Le esportazioni di gas russo e le strategie di Mosca per l’export futuro hanno subito enormi variazioni negli ultimi tre anni, in seguito all’attacco russo all’Ucraina e alla decisione dell’UE di ridurre drasticamente l’import dalla Russia, con l’obiettivo di azzerarlo entro il 2027. Dal 2021 al 2023, la quota di gas russo nell’import UE è passata da oltre il 40% a circa il 15%. C’è stato un crollo delle esportazioni via gasdotto in Europa a partire dalla primavera-estate 2022, in seguito al rifiuto di diversi Paesi europei di pagare il gas russo in rubli – come richiesto da Mosca, anziché in euro o dollari, come avvenuto sino ad allora – e alle restrizioni dei flussi volute dal Cremlino. Dapprima è cessato l’export attraverso il gasdotto Yamal-Europa (via Bielorussia e Polonia), poi quello attraverso Nord Stream. Quest’ultimo è poi stato danneggiato gravemente da alcune esplosioni nel settembre 2022, che ne hanno impedito un eventuale utilizzo a tempo indeterminato.

Da allora fino a dicembre 2024, una quantità ridotta di gas russo ha raggiunto l’Europa via gasdotto attraverso l’Ucraina (circa 14,6 mld mc nel 2023) e la Turchia (12,5 mld mc nel 2023.) La Turchia può importare gas russo attraverso i gasdotti Blue Stream (con una capacità massima di 16 mld mc l’anno) e TurkStream (31,5 mld mc annui). Se buona parte di questo gas viene usato in Turchia – diventato il principale mercato europeo della Russia, con l’import di circa 21 mld mc nel 2023 – una capacità fino a 20 mld mc è disponibile per l’export verso la UE e i Balcani attraverso TurkStream.

È invece aumentato l’export di gas naturale liquefatto (GNL) russo verso l’Europa, che è passato da 15,2 tonnellate nel 2022 a 16,6 tonnellate nel 2024. In questo settore, la Russia è il secondo fornitore dopo gli Stati Uniti. A fronte di una riduzione complessiva dell’import UE di GNL nel 2024, la quota del GNL russo è passata dal 15 al 20% delle importazioni totali. L’incremento è legato al prezzo del GNL russo, che è generalmente meno caro di quello statunitense nel mercato spot.

Da gennaio 2025, anche il transito del gas russo via gasdotto attraverso l’Ucraina è cessato. Le conseguenze si sono fatte sentire soprattutto in Transnistria, la repubblica separatista che dipende dalle forniture russe per il funzionamento della centrale di Cuciurgan. Quest’ultima produce oltre i tre quarti del consumo di elettricità della Transnistria e rifornisce anche alcune zone adiacenti in Moldavia. D’altra parte, le conseguenze per l’Ucraina sono state limitate alla perdita degli introiti monetari che derivavano dal transito, che comunque erano pari a 0,5% del PIL nel 2022 e 2023. Il Paese è invece diventato autosufficiente per quanto riguarda il fabbisogno attuale di gas, ma solo in seguito alla distruzione della domanda legata al conflitto in corso.

La maggior parte dei leader UE hanno minimizzato gli effetti della cessazione del transito del gas attraverso l’Ucraina, fatta eccezione per Ungheria e la Slovacchia, che hanno addirittura minacciato ritorsioni nei confronti di Kyiv. Se la quota di gas russo importato attraverso l’Ucraina era ormai solo il 5% dell’import totale europeo, esso rappresentava il 65% della domanda di Austria, Slovacchia e Ungheria. L’impatto per la UE, e in particolare per questi Paesi, andrà dunque valutato nel tempo e alla luce delle variazioni nei prezzi e nella disponibilità di rifornimenti alternativi. Benché l’obiettivo UE di rendersi indipendente dalle forniture di gas russo sia ancora distante, alcuni analisti affermano che possa essere raggiunto entro il 2027, con l’aumento della produzione globale di GNL.

Il principale esportatore di gas russo, Gazprom, ha subito gli effetti altalenanti dei prezzi e della perdita di una grossa fetta del suo mercato europeo (le esportazioni di GNL da Yamal LNG sono invece appannaggio di Novatek). Dopo il boom del 2022, legato all’impennata dei prezzi del gas, la compagnia ha fatto registrare perdite di circa 7 miliardi di dollari nel 2023, per poi tornare a crescere nel 2024. Tuttavia, le difficoltà nel rimpiazzare le vendite nel mercato europeo complicano le prospettive di breve e medio termine della compagnia, il cui business è stato colpito anche da recenti sanzioni statunitensi nel settore petrolifero. Alla luce di questi sviluppi, Gazprom starebbe considerando una riduzione di circa il 40% del suo staff nell’ ufficio centrale a San Pietroburgo.

La compagnia ha già adottato una serie di misure in risposta alle difficoltà, sia nel mercato interno russo sia nelle strategie dell’export. È continuato l’aumento, seppur graduale, dei prezzi del gas nel mercato russo – al contempo, però, Gazprom ha dovuto contribuire di più al budget statale. L’export rimane fondamentale, ma i clienti sono cambiati. La Cina è ora il principale acquirente di Gazprom e di gas russo, con 22 mld mc trasportati attraverso il gasdotto Power of Siberia 1 nel 2023 e circa 31 miliardi nel 2024. Si prevede l’export di 38 mld mc entro il 2025, anno in cui il gasdotto opererà alla massima capacità.

