Il settore della raffinazione, una filiera strategica dal punto di vista economico e occupazionale, vive da alcuni anni una profonda crisi, imputabile a diversi fattori e aggravata dalla diffusione del COVID-19. Questo comparto, così come gli altri settori industriali, è chiamato a rispondere ad un’ulteriore sfida, che è quella della decarbornizzazione dell’economia e lo sta facendo con senso di responsabilità. Come si conciliano rispetto dell’ambiente e produttività? Lo abbiamo chiesto all’Ing. Rosario Pistorio Amministratore Delegato Sonatrach Raffineria Italiana.

La crisi del settore della raffinazione in Italia, ma soprattutto al Sud, è la cartina al tornasole di un processo di deindustrializzazione non compensato dall'avanzare di nessun altro settore produttivo. La questione meriterebbe una riflessione più ampia. Lei che ne pensa?

La crisi della raffinazione è, purtroppo, presente su scala globale da più di un anno, aggravata in modo sensibile dal COVID-19, ed è imputabile a diversi fattori, non sempre ricadenti all’interno della sfera di influenza di un solo Paese. Quello che, però, differenzia a mio avviso l’Italia, ed in particolare il Sud, è la mancata valorizzazione di asset strategici quali i poli di raffinazione, una filiera produttiva seconda solo alla Germania in Europa e che rappresenta un’eccellenza nel mondo in termini di sistemi di gestione, competenze tecniche e gestionali specifiche e profili altamente qualificati a tutti i livelli organizzativi.

Oggi non sempre è presente una visione integrata della politica energetica, con il conseguente rischio di accodarsi alle mode mediatiche del momento. Immaginare, ad esempio, una transizione dei trasporti solamente verso l’elettrico, oltre a non essere la soluzione più sostenibile (considerando l’intero ciclo di vita dei prodotti), rischia di depauperare l’intero settore ma anche la filiera dell’automotive che costituisce un ulteriore pilastro del tessuto economico italiano, fatto di grossi poli ma anche di tante PMI che vi ruotano attorno e che rappresentano, nel mondo, punte di eccellenza per il nostro Paese. Un rischio, quindi, di deindustrializzazione, che può però essere scongiurato facendo sistema con tutti gli stakeholder (politica in primis, parti sociali, autorità) al fine di sviluppare una transizione energetica che accompagni il paese nei prossimi 30 anni, attraendo investimenti concreti e puntando su settori strategici come il nostro. Non solo elettrico quindi, ma anche combustibili liquidi a basso tenore di carbonio, rinnovamento parco veicoli (tra i più vecchi d’Europa), filiere integrate, economia circolare e sviluppo industriale sostenibile. 

Eppure il settore della raffinazione è stato oggetto di un processo di miglioramento tecnologico e di regole sempre più stringenti. Come è evoluto il comparto negli ultimi anni?

Nel corso degli ultimi venti anni sono stati fatti passi da gigante non solo nella qualità dei prodotti raffinati (oggi quelli con specifiche qualitative più stringenti al mondo), ma anche nell’abbattimento delle emissioni degli impianti che li producono. Tutto questo è stato possibile grazie a significativi investimenti (si parla di ordini di grandezza di miliardi di euro per l’intero paese Italia) nelle migliori tecnologie disponibili ed in  sistemi di gestione all’avanguardia che hanno permesso di ridurre in alcuni casi anche di oltre il 70% le principali componenti emissive, in un contesto normativo sicuramente più stringente rispetto al passato che garantisce monitoraggio e controlli costanti a tutela dei consumatori, dei lavoratori e delle comunità presso cui operano i poli produttivi.

Raffinazione e il nodo Sicilia. La Regione nel luglio del 2018 ha approvato il Piano regionale di tutela della qualità dell'aria che modifica i valori per le emissioni per gli impianti industriali che operano nell'isola. Il piano ha suscitato l'allarme da parte delle raffinerie regionali, in quanto gli oneri che ricadono sugli impianti sono ritenuti "sproporzionatamente ingiustificato e gravosi". E' stato presentato anche un ricorso al TAR per chiederne l'annullamento, ma si attende ancora la pronuncia del tribunale amministrativo. Dove è il confine fra tutela dell'ambiente e importanza a preservare un settore strategico dal punto di vista economico e occupazionale?

