Ad aprile la crisi generata dalla diffusione del coronavirus ha sottoposto i sistemi elettrici di tutti i paesi europei a uno stress test non preventivato, fornendo interessante materiale di approfondimento per gli analisti. Il caso della Germania, in particolare, ha destato interesse per via della sua peculiarità. Se da un lato, infatti, il blocco di gran parte delle attività produttive ha determinato un calo della domanda di energia elettrica, e con essa un significativo calo delle emissioni di CO2, dall’altro, nello stesso arco di tempo l’avvicendarsi di giornate soleggiate e ventose ha determinato una marcata produzione di energia rinnovabile. Nei primi tre mesi del 2020 la Germania si è trovata quindi a produrre oltre la metà della sua elettricità con fonti green. Una dinamica che si è ripetuta anche ad aprile, mese in cui l’estensione delle misure di contenimento ha coinciso con i 30 giorni più soleggiati della storia del Paese dal 1881 (anno da cui partono le rilevazioni). Secondo le prime elaborazioni dell’istituto Fraunhofer ISE, il più importante istituto europeo di ricerca in materia di energia solare, ad aprile, le rinnovabili avrebbero coperto addirittura il 60% della produzione nazionale, in linea con i piani del governo che pianifica al 2030 una quota del 65% delle FER nel mix energetico nazionale.

Profilo di generazione elettrica in Germania nel mese di aprile

Fonte: Agora Energiewende / Agorameter

Tuttavia, un aumento marcato della produzione da rinnovabili ha generato un crollo dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità, scesi talvolta in territorio negativo, costringendo i produttori a scegliere se pagare i clienti all'ingrosso per utilizzare l’energia generata o spegnere gli impianti, con la seconda soluzione spesso più costosa della prima. Questo dice molto sulla scarsa flessibilità di domanda e offerta di elettricità.

La Germania ha conosciuto un calo dei consumi elettrici pari alla metà di quello registrato in altri paesi, eppure non è uscita meno colpita dalla crisi dei consumi. La motivazione va ricercata nel calo delle esportazioni. Secondo il think tank Ember,  per la prima volta della storia recente, nessun paese confinante ha