C'è voluto poco, meno di un mese da quando la Russia ha invaso l'Ucraina, perché il governo italiano introducesse uno sconto sulle accise dei carburanti. Quasi un anno dopo e dopo un cambio di esecutivo, questo sconto non esiste più e oggi i riflettori sono accesi su cosa succede ai prezzi alla pompa, mentre sullo sfondo si consuma lo scontro tra i benzinai e il nuovo governo.

 

Era il 21 marzo 2022 quando il decreto varato dall'esecutivo guidato da Mario Draghi è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale: l’intervento prevedeva un taglio delle accise di 25 centesimi che insieme all'IVA producevano uno sconto fiscale di 30 centesimi al litro. Il contesto era di fortissima tensione sui mercati internazionali, con i prodotti raffinati sulla piazza del Mediterraneo che in poche settimane avevano superato ogni record. Basti pensare che nella settimana precedente all'entrata in vigore del decreto, il prezzo medio nazionale dei carburanti aveva superato ampiamente la soglia dei due euro al litro. In particolare, secondo le rilevazioni settimanali del ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase), il prezzo medio nazionale della benzina aveva raggiunto quota 2,137 euro, mentre il gasolio 2,124 euro. Picchi assolutamente inediti per il mercato italiano.

 

La misura è rimasta in vigore otto mesi attraverso otto proroghe, tra decreti legge e decreti interministeriali. L'ultima – della durata di un mese – è stata approvata il 19 ottobre, alla vigilia dell'insediamento dell'esecutivo guidato da Giorgia Meloni. In questo modo, dal mese di aprile in poi il governo è riuscito a mantenere i prezzi medi di gasolio e benzina sotto i due euro. L'unica eccezione si è registrata a giugno, in un momento di forte rialzo dei prezzi alla pompa in linea con le quotazioni internazionali che hanno spinto la benzina a toccare il record del prezzo medio nazionale su base mensile di 2,034 euro al litro. Nello stesso mese anche il diesel ha subìto un forte incremento, raggiungendo il picco di 1,972 euro al litro (dati medi mensili su base nazionale rilevati dal Mase). I prezzi si sono mantenuti sostenuti anche a luglio, salvo poi ripiegare su una lenta discesa durante l'autunno.

Intervenire sulle accise ha avuto un costo di 7 miliardi di euro tra aprile e novembre, una spesa finanziata in parte dall'extra gettito dell'Iva derivato dall'aumento dei prezzi dei carburanti e in parte dalla tassa sugli extra profitti a carico delle aziende dell'energia introdotta sempre dal governo Draghi.

 

Con l'arrivo del nuovo esecutivo è arrivato anche il momento delle scelte. L'urgenza di varare la manovra finanziaria mentre la spesa energetica di famiglie e imprese continuava a crescere – e lo dimostrano gli adeguamenti mensili delle tariffe di elettricità e gas disposti da Arera – ha imposto al governo di fissare delle priorità. Così, dal primo dicembre la premier Giorgia Meloni ha ridotto da 30 a 18 centesimi lo sconto sulla componente fiscale del prezzo dei carburanti. Gli automobilisti non hanno avuto grossi scossoni sui prezzi alla pompa, che anzi, stando ai valori medi nazionali su base mensile del Mase, si sono attestati a 1,662 per la benzina e 1,727 per il gasolio (contro 1,688 e 1,810 del mese precedente). Prezzi ben lontani da quelli di marzo 2022. L'aumento delle accise è stato praticamente assorbito dalla riduzione dei prezzi industriali, ovvero la somma dei margini di gestori e distributori insieme ai costi della materia prima, cioè i prodotti raffinati (Platt's).

