Le recenti polemiche sulla speculazione dei prezzi dei carburanti, sfociate nel DL Trasparenza, evidenziano le molte criticità del sistema.  Partiamo dalla speculazione che è stata denunciata anche da fonti autorevoli. I dati ufficiali diffusi dai Ministeri competenti e dall’Osservatorio prezzi dei carburanti, oltre che da Mister Prezzi, ci dicono che sui punti vendita carburanti non si è consumata alcuna speculazione. In occasione del taglio delle accise adottato nel mese di marzo scorso e in occasione del ripristino delle stesse nel mese di dicembre 2022 e di gennaio 2023, le gestioni hanno adottato puntualmente la variazione di accise, senza alcun intervento ulteriore sui prezzi. 

Relativamente, invece, alle violazioni riferite dalla GdF al Governo con i processi verbali elevati nel corso del 2022, risulta che su di un totale di poco oltre 22.500 stazioni di servizio queste ammontavano ad appena più di 5.000; ma solo la metà di esse riguardavano i prezzi, risultando quasi nella totalità, di tipo semplicemente amministrativo, ovvero rilievi formali e non sostanziali e pertanto non interferenti con il livello dei prezzi stessi. Questo è quello che è emerso con tutta evidenza al Tavolo governativo convocato a Palazzo Chigi dal Sottosegretario Mantovano alla presenza dei Ministri Giorgetti e Urso e dei direttori generali e capi di gabinetto dei Ministeri interessati. È stata così smentita al più alto livello la narrazione secondo la quale la speculazione sui carburanti sarebbe stata ordita dai gestori delle stazioni di servizio. Essa non solo non corrisponde alla realtà delle cose, ma riafferma l’estraneità della categoria dei gestori alla cosiddetta speculazione. È stato anche evidenziato che i prezzi dei carburanti hanno subito un innalzamento dovuto al ripristino delle accise, mentre l’andamento del costo industriale, pur avendo avuto alcune fluttuazioni, è rimasto sui valori di media delle settimane precedenti.

 

Sul numero poi di punti vendita (pv) che non comunicherebbero all’Osservatorio Prezzi occorrerebbe capire da quale base di calcolo si parte, in quanto i dati dello stesso Ministero producono platee diverse, conteggiando in alcune sezioni 27.000 pv (Osservatorio del Commercio) e in altre 22.263 (Anagrafica degli impianti). Premesso dunque che bisogna fare un’opera di bonifica sui dati, se anche vi fossero alcuni gestori che non comunicano sistematicamente i prezzi, come ci viene riferito, questi possono essere perseguiti già con le norme, stringenti e pesanti, che non mancano nell’attuale legislazione. Il punto è nei numeri e nella base di riferimento, tenuto conto che non sempre le banche dati sulla consistenza della rete vendita- come abbiamo visto- coincidono.

I prezzi dei carburanti sono già oggi tra i prodotti più pubblicizzati rispetto ad ogni altro prodotto di largo e generale consumo, sia sulla rete ordinaria che quella autostradale, con tutte le specificità del caso. I gestori non sono contro la trasparenza dei prezzi. Anzi chiedono e vogliono trasparenza. Ma le modalità con cui si è proceduto hanno di fatto indicato nei gestori i responsabili degli aumenti che, invece, come abbiamo visto erano legati, aritmeticamente, al taglio dello sconto sulle accise. Aver di conseguenza introdotto sugli impianti un nuovo cartellone indicatore di un prezzo medio e nuove sanzioni a carico dei gestori ha sostanziato l’accusa ai benzinai. Questo è inaccettabile, iniquo e strumentale. La trasparenza potrebbe essere garantita da un App o dalla pubblicazione sul sito ministeriale del dato che tutti i consumatori potrebbero consultare comodamente sul loro telefonino: questo eviterebbe nuovi inutili ed anacronostici adempimenti e nuove sanzioni verso chi non ha responsabilità nella definizione del prezzo finale.

 

Invece, non una parola sulla costruzione del prezzo internazionale, sulla governance che ruota intorno al Platt’s, sulla gestione finanziaria dei prodotti petroliferi, sulla questione cruciale della logistica, sull’illegalità fiscale e sui costi operativi della filiera. In queste pieghe sembrerebbe non sia dato guardare.