Bisogna sottolineare che la Cina è in una posizione vantaggiosa nei negoziati relativi al prezzo del gas russo, essendo consapevole della necessità russa di esportare a est dopo aver perso buona parte dei suoi mercati europei. Per questo, si stima che Pechino sia riuscita a ottenere degli sconti consistenti rispetto ai prezzi pagati dagli acquirenti europei di Gazprom. La compagnia russa prevede comunque di esportare altri 10 mld mc  dall’isola di Sakhalin alla Cina nordorientale, con i primi volumi a partire dal 2027.

Il progetto più ambizioso nei rapporti energetici sino-russi è l’export di gas dai bacini della Siberia occidentale (che finora sono stati collegati esclusivamente ai mercati europei) attraverso il futuro gasdotto Power of Siberia 2, fino a un massimo di 50 mld mc annui. La Cina però avrà un notevole potere nel determinare i prezzi e i tempi di costruzione. La realizzazione potrebbe infatti avere bisogno di investimenti cinesi e protrarsi oltre alla data prevista da Gazprom per l’inizio dell’export, il 2027.

Con i progetti previsti e quelli già esistenti a pieno regime, Gazprom riuscirebbe a esportare quasi 100 mld mc l’anno verso la Cina. Sostituirebbe così gran parte del mercato europeo d’anteguerra con quello cinese, ma con alte probabilità che i margini di guadagno diventino notevolmente inferiori, dato il potere negoziale della Cina. Per la Cina, i benefici principali deriverebbero dall’acquisizione di una fonte di approvvigionamento energetico essenziale non dipendente dai collegamenti marittimi. Il gas russo potrebbe, inoltre, soddisfare la crescente domanda di gas cinese, in base alla quale si prevede che Pechino importi 250 mld mc all’anno entro il 2030 (a fronte di 170 miliardi nel 2023).

Un altro mercato in cui il gas russo sta tornando è l’Asia centrale. Fino al 2008 la Russia era il principale importatore di gas dai Paesi dell’Asia centrale ex sovietica; questo gas veniva poi riesportato in Europa a prezzi più elevati. Negli anni 2010, la Cina è diventata il principale mercato per l’export del gas dall’Asia centrale, in particolare dal Turkmenistan. Il recente calo della produzione di gas in Uzbekistan e l’aumento della domanda in Kazakistan stanno permettendo alla Russia di diventare un esportatore di gas nella regione. Mosca ha cominciato a esportare gas in Uzbekistan sfruttando la bidirezionalità del gasdotto Asia centrale-Centro, inizialmente progettato per l’import di gas dall’Asia centrale verso la Russia. Le stime prevedono un export di un massimo di 12 mld mc di gas russo all’anno verso Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan a partire dal 2025, a prezzi inferiori rispetto a quelli del mercato europeo. Si tratterebbe dunque di un’alternativa modesta per Gazprom, ma comunque non trascurabile viste le difficoltà attuali.

Se gasdotti vecchi e nuovi possono riorientare parte dell’export russo verso est e sud, il GNL resta l’opzione ideale per la Russia per raggiungere i mercati globali grazie alla flessibilità legata al trasporto via mare. In aggiunta al progetto Sakhalin 2 nell’estremo oriente del Paese, attivo dal 2009, nel 2017 è diventato operativo Yamal LNG, che produce 18 milioni di tonnellate l’anno. L’export di Yamal LNG può raggiungere sia l’Europa sia l’Asia attraverso l’Oceano Artico. Grazie a Yamal LNG e a nuovi progetti, la Russia punta a diventare uno dei grandi esportatori mondiali di GNL insieme a Australia, Qatar e Stati Uniti.

Tuttavia, nell’immediato le sanzioni occidentali presentano non pochi ostacoli agli ulteriori piani di espansione dell’export russo. Le vicende del nuovo progetto di Novatek, Arctic LNG-2, sono emblematiche delle attuali difficoltà. Le sanzioni statunitensi hanno di fatto bloccato le esportazioni prima che cominciassero, in quanto Novatek ha dovuto dichiarare force majeure. Inoltre, nell’ultimo round di sanzioni la UE ha vietato il trasferimento (transshipment) di gas russo dalle navi gasiere rompighiaccio a gasiere più grandi, passaggio che avviene prevalentemente in porti UE e consente alla Russia di riesportare il GNL verso altre destinazioni, ottimizzando al contempo l’utilizzo della flotta rompighiaccio nel Mar Artico. Tale divieto entrerà in vigore a marzo 2025. Queste misure ritarderanno l’ulteriore espansione dell’export di GNL russo; l’entità del ritardo dipenderà dalla capacità di adattamento russa, che è finora stata notevole anche grazie alla cooperazione con la Cina e all’aggiramento delle sanzioni occidentali, così come dalla futura evoluzione dello scenario politico.

Marco Siddi è Professore Associato all’Università di Cagliari e Leading Researcher presso il Finnish Institute of International Affairs)