 

Diversa è la situazione in queste prime settimane del 2023. Ma più che i prezzi, almeno per il momento a fare la differenza è il clamore mediatico che si è acceso intorno alla questione. Dal primo gennaio lo sconto fiscale è stato completamente cancellato e le accise sono aumentate di altri 18 centesimi. Secondo le rilevazioni medie nazionali del Mase, nella prima settimana del mese i prezzi hanno subìto un aumento di 16 centesimi rispetto all'ultima settimana di dicembre, leggermente inferiore quindi a quello determinato dalle accise. Eppure nella percezione dei consumatori i prezzi alla pompa sarebbero schizzati alle stelle: associazioni di consumatori rilanciate da diversi quotidiani hanno parlato per giorni di prezzi sopra i 2 euro al litro, con picchi in alcuni casi di 2,50. Considerando che la rete di distribuzione è composta da quasi 22.000 punti vendita con volumi di mercato e costi logistici molto differenziati, casi singoli di prezzi fuori media non sono da escludere. Ma non sono questi a determinare il mercato.

 

Di fronte a questo allarme il governo ha ceduto alla tentazione di gridare alla speculazione. Lo hanno fatto alcuni ministri e poi anche Palazzo Chigi, quando in una nota ufficiale ha annunciato un incontro con il comandante generale della Guardia di Finanza “per fare il punto e valutare ogni possibile ulteriore azione di contrasto alle speculazioni in atto sui prezzi dei carburanti”.

 

La misura concreta che ne è seguita è un decreto per aumentare la trasparenza dei prezzi pubblicato il 14 gennaio in Gazzetta Ufficiale. Dal punto di vista del sostegno ai consumatori, il provvedimento dispone la proroga dei buoni carburante esentasse e modifica la norma sull'accisa mobile contenuta nella legge di Bilancio 2008 accorciando i tempi per l'adozione del decreto che la attua. Dal punto di vista della trasparenza, il decreto introduce invece alcuni nuovi oneri per i benzinai. In particolare, i gestori dovranno comunicare all'Osservaprezzi del ministero delle Imprese e del Made in Italy i prezzi praticati ogni giorno, e non più quando c'è una variazione (o almeno una volta a settimana). Rende, inoltre, obbligatorio esporre negli impianti il prezzo medio regionale aggiornato quotidianamente. Per punire chi non si adegua a queste disposizioni le sanzioni sono state inasprite fino a 6.000 euro e dopo la terza violazione può essere disposta la sospensione dell’attività per un periodo tra i 7 e i 90 giorni.

 

Le critiche al decreto dipendono in particolare dai nuovi obblighi per i gestori. Diversi esperti hanno notato la dubbia utilità di esporre negli impianti un valore di riferimento regionale, troppo ampio rispetto a dinamiche di prezzo che sono strutturalmente locali, oltre al pericolo che ci possa essere un livellamento dei prezzi al rialzo laddove i gestori pratichino un prezzo sotto la media. Molti osservatori hanno poi sottolineato l'inefficacia ai fini di una maggiore trasparenza della comunicazione quotidiana dei prezzi, che ha senso solo nel caso in cui ci sia un'effettiva variazione. I dati dei prezzi medi, inoltre, sono già disponibili quotidianamente sul sito dell'Osservaprezzi e consultabili da chiunque voglia trovare il distributore più economico nella propria zona.

 

In particolare, i diretti interessati dalle nuove misure hanno duramente criticato il provvedimento. L'idea dei sindacati di categoria è che il decreto nasca dall'urgenza di dare un segnale ai consumatori dopo aver agitato lo spettro della speculazione. Mentre i rischi concreti sono di un aumento delle sanzioni che possono derivare dalla maggiore burocrazia che queste misure comportano. Nell'ultima settimana i rappresentanti della filiera dei carburanti hanno incontrato il governo due volte, ottenendo l'apertura di un tavolo tecnico finalizzato a improntare una riforma strutturale della rete. La trattativa è ancora aperta e i sindacati sperano in una modifica del decreto in sede parlamentare o almeno in una limatura delle misure attraverso il limitato potere dei decreti attuativi. Per il momento il confronto non ha portato a risultati. Salvo intese, resta confermato lo sciopero dei benzinai indetto per il 25 e il 26 gennaio.