Nel merito, l’introduzione di un nuovo cartello su tutta la rete, di un prezzo medio, oltre ad introdurre ulteriori adempimenti in capo soltanto ai gestori, con l’inasprimento eclatante ed inaccettabile delle sanzioni, rischia di ingenerare ulteriore confusione tra i consumatori, disorientati da una selva di cartelli, scaricando sull’ultimo anello della catena petrolifera ogni responsabilità. Questo ulteriore adempimento non tiene conto del fatto che non è il gestore a determinare i prezzi di vendita e che lo stesso opera con un margine fisso di poco più di 3 cent al litro lordi.

Il prezzo dei carburanti praticato da un distributore è comunicato quotidianamente dal fornitore, spesso deciso in relazione ad un monitoraggio dei prezzi della concorrenza, ed è il gestore a comunicare all’Osservatorio Prezzi quelli praticati e poi a pubblicarli sulla sua stazione con 5 diverse modalità, con una miriade di cartelli. Addirittura, per norma amministrativa, le gestioni sono costrette a comunicare i prezzi anche quando non ci sono variazioni di prezzo. Con tanto di sanzioni.

Premesso, dunque, che non c’è alcuna contrarietà alla trasparenza, la posizione di Faib è: si perseguano con razionalità gli strumenti utili per dare informazioni corrette ai consumatori ma si eviti la giungla cartellonistica che creerebbe solo confusione. Se si vuole un nuovo cartello significa che quelli che ci sono non sono utili e allora li si elimini e si razionalizzi l’attuale cartellonistica.

Detto questo, appare complicato stabilire il prezzo medio. Nella costruzione della media rientrano anche quegli impianti riforniti in esenzione IVA? I cui prodotti, ancorché da verificare dal punto di vista merceologico, arrivano da basi a dir poco opache? Dai prezzi praticati da punti vendita condotti in regime di violazione contrattuale e, dunque, di evasione contributiva? Un supplemento di riflessioni evidenzierebbe che così facendo si legittima l’enorme evasione fiscale e contrattuale. Che non può essere un obiettivo pubblico e di Governo.

La pubblicazione del prezzo medio, poi, comporta un rischio enorme di appiattimento del mercato intorno alla media, con una pesante ipoteca sulla capacità competitiva delle imprese. Un ulteriore riflessione riguarda la cancellazione degli investimenti che difficilmente potrebbero essere remunerati in una situazione di prezzi piatti. Se si inquadra il tutto nella prospettiva della transizione energetica e digitale si comprende l’enorme errore che si commette perseguendo una tale impostazione che risponde ad esigenze comunicazionali demagogiche.

 

Altra storia riguarda i prezzi in autostrada, dove non si comprende con quali meccanismi avverrebbe la costruzione della media dei prezzi, in un segmento fortemente a servizi aggiunti garantiti h 24  e sette giorni su sette e gravato dalle royalties che i sub-concessionari petroliferi e della ristorazione corrispondono ai concessionari autostradali. Qui la costruzione del prezzo sconta con ogni evidenza ulteriori impattanti voci di costo, ancor di più in una dinamica ribassista degli erogati, se si considera che la rete ha perso i ¾ del venduto.

 

Faib ritiene che la vera speculazione si annidi nei sistemi delle quotazioni e nei livelli delle transazioni internazionali: poi anche nella grande evasione IVA che ancora impatta sulla rete e nell’inaccettabile illegalità contrattuale che sottrae oltre una decina di miliardi di euro all’anno alle casse dello Stato, secondo le fonti ufficiali. È in questi ambiti che occorre intervenire perché se di un Decreto si sente il bisogno per la trasparenza e la legalità è di un Decreto contro l’illegalità contrattuale: solo così si può assestare un colpo a chi realmente specula truffando lo Stato.

Questa rete distributiva dei carburanti, per ritrovare produttività ed economicità, ha bisogno di essere ristrutturata e qualificata con prodotti di nuova generazione, a basso impatto ambientale e con lo sviluppo di attività cosiddette non oil e di servizio, sviluppando le forme di pagamento elettroniche, anche per trasparenza, abbattendo i costi delle commissioni bancarie per raggiungere standard europei che avrebbero il beneficio di migliorare la produttività e contenere i costi dei beni commercializzati. Tutte cose che necessitano di investimenti che il cosiddetto prezzo medio potrebbe ostacolare.