrando nell'era dell'elettricità la quale, come noto, rappresenta l'architrave della transizione energetica: solo espandendo la quota dell’elettricità, sempre più decarbonizzata, nei consumi energetici totali è possibile decarbonizzare l'intero sistema energetico. Purtroppo, ciò a cui si assiste è una stasi della domanda elettrica in due delle tre aree nelle quali gli investimenti green sono più robusti: l'Unione Europea e gli Stati Uniti, come evidenzia in modo netto il grafico sottostante. Al contrario, siamo di fronte a una crescita vigorosa della penetrazione elettrica in Cina. Citiamo qualche numero sull’ andamento della domanda elettrica dal 2010 al 2024: in Cina essa è cresciuta del 149%, negli Stati Uniti solo del 6%, mentre in Unione Europea è addirittura diminuita del 7%. Quest’ultimo dato sorprende poiché rende monca la transizione proprio nell'area che più la sostiene e pubblicizza. Mentre sono tangibili i progressi sul lato della supply, essi latitano sul lato della domanda. L'elettricità europea è sempre più green, ma essa non sta penetrando nei settori dell'economia, in primis trasporti e residenziale. Al contrario, in Cina assistiamo a qualcosa di straordinario, una penetrazione elettrica che non ha eguali e precedenti. Ad essa concorrono certamente i generosi sussidi cinesi all'automotive elettrico erogati fino allo scorso anno, ma questo è solo uno degli elementi che spingono la crescita dei trasporti green. Più importante ci sembra la regolazione, e la cultura e la dimensione religiosa che la rendono possibile. In molte città cinesi, per ottenere una targa per l'acquisto di un veicolo a benzina o a diesel, occorre vincere una lotteria caratterizzata da una probabilità di vittoria estremamente bassa (spesso meno dell’1%). Non solo, se si vincesse la lotteria occorrerebbe poi pagare la targa ottenuta, il che comporta un extracosto di circa 12.000 € da aggiungere al prezzo dell’auto. Questa regolazione impositiva, resa possibile da una forte centralizzazione governativa - e, forse ancor di più, da un confucianesimo che esalta l’armonia sociale prima dell’individuo e dei suoi diritti - è inconcepibile per i paesi occidentali. E ciò spiega la performance insufficiente – gravemente insufficiente, se rapportata alla retorica green – dell’UE che nonostante gli arzigogoli regolatori della Green Building Directive, dell’ETS2 o del futuro divieto all’acquisto di auto con motore a combustione interna non riesce a perseguire un obiettivo che il regolatore cinese ottiene con uno schiocco di dita. Troppo diverse le società e la cultura. E ciò riporta in auge il tema interessantissimo, un po’ desueto negli ultimi anni, dell’assetto sociale più idoneo a combattere il cambiamento climatico: le virtù e i diritti della democrazia, comunque non negoziabili, non sembrano essere così funzionali al taglio drastico delle emissioni.

Domanda di elettricità per regione/paese nello scenario CPS al 2035

Fonte: OECD/IEA 2025 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

Il terzo e ultimo punto, forse il più rilevante, è quello relativo all'andamento delle emissioni e alla temperatura. È interessante osservare come la CO2 emessa decresca prima del 2035, seppure a velocità differente, sia nello scenario STEPS che in quello CPS, a ragione del crollo del carbone che, anche in Current Policies, diminuisce più di quanto Oil&Gas aumentino.

Emissioni di CO2 correlate all’energia per regione e scenario

Fonte: OECD/IEA 2025 World Energy Outlook, IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

È altrettanto interessante notare, purtroppo, come entrambi gli scenari diano luogo ad aumenti di temperatura a fine secolo: 2,5°C per STEPS e 2,9°C per CPS. Ed è questo, forse, il dato più significativo e drammatico che emerge da questo studio, ovvero la crescita della temperatura ben oltre il target parigino di 1,5°C anche nello scenario più virtuoso che incorpora le politiche dichiarate dai paesi. In parole povere, solo lo scenario Net Zero salva dal fallimento.