Vorrei subito chiarire che il nostro settore non considera la tutela dell’ambiente un valore sacrificabile dinanzi all’importanza della produzione. Per citare qualche esempio nel merito, i recenti rapporti della qualità dell'aria del Polo petrolchimico siracusano redatti da ARPA (2018-2019) testimoniamo come la presenza di inquinanti quali SOx e NOx abbiano subìto una notevole flessione nel corso degli ultimi cinque anni, con presenze oggi “poco significative sulla provincia di Siracusa” come riportato dalla stessa ARPA nei suoi recenti rapporti. Un risultato frutto dell’applicazione nel corso dell’ultimo decennio delle migliori tecniche ambientali disponibili (MTD - BAT) che hanno richiesto sforzi notevoli nella pianificazione industriale pluriennale di tutti i siti produttivi.

Le critiche al piano regionale, quindi, non si basano sulla negazione dell’importanza della tutela ambientale, ma sul fatto che esso è stato redatto su dati non aggiornati e che, quindi, non tengono conto dei significativi miglioramenti avvenuti nel corso degli ultimi anni (come, invece, riconosciuto dalla stessa ARPA). Le restrizioni che il piano pone alle attività industriali discendono, cioè, da valutazioni basate su descrizioni di scenari futuri non affidabili in quanto derivate da ipotesi di base non aggiornate e non rappresentative. In sostanza verrebbero prescritti interventi – significativamente onerosi - non opportuni/necessari essendo lo stato reale dell’ambiente diverso (migliore) di quello simulato in base a dati obsoleti.

Il piano, emanato a luglio del 2018, richiede di conseguenza dei limiti non comparabili con altre realtà italiane ed europee; inoltre, fissa delle scadenze temporali non compatibili con i normali cicli di investimento senza tenere conto delle AIA già rilasciate dal Ministero all’inizio dello stesso 2018 (inclusive delle più recenti BAT) e sulle quali è stata sviluppata la pianificazione industriale pluriennale. 

Dimostrazione di quanto sopra è il fatto che il ricorso non è stato presentato solamente dalle raffinerie ma dalle maggiori realtà produttive dell’isola (inclusi impianti chimici e cementifici) in quanto il piano va esattamente nella direzione opposta indicata precedentemente, ovvero quella del dialogo con tutti gli stakeholders al fine di concentrare risorse e sforzi sulle tematiche di sviluppo sostenibile di cui il Paese e la Sicilia hanno bisogno.

Quale è la visione di Sonatrach Italia in questo contesto di crisi e di misure sempre più stringenti in materia ambientale?

Sonatrach Raffineria Italiana ha posto il valore della sostenibilità al centro delle proprie operazioni effettuando importanti investimenti nel 2019 (quasi 200 milioni di euro) per mantenere alti livelli di affidabilità e sicurezza degli impianti e per finalizzare l’adeguamento alle recenti BAT e traguardare il ciclo di AIA 2018-2030. Pur rimanendo fermi sulla posizione espressa sul piano di qualità dell’aria, abbiamo mostrato apertura per un percorso condiviso con i principali attori (Istituzioni e Parti Sociali), tenendo però in debita considerazione la crisi che il settore è chiamato ad affrontare nell’immediato futuro e le sfide ben più grandi che la transizione energetica ci porrà di fronte nei prossimi decenni. Abbiamo fatto misurare il grado di sostenibilità della nostra attività (quindi non solo sostenibilità ambientale, ma sostenibilità integrale) ad un ente terzo, ottenendo la certificazione SI Rating; entro il 2020 presenteremo il nostro primo bilancio di sostenibilità, non tanto uno strumento di comunicazione ma un documento portante della nostra strategia aziendale. Senza dimenticare che, oggi, la Sicilia e Sonatrach in particolare possono giocare un ruolo chiave non solo come asset strategico italiano ma anche come ponte energetico verso i mercati del Nord Africa in fortissima espansione.