Tra le diverse e variegate ripercussioni che il lockdown da poco concluso ha avuto sulla vita sociale ed economica dei maggiori paesi europei, vi sono senz’altro le ricadute sui rispettivi sistemi elettrici. Il tentativo di analisi cominciato la scorsa settimana sul blog della Rivista Energia si pone come scopo proprio quello di verificare gli effetti di breve periodo dello shock di domanda inferto dal lockdown sul funzionamento dei sistemi elettrici e dei mercati all’ingrosso. Siamo di fronte a uno stress test reale e quindi a un caso più unico che raro in economia. La sequenza degli eventi è stata ovunque simile: fermo delle attività produttive per ragioni sanitarie, crollo immediato della domanda elettrica seguito istantaneamente dal calo della generazione e, con qualche ritardo, dei prezzi all’ingrosso.
Ad assorbire quasi per intero il calo della domanda sono state le centrali alimentate da fonti fossili, perché hanno i costi marginali più alti (e quindi sono uscite per prime dal merit order) e perché hanno una maggiore flessibilità operativa. In tutti i maggiori sistemi elettrici europei, la conseguenza è stato un mix di generazione in cui le fonti rinnovabili hanno raggiunto per qualche settimana un peso che si aspettava solo tra qualche anno. In un colpo solo, le fonti rinnovabili hanno visto salire del 10% la loro quota, anticipando una sfida di cui molto si sta dibattendo nella prospettiva della transizione energetica: la loro integrazione tecnica ed economica nei sistemi elettrici. Dai dati che sono riuscito a raccogliere mi pare di potere concludere che lo stress test tecnico è stato nel complesso superato bene. Certamente, come ha ammesso il direttore di Réseau de Transport d'Électricité, i gestori delle reti di trasmissione hanno dovuto dare fondo più spesso del solito alle loro doti di acrobati per tenere sotto controllo le sovratensioni provocate dai carichi ridotti. Probabilmente in Francia più che altrove date le peculiari caratteristiche gestionali del parco nucleare.
Il termometro più affidabile delle condizioni delle reti di trasmissione sono i costi dei relativi servizi, in particolari quelli legati a congestioni e ridispacciamento. Sebbene siano aumentati dappertutto, la loro crescita non è stata, a parer mio, eccessiva. E certamente l’effetto del calo dei prezzi all’ingrosso, nella misura in cui sarà trasferito nelle bollette, sovrasterà l’impatto dovuto all’aumento dei costi dei servizi di rete che, per definizione, passa per intero dalle bollette. In Italia, ad esempio, il costo unitario dell’Uplift, che risente anche del calo dei consumi posti al denominatore, è cresciuto tra gennaio e aprile da 6,5 euro per MWh a 19,5 euro per MWh. Nello stesso periodo la media mensile dei prezzi all’ingrosso è scesa da 47,5 euro per MWh a 24,8 euro per MWh.
Uno studio “caso per caso” individua le cause più specifiche di questi aumenti. Le criticità più serie riguardano i sistemi elettrici tedesco e britannico. In Germania, forse perché la quota di mercato delle fonti rinnovabili è da tempo più alta che altrove, erano già all’opera per riformare il meccanismo di bilanciamento e soprattutto, per ampliare e ammodernare le infrastrutture di rete che dovranno garantire il vettoriamento dell’elettricità prodotta nei campi offshore del mare del Nord verso i centri di consumo.
Nel Regno Unito, oltre alla congestione delle linee ad alta tensione sulle direttrici nord-sud che si verificano anche lì quando i venti soffiano forte, il calo della domanda ha messo in risalto le delicate interdipendenze con la rete di distribuzione, in particolare con i piccoli impianti connessi in media e bassa tensione che non partecipano al meccanismo di bilanciamento. A fine aprile National Grid ha chiesto con urgenza a Ofgem, che ha acconsentito, di avere il potere in caso di emergenza di ordinare ai distributori di disconnettere questi impianti che, continuando a immettere energia in rete anche quando la rete non è in grado di assorbirla, mettono a rischio la sicurezza delle forniture.
Per affrontare problemi di questo tipo, che si riproporranno con maggior frequenza in un futuro che attende una crescita sostenuta delle fonti rinnovabili, si deve architettare un mix di regole appropriato a incentivare gli investimenti e i comportamenti più adatti a integrare nei sistemi elettrici la loro intermittenza e la loro diffusione. Oggi la soluzione prevalente è il riconoscimento dei mancati ricavi alle produzioni che sono “limitate” in fase di ridispacciamento, a cui si sommano, a livello di sistema, i prezzi riconosciuti a chi è chiamato a produrre per garantire in sicurezza l’equilibrio tra domanda e offerta. In futuro, l’esigenza di “limitare” le produzioni intermittenti potrà essere contenuta soltanto grazie a investimenti per potenziare le reti a rischio di congestione, e ammodernarle, anche con l’inserimento di stoccaggi. La regolazione dovrà delimitare con molta attenzione il perimetro delle attività regolate e di mercato, ricordando sempre che questa delimitazione insieme alla spalmatura dei costi delle attività regolate influenzano in modo determinante i comportamenti degli operatori.
La seconda cosa importante ad emergere con il lockdown è l’effetto perverso delle incentivazioni alle fonti rinnovabili sui prezzi dell’energia elettrica, sulle bollette e in prospettiva sugli investimenti necessari alla transizione. Soprattutto in quei sistemi e in quei mercati nei quali gran parte della spesa per incentivi è inversamente correlata ai prezzi all’ingrosso, la discesa di questi ultimi, che è stata certamente agevolata dal fatto che i ricavi di una fetta più larga dell’offerta fossero protetti dalla congiuntura negativa dei prezzi, ha fatto lievitare gli oneri da recuperare in bolletta. Ai primi di giugno il Governo tedesco è intervenuto per neutralizzare questo effetto sulle bollette elettriche ponendo a carico del bilancio dello stato 11 miliardi di euro per il prossimo biennio. Poiché i prezzi bassi dell’energia elettrica non attraggono investimenti e potranno ripresentarsi spesso nei prossimi mesi e nei prossimi anni, la politica deve decidere se lasciare che i ritmi della transizione si adeguino a quelli non prevedibili dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica, oppure se continuare a sussidiare la transizione. In questo secondo caso si tratta di decidere se proseguire con l’erogazione di incentivi che lasciano le bollette esposte a un rischio di prezzo, oppure trovare forme di incentivo e fonti di finanziamento diverse.