La COP 29, terminata il 22 Novembre 2024 si concludeva con un obiettivo discutibile, ma chiaro: finanziare con un ammontare di 300 miliardi l’anno la transizione climatica dei paesi emergenti tramite l’utilizzo di strumenti di finanza pubblica e privata dei paesi più ricchi entro il 2035. Dati alla mano, i numeri hanno da subito suscitato sentimenti misti e opposti tra le due parti. Da un lato, paesi come l’India e l’Africa hanno manifestato un forte disappunto circa l’insufficienza della quota promessa, esercitando pressioni affinché si potesse aumentare la quota da stanziare. Dall’altro, solo la Francia, tra i paesi europei si è mostrata allineata alle critiche mosse dai paesi in via di sviluppo, mentre il blocco europeo ha parlato di una vera e propria “nuova era” nel processo di finanziamento della transizione climatica nei Paesi più poveri.  Tuttavia, a conti fatti, l’ammontare proposto risultava essere la metà della quota richiesta dai paesi emergenti per raggiungere gli obiettivi preposti.

Per quanto i dati siano in fase di accertamento, le ultime stime sembrano indicare un tendenziale aumento del finanziamento ai paesi in via di sviluppo da parte dei paesi Europei (vedi fig. seg.), con un incremento di circa il 10% tra il 2023 e il 2024.

Ammontare stanziato dai paesi Europei per la transizione ambientale

Fonte: European Council

Nello specifico, le risorse pubbliche mobilitate dai paesi Europei nell’arco del 2024 ammontano a 31,7 miliardi di euro mentre quelle private si assestano a 11 miliardi.

Secondo quanto comunicato da Bruxelles, i 31,7 miliardi di euro di finanziamenti per il clima provenienti da risorse pubbliche rappresentano il contributo complessivo dell’Unione Europea e degli Stati membri a favore dei Paesi in via di sviluppo nel corso del 2024.

Questa somma include:

  • 4,6 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’UE, comprendendo anche il Fondo europeo di sviluppo, lo strumento con cui l’Unione sostiene storicamente i Paesi più vulnerabili;
  • 2,4 miliardi di euro messi a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), che continua a essere uno dei principali finanziatori pubblici globali delle politiche climatiche.

Il totale dei fondi pubblici è calcolato sulla base di due componenti:

  1. gli impegni bilaterali assunti dai singoli Stati membri verso Paesi partner;
  2. gli esborsi dei finanziamenti multilaterali, ovvero i contributi effettivamente erogati tramite istituzioni come la BEI o altri organismi europei e internazionali, rilevati per l’intero anno civile 2024.

Per quanto riguarda invece gli 11 miliardi di euro di finanziamenti privati mobilitati, essi vengono attivati grazie a strumenti come:

  • garanzie pubbliche,
  • prestiti sindacati,
  • partecipazioni pubbliche nel capitale di imprese,
  • linee di credito agevolate o strumenti di rischio condiviso.

Tuttavia, come è facile intuire nelle dinamiche globali, il paese che potrebbe giocare un ruolo chiave nell’accelerare la transizione climatica nei paesi emergenti sono gli USA, che però hanno contribuito con soli 11 miliardi di dollari (meno di un terzo dei finanziamenti Europei) nel 2024.

Sul solco delle ambizioni della COP29, la COP30 ha rimarcato l’importanza di raggiungere gli obiettivi prefissati, con l’obiettivo di rafforzare gli strumenti utili al suo raggiungimento.

Nello specifico è stato lanciato il Country Platforms Hub, una piattaforma volta a rafforzare la capacità dei paesi in via di sviluppo ed emergenti di gestire e mobilitare risorse per la finanza climatica. Attraverso questo hub, i paesi avranno accesso a competenze tecniche, scambio di conoscenze, assistenza e collegamento diretto con fonti di finanziamento, sia pubbliche sia private. In questa fase iniziale, 13 paesi e una regione africana hanno annunciato l’intenzione di sviluppare piattaforme nazionali sostenute dal programma di readiness del Green Climate Fund (GCF), tra cui importanti economie emergenti come India, Nigeria, Sud Africa, Kazakhstan e Mongolia.

La conferenza ha inoltre confermato la roadmap “Baku‑Belém” verso il raggiungimento del New Collective Quantified Goal (NCQG), stabilito a COP29, che prevede la mobilitazione di 1.300 di miliardi di dollari all’anno entro il 2035 da fonti pubbliche e private per supportare la transizione climatica dei paesi emergenti. Questa roadmap si basa su cinque linee strategiche che comprendono l’aumento dei finanziamenti concessionali, la mobilitazione di capitale privato attraverso strumenti innovativi (green bond), la sostenibilità del debito dei paesi beneficiari, il rafforzamento delle capacità istituzionali e la creazione di sistemi più equi per la gestione dei flussi finanziari. COP30 ha posto grande enfasi sulla necessità che i finanziamenti siano concessionali, prevedibili ed equi, in modo da non aumentare il debito dei paesi emergenti ma favorire una transizione climatica equa ed economicamente sostenibile, come sottolineato in particolare dalle delegazioni indiane e di altri paesi in via di sviluppo.

Un altro tema centrale affrontato a COP30 riguarda il finanziamento per l’adattamento e la resilienza al cambiamento climatico. La conferenza ha ribadito che molti paesi emergenti necessitano di decine di miliardi di dollari all’anno per costruire sistemi resilienti agli impatti climatici e per sostenere l’agricoltura su piccola scala e la protezione sociale adattativa.

Parallelamente, COP30 ha affrontato la necessità di riformare le banche multilaterali di sviluppo (MDB) e di rafforzare la loro capacità di erogare rapidamente finanziamenti climatici, snellendo procedure e assumendo maggiori rischi per catalizzare investimenti privati in progetti climatici nei paesi emergenti.

A livello operativo, il Brasile, paese ospitante, ha annunciato la creazione di un fondo climatico nazionale per l’Amazzonia, con una dotazione iniziale di oltre 3,4 miliardi di euro, grazie a contributi di istituzioni di sviluppo internazionali e della Banca Interamericana di Sviluppo. Questo fondo è destinato a programmi di riduzione delle emissioni, protezione della biodiversità ed espansione delle energie rinnovabili, rappresentando un esempio concreto di come i fondi internazionali possano essere canalizzati efficacemente verso paesi emergenti con ecosistemi naturali di grande importanza. Infine, COP30 ha sottolineato l’importanza per i paesi emergenti di costruire capacità istituzionali, know-how e strumenti di governance per pianificare, implementare e gestire efficacemente i progetti climatici.

Tra i principali rischi per il raggiungimento degli obiettivi di COP29 e COP30 non si può non pensare al rischio geopolitico. Sono molte le evidenze empiriche che mostrano come il rischio geopolitico abbia un impatto negativo sulla capacità del sistema finanziario di erogare prestiti (Chiaramonte et al. 2025), alle aziende di aumentare i loro investimenti nella sostenibilità (Jiang et al. 2024) e in generale sull’incertezza economica. Strettamente connessa ai suoi impatti indiretti citati, vi è l’inversione di marcia voluta da Trump sulle questioni ambientali e sociali che, unitamente all’incertezza delle politiche, rallenterà notevolmente il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Anche il prezzo delle materie prime, responsabile diretto delle spinte inflazionistiche osservate negli ultimi due anni, si propone come una variabile chiave nella fattibilità degli obiettivi posti da COP29 e COP30. Da ultima, non per importanza, necessita di attenzione la crescita significativa della concentrazione cinese nelle tecnologie volte ad accelerare la transizione ambientale. Il paese del dragone, infatti, nel 2024 è risultato essere il paese “emergente” che ha ricevuto la quota più alta di aiuti da parte dei paesi occidentali per la transizione ambientale (65% del totale) ponendolo tra i leader e al tempo stesso competitors su cui penderà l’ago della bilancia del successo degli obiettivi di COP29 e COP30.