Intervista a Marco Versari (Presidente AssoBioPlastiche)

La nuova legge sui sacchetti biodegradabili e sulle buste della spesa in plastica ha scatenato una campagna mediatica improntata sulla disinformazione e sulla dietrologia. Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza?

Prima di tutto bisogna fare un passo indietro. Già dal 2012 l’Italia ha avuto una legge sulle buste della spesa riutilizzabili e biodegradabili che obbligava gli esercenti ad esplicitare il costo dei sacchetti e ad abbandonare le tradizionali buste in polietilene in favore di materiali biodegradabili. Pertanto, la legge attuale, che non è altro che una trasposizione della direttiva europea 2015/720, conferma in toto la normativa precedente sulla buste della spesa, estendendo però l’obbligo di far pagare queste ultime ai consumatori a tutte le categorie commerciali e non più solo alla grande distribuzione.  Questo perché fino ad oggi nella piccola distribuzione venivano utilizzati sacchetti in polietilene con il risultato che il 50% delle buste in circolazione in Italia risultavano fuorilegge. L’ultima novità riguarda i sacchetti monouso per frutta e verdura. I paesi membri dell’Unione Europea sono stati infatti lasciati liberi di recepire la direttiva comunitaria prendendo o meno delle misure sui cosiddetti sacchetti ultraleggeri, tanto che, ad esempio, la Francia applicò una normativa simile a quella oggi introdotta in Italia un anno fa. Su questo ambito il nostro paese, ha deciso quindi di estendere il pagamento obbligatorio.

E qual è la sua opinione in merito?

Non posso che essere d’accordo. Innanzitutto per una ragione di trasparenza: questo è un servizio che già veniva pagato dai consumatori e che ora è stato esplicitato. In secondo luogo perché viene finalmente assimilato il principio comunitario che sostanzialmente dice che il cittadino europeo deve abbandonare l’idea che la plastica non abbia valore e non abbia impatto ambientale. Tant’è che, nonostante la reazione polemica di queste settimane, per la prima volta in Italia è stata data attenzione mediatica alla questione dei sacchetti di plastica e al loro impatto sui mari e sull’ambiente. Va purtroppo detto che è mancata un’appropriata campagna informativa sul fine vita della plastica. Chi doveva farla non ha centrato l’obiettivo.

In questi giorni si è parlato della filiera italiana della bioplastica solo in termini di vantaggi derivanti da questa nuova legge e non in termini economici. Ci può fornire una panoramica del settore?

Questo è il punto fondamentale. I sacchetti dell’ortofrutta in polietilene che ci “regalava” il fruttivendolo vengono tutti dall’Estremo Oriente mentre sul sacchetto in bioplastica possiamo vantare una filiera italiana al 100%, soprattutto per quanto riguarda la trasformazione finale. Ad oggi si contano almeno 150 aziende sul territorio nazionale, di cui una quarantina associate ad Assobioplastiche. Aziende che dopo anni di stallo stanno assumendo nuovi lavoratori, comprando nuove macchine e investendo in nuove attrezzature. Perché il sacco ortofrutta fatto in polietilene è un prodotto poverissimo, mentre il sacco in plastica biodegradabile rappresenta un prodotto molto sofisticato dal punto di vista tecnologico. E questo esalta e inorgoglisce le enormi competenze della nostra filiera che finalmente torna a competere sulla qualità e la sostenibilità. Stupisce che in questi giorni nessuno abbia detto che questa nuova legge è un piccolo gesto che porta enormi benefici a un comparto su cui l’Italia detiene una leadership invidiata a livello mondiale. È un vero peccato che questa novità nel mondo delle buste in plastica, invece di mettere in luce un settore fatto da una molteplicità di imprese, si sia ridotta alla solita bufala della legge “ad aziendam”. Tanto per capirci, in Italia non c’è una sola azienda che ha tratto beneficio da questa novità nel mondo della spesa, ce ne sono centinaia. E a me sembra una buona notizia.

Da quali prodotti si ricava la bioplastica?

Ad oggi trasformiamo principalmente olii e zuccheri ma in un futuro non troppo lontano si parlerà di una molteplicità di biomasse. L’intenzione è quella di arrivare a trasformare gli scarti e la frazione organica dei nostri rifiuti in un’ottica di economia circolare. A tal proposito è bene ricordare la centralità che le politiche sull’implementazione e la valorizzazione della raccolta differenziata hanno assunto in questi anni. Tanto per fare un esempio, se l’Italia non avesse investito sulla separazione della frazione organica dei rifiuti non avremmo avuto il boom delle stoviglie biodegradabili, non avremmo avuto un’azienda nazionale fornitrice ufficiale delle prime olimpiadi zero waste di Londra, non avremmo avuto Lavazza che investe sulla cialda biodegradabile confermando che l’Italia può essere all’avanguardia sia sul gusto che sull’imballaggio. Questa legge è un ulteriore tassello che favorisce un’economia basata sulla qualità tecnologica e sulla sostenibilità ambientale. Altrimenti continueremmo a competere su quantità e prezzi contro paesi in cui il costo del lavoro e la salvaguardia dell’ambiente godono di pessima salute. Ma ripeto, è mancata una corretta informazione. Perché se il cittadino venisse informato correttamente sarebbe orgoglioso di spendere 1 o 2 centesimi. Al contrario, facendo cattiva informazione si ridicolizza e sminuisce uno sforzo tecnologico che ha 25 anni di storia.

Qualcuno ha sindacato che finché le etichette di frutta e verdura non saranno biodegradabili si rischia di rovinare la possibilità di riciclo dei sacchetti in bioplastica.

La direttiva dell’Unione Europea riguarda i sacchetti, non le etichette. È chiaro che questo è un primo passo verso una rivoluzione definitiva dei prodotti monouso (buste, etichette, guanti, etc.), perché finalmente l’Unione Europea si è resa conto che non è accettabile che un prodotto utilizzato per pochi secondi rimanga nell’ambiente per anni. Va comunque sottolineato che alcune catene di supermercati hanno già introdotto le etichette biodegradabili. Speriamo che anche le altre si adeguino e che la normativa non tardi a riconoscere anche questa ulteriore transizione.