Riteniamo che i due numeri sopra citati - 2,5 e 2,9°C - facciano da sfondo alla COP30 di Belém. Il Presidente brasiliano Lula l’ha definita la COP della verità, il momento in cui comprendere che “il clima non è una minaccia futura, è una tragedia presente”.  Lula ha anche detto: "Se quanti fanno la guerra fossero qui a questa COP, si renderebbero conto che è molto più economico investire 1.300 miliardi di dollari per porre fine al problema climatico piuttosto che spenderne 2.700 per fare la guerra, come hanno fatto l'anno scorso”. Sono parole di saggezza e di buon senso, ma utopistiche per l’orecchio duro di Sapiens. Non ci è ancora noto cosa Belém partorirà: presumibilmente, come già accaduto in precedenti conferenze, l’esito scaturirà da un rush finale. L'evento ha comunque un peso specifico elevato, anche rispetto ad altre COP, per due ragioni. La prima si lega alla definizione di una possibile road map tesa ad elevare la dimensione degli aiuti dei paesi ricchi a quelli in via di sviluppo per fronteggiare la minaccia climatica. Alla COP29 di Baku i primi avevano convenuto di portare l'entità degli aiuti dai 100 miliardi di dollari annui decisi a Parigi, a 300 miliardi entro il 2035. L’incremento triplica il valore di partenza ed è apparentemente ingente, tuttavia era stato giudicato gravemente insufficiente dai paesi in via di sviluppo che chiedevano 1.300 miliardi di dollari. In aderenza a meccanismi psico-legali atavici in seno alle COP, si era deciso di rimandare la questione a Belém, che avrebbe dovuto definire un percorso teso a far crescere il livello di ambizione finanziaria dei paesi ricchi. Vedremo se questo accadrà.

La seconda ragione che rende Belém importante è la definizione dei nuovi target (NDCs) dei paesi. Come ci ha mostrato la IEA, fino ad oggi i paesi sono stati timidi dichiarando obiettivi che, anche se fossero conseguiti - e ciò non è affatto certo, come dimostra lo spettro dello scenario Current Policies - porterebbero al superamento del target di Parigi (1,5°C) di un grado tondo, ovvero un’infinità per la scienza, che non perde occasione di ricordarci che anche un decimo di grado fa la differenza. In parole semplici, non vogliamo ridurre le emissioni nella misura necessaria e, forse, non riusciamo neanche a rispettare gli impegni insufficienti che prendiamo. In senso tecnico, un fallimento totale.

Eppure, da ciò non deve discendere il consueto esercizio di imputazione delle colpe, l’assegnazione della responsabilità a una classe politica imbelle - che non è più quella di una volta – oppure ai costi economici eccessivi, oppure agli insufficienti investimenti in tecnologia o, infine, agli insostenibili impatti geopolitici. Più di tutto, siamo di fronte a una questione antropologica. Non si tratta di colpe imputabili a questo a quello, piuttosto dell'essenza stessa di Sapiens, delle sue preferenze e della sua struttura psichica. Egli vive nel presente ed è il presente che per lui ha senso. Il futuro è nebbia fitta che si leva dal lago profondo della sua mente, da una preferenza intertemporale che depotenzia ciò che verrà e amplifica ciò che è: questo è Sapiens.

Abbiamo intitolato questo articolo il ritorno dei fossili, ma a ben vedere esso è del tutto errato perché i fossili non se ne sono mai andati. Il re leone, capobranco, è ancora forte e vigoroso. I giovani leoni devono ancora crescere e rafforzarsi, ma avranno ancora molta strada da fare prima di approdare nel prato verde sul quale campeggia la lapide di un mondo che fu.

Nota: Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non vanno ascritte all’azienda nella quale egli lavora.