A livello comunitario, dopo tanti anni di scenari errati, assunzione di obiettivi sulla decarbonizzazione caratterizzati dalla costante assenza di analisi di fattibilità e di impatto economico e sociale, sta spirando una ventata di moderato pragmatismo. Ventata cui innegabilmente sta contribuendo il governo italiano. Pragmatismo che ha trovato nella guerra russo-ucraina un humus fertile per attecchire. Le tensioni sul mercato del gas, è bene ricordarlo, emergono nella seconda metà del 2021, frutto di un disallineamento tra domanda ed offerta per esplodere, come noto, con lo scoppio della guerra russo-ucraina.
Non vi è dubbio che la guerra non è mai accettabile e non può essere una soluzione, mai, e questo dovrebbe valere per le decine di guerre attive sul globo terracqueo, ma un’analisi degli eventi antecedenti il 24 febbraio 2022, dovrebbe consentire di non addebitare tutte le responsabilità alla Russia. Ciò vale anche nel contesto di una valutazione sulle rotte di approvvigionamento. Dalla chiusura di Yamal all’esplosione sulle linee di Nord Stream. Il mainstream comunicativo (quasi) all’unisono ha addebitato le responsabilità sempre e solo alla Russia. Sul Nord Stream sta emergendo sempre più un’altra lettura, assai più coerente con la logica valutazione che la Russia non aveva e non ha interesse ad eliminare in modo duraturo il legame energetico con il mercato europeo.
A certe condizioni, non si ritiene sia ipotizzabile non riaprire un legame energetico con la Russia. Oggi di questo non vi è traccia in alcun scenario, tutti tesi allo zero gas russo ma pare indubbio l’interesse per i paesi della UE di riannoverare “un giorno” la Russia come fornitore per almeno due motivi: economico e ambientale. I costi di estrazione e trasporto (in particolare nei casi di infrastrutture già ammortizzate) via gasdotto sono assai inferiori a quelli del GNL. E poi, elemento che curiosamente non stimola sufficientemente l’attenzione dei media, l’impatto carbonico del GNL rispetto al gas naturale è sensibilmente diverso. La liquefazione ed il trasporto, fasi centrali del GNL (rispetto alla prima dell’estrazione e l’ultima di rigassificazione) sono molto energivore. Se si aggiunge poi, nel caso del GNL statunitense, anche l’alto contributo carbonico della tecnica estrattiva della fratturazione tale impatto diventa assai rilevante. Mentre il dibattito si appassiona sulla presenza del gas naturale nella tassonomia, viene imposto il divieto di caldaie a gas dal 2029, norme inapplicabili nella proposta di regolamento UE sulle emissioni di metano, ma è curioso che un aspetto di questo genere non emerga mai: siamo nell’ordine di emissioni di CO2 per un fattore 5! Fattore che può aumentare nel caso di shipping molto distante.
L’Unione Europea esce più debole da questo periodo, inclusa la fase pandemica: nell’attenuazione dei vincoli sugli aiuti di stato che hanno consentito interventi pubblici massicci ai paesi con minori vincoli di bilancio, nella mancanza (l’ennesima) coesione sulle politiche di intervento sul mercato del gas, nella maggiore fragilità nelle politiche di approvvigionamento delle materie prime, in particolare delle terre rare, unito all’irrealizzabile sogno di avere un’industria europea dei pannelli fotovoltaici. Debolezza geopolitica con uno schieramento di fatto obbligato al servizio degli Stati Uniti ma con limitata capacità di impatto su aree di crisi di maggiore vicinanza come il Nord Africa, i Balcani o aree come il Medio Oriente, dove il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, il rientro della Siria di Assad nella Lega Araba testimoniano effervescenze e cambiamenti di rapporti di potere.
Tornando ora al pragmatismo, oggi dire che elettrificazione non è sinonimo di decarbonizzazione, come detto da Assogas su questa rivista nel 2018, non genera più condanne per eresia: è necessario un percorso graduale, vi debbono concorrere diverse tecnologie e vettori. Percorso che deve essere costruito in maniera tale da fornire quel quadro di certezze idoneo a garantire la finanziabilità degli investimenti, siano essi nel campo delle energie rinnovabili, degli stoccaggi e della famiglia dei gas e dell’idrogeno. Oggi la consapevolezza del ruolo del gas naturale nella transizione e dei gas rinnovabili ed idrogeno nella decarbonizzazione pare affermata: ciò vuol dire creare le condizioni sia per gli investimenti nella produzione di gas naturale con un sentiero di domanda il più definita possibile, sia per incentivare la produzione di gas rinnovabili ed idrogeno. Tali condizioni trovano ovvio riflesso nel ruolo delle reti di trasporto e distribuzione dei gas e dell’idrogeno. Patrimonio esistente, sul quale appare scontata la capacità di gestire l’immissione e il trasporto dei gas rinnovabili e, in via di testing progressivo, la percentuale di blend con l’idrogeno. Patrimonio quindi che va gestito e che necessita di un adeguamento del quadro normativo e regolatorio.
Il bilancio per il paese è comunque pesante: si è riusciti a far fronte all’emergenza sostenendo il sistema imprenditoriale e le famiglie a costi molto rilevanti e con impatti asimmetrici sugli operatori di mercato. Mentre i clienti sostenevano le bollette più alte della storia, sul mercato alcuni, pochi, operatori vantavano gli utili più alti della storia e molti altri, privi di contratti di importazione, soffrivano una forte compressione dei margini, unita ad un ventaglio di obblighi, in particolare le rateizzazioni, sensibilmente impattanti sulle posizioni finanziarie. Si è assunta consapevolezza della fragilità strutturale di alcuni mercati, il TTF in primis, e l’allontanamento dai mercati regolamentati ha portato maggiore opacità e rischio per gli operatori. Lo Stato, sia a livello nazionale che comunitario, ha aumentato la sua propensione interventista trascurando, talvolta, gli impatti in termini di costi per il consumatore.