Situazione critica in Sudan dove scontri armati sono scoppiati a metà aprile,  quando si sono acuite le crescenti tensioni tra i due generali alla guida delle unità militari rivali del paese. Da una parte, c'è il generale Abdel Fattah al-Burhan, leader de facto del Sudan che guida l'esercito, e dall'altra il generale Mohamed Hamdan Dagalo, a capo delle Rapid Support Forces (RSF). Le due fazioni condividevano il potere nel paese dal colpo di stato militare avvenuto alla fine del 2021, quando era stato sciolto un governo di transizione a guida civile insediatosi, nel 2019, dopo la cacciata del dittatore di lunga data Omar al-Bashir. I leader militari e civili nel dicembre dello scorso anno avevano firmato un accordo quadro che avrebbe dovuto gettare le basi per la formazione di un governo civile per un periodo di due anni.

Ma le tensioni tra l'esercito e il gruppo paramilitare sono aumentate negli ultimi mesi: il disaccordo nasce soprattutto su come e quando le RSF sarebbero state integrate nell'esercito ꟷ una condizione chiave per la transizione al governo civile ꟷ e, cosa più importante, cosa avrebbe significato per l'influenza che esercitano i due generali. Così, i combattimenti si sono rapidamente estesi in punti strategici della capitale, Khartoum, tra cui il palazzo presidenziale e l'aeroporto internazionale. Oggi, nonostante i ripetuti annunci di cessate il fuoco, gli scontri continuano soprattutto nella capitale, anche se sono stati segnalati episodi di guerriglia anche in altre città tra cui Omdurman e Bahri, nel Darfur a ovest e Port Sudan sul Mar Rosso.

Finora, funzionari e fonti sul campo affermano che i combattimenti non hanno avuto un impatto materiale sul settore petrolifero, né in Sudan, né nel Sud Sudan, che rimane intrinsecamente legato al suo vicino a nord, nonostante si sia separato da esso nel 2011. Entrambi i paesi sono membri dell'alleanza Opec+, con le rispettive produzioni concentrate lungo il confine che le separa. Il Sudan pompa un ammontare più modesto e pari 70.000 bbl/g, mentre il Sud Sudan circa 170.000 bbl/g. Ma, mentre il Sudan ha accesso al Mar Rosso per esportare il suo greggio, il Sud Sudan è senza sbocco sul mare, il che lo ha costretto a fare affidamento sul terminal sudanese di Bashayer, a circa 25 km a sud di Port Sudan, per esportare il proprio petrolio.

Produzione petrolifera del Sudan e del Sud Sudanv(migl. bbl/g)

Fonte: Argus Media su dati South Sudan Ministry of Petroleum

Come il Sudan, il Sud Sudan invia la maggior parte della sua produzione di greggio a nord tramite gasdotto e poi da qui verso la costa sudanese del Mar Rosso per l'esportazione, con una parte destinata all'unica raffineria operativa del paese: un impianto da 100.000 bbl/g a circa 70 km a nord della capitale. Petrolio che serve ad  integrare i volumi che il Sudan stesso invia alla raffineria.

Nei primi quattro mesi del 2023, le esportazioni di greggio di Sudan e Sud Sudan sono ammontate, mediamente, a circa 80.000 bbl/g, secondo i dati di Vortexa, in calo rispetto ai 116.000 bbl/g del pari periodo dello scorso anno. Da quando sono iniziati i combattimenti, tre petroliere hanno lasciato il terminal di Bashayer con il proprio carico. Anche le attività downstream della raffineria a nord di Karthoum sono rimaste sinora immutate, con l’infrastruttura tuttora in grado di produrre circa il 60% della domanda nazionale di prodotti petroliferi. Il rimanente quantitativo è normalmente importato proprio attraverso il terminal di Bashayer.

Eppure, con pochi segni all’orizzonte che fanno presagire una fine delle ostilità, sono crescenti le paure di un coinvolgimento del settore petrolifero, il quale rimane la linfa vitale dell’economia di entrambi i paesi. Scontri si sono già registrati nella città di Port Sudan e nelle vicinanze della raffineria nei pressi della capitale. Nei primi giorni del conflitto, Port Sudan è caduta nelle mani dei guerriglieri di RSF, prima di essere poi riconquistata dall’esercito regolare. Durante l’ultima settimana, i soldati di RSF avrebbero, invece, preso il controllo delle infrastrutture petrolifere costruite a Nord di Khartoum, inclusa la centrale elettrica da cui dipende il suo funzionamento. La stessa è stata poi ripresa dall’esercito dopo due giorni di combattimenti.

Il ministro dell’energia Sudanese Mohamed Abdallah Mahmud afferma che la raffineria è ora al sicuro e il suo funzionamento procede senza alcun intoppo. Ma altri funzionari affermano che mancano rotte sicure per l’approvvigionamento dei distributori di benzina, il che causa scarsità di offerta e il raddoppio dei prezzi alla pompa. L’instabilità sta anche creando problemi alle importazioni di prodotti petroliferi, come gasolio e diesel, esacerbando ulteriormente le carenze di approvvigionamenti sia in Sudan che nel Sud Sudan. Il ministro del petrolio del Sud Sudan, Puot Kang Chol, ha affermato che il suo paese prenderà in considerazione l'importazione di carburante attraverso Gibuti o il Kenya su camion, se la situazione non dovesse migliorare. Ma con questa modalità di trasporto le quantità trasportabili potrebbero essere meno del necessario con costi molto più elevati.

Ancor peggio, il governo del Sud Sudan ha già avvertito che le esportazioni di greggio, e in particolare quelle provenienti dal Sud del Paese, potrebbero essere seriamente compromesse. E questo non soltanto in caso di coinvolgimento diretto delle infrastrutture nel conflitto, ma anche nel caso in cui i combattimenti dovessero ostacolare l’abilità del Paese di importare e rifornirsi di materie prime critiche necessarie per mantenere la produzione dei propri giacimenti. Rapportato alla produzione e consumo globale di petrolio, i volumi che potrebbero essere impattati da questo conflitto sono poco rilevanti. Ciononostante, per il Sudan e il Sud Sudan, le ripercussioni che potrebbero giungere dalla perdita di questi flussi sarebbero considerevoli.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui