Quando l'attuale governo federale composto da Socialdemocratici, Verdi e Liberali, è entrato in carica nel 2021, il mondo appariva molto diverso da oggi. L'economia tedesca cresceva dello 0,5% all'anno, i tassi di interesse sui titoli di Stato erano negativi e le ambizioni di Berlino di modernizzare il settore dell'elettricità puntando alla fornitura di energia prodotta da energie rinnovabili intermittenti erano elevate.

Il piano per aumentare significativamente la quota di generazione da FER è stato avanzato solo perché il governo ha fornito sostegno finanziario alle aziende che investono nelle energie rinnovabili. Un sostegno che non è stato troppo difficile concedere, grazie alla favorevole situazione di bilancio del governo federale. Tuttavia, la guerra della Russia contro l'Ucraina ha cambiato tutto.

Oggi, vicini al terzo anniversario dall’inizio della guerra, l'economia tedesca si sta contraendo per il quarto anno consecutivo: una situazione che non si vedeva dal 1949. L'inflazione in Germania ha toccato l'8% nel 2023 - oggi è del 3% - e i tassi di interesse sui titoli di Stato sono ad un livello assai elevato. In questa fase  è osservabile come le energie rinnovabili siano “fuori mercato”. Non solo, si può notare come anche che gli investimenti nella rete elettrica, funzionale a distribuire l'elettricità in maniera capillare nel paese, siano molto più onerosi rispetto  al periodo precedente l’inizio della guerra. Alla fine, il costo totale dell'elettricità per le imprese tedesche è aumentato così tanto da divenire un motivo di declino per la stessa economia della Germania, che al contrario,  era cresciuta negli anni grazie ad energia a basso costo proveniente dalla Russia, soprattutto il gas naturale. Ora però quei giorni sono finiti.

L'anno scorso si è discusso molto su come lo Stato dovesse spendere i propri soldi e abbiamo osservato come il governo tedesco non avesse alcun margine e possibilità di adattarsi alla situazione attuale. Il governo ha così deciso di sciogliersi prematuramente e la Germania si avvia verso le nuove elezioni che si terranno il 23 febbraio prossimo.

È molto probabile che il partito di centro-destra CDU, guidato da Friedrich Merz, vinca la tornata elettorale. Rispetto all'attuale governo, la CDU è un po' più aperta a varie tecnologie. Ci si aspetta, quindi, una transizione energetica tedesca che non si basi più solo sullo  sviluppo delle energie rinnovabili, ma che includa  anche  carbone con cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), lasciando aperta la possibilità all’utilizzo di lignite nel mix energetico, e nucleare. Il carbone ha un ruolo importantissimo nel mix attuale del Paese e ha il vantaggio di essere prodotta internamente. Resta però il nodo della sua impronta carbonica, visto le alte emissioni di CO2 della lignite e della necessità di affiancare le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio.

In materia di nucleare, il governo della CDU vorrebbe anche espandere l'energia prodotta dall’atomo, e per così dire, riconsiderarne l’utilizzo anche nel futuro. In Germania, le ultime tre centrali nucleari sono state chiuse nell'aprile 2024, dopo 50 anni di ininterrotta produzione. La cosa interessante, però, è che la CDU non dice di voler rimettere in funzione le centrali spente, ma di voler riflettere sul concetto di riattivazione del nucleare. È qui che si inserisce il discorso politico, perché è assai improbabile che potranno essere rimesse in funzione le tre centrali nucleari spente nel recente passato.

Pertanto, l'unica opzione disponibile per incrementare la produzione di elettricità è l’utilizzo di gas naturale nelle centrali termoelettriche a ciclo combinato (CCGT). Il problema però rimane nella fornitura di gas. Venuto meno il gas russo a buon mercato, oggi, la Germania guarda al GNL, e in maniera indipendente dal governo, per acquistare i volumi di gas naturale di cui ha bisogno. Volumi che attualmente per buona parte provengono  dagli Stati Uniti.

Indipendentemente dal settore energetico, la CDU dovrà quindi aiutare l'economia tedesca: senza un'economia sana, non si potrà  passare da una produzione di energia basata su combustibili ad alte emissioni a una basata su fonti a basse emissioni. Il cambiamento nella produzione di energia è sempre associato a costi importanti e ciò influenzerà il debito pubblico, necessario per portare avanti il progetto di transizione. Se ciò non verrà fatto i costi  per la società derivanti da maggiori emissioni saranno elevati, aggravando la crisi climatica già in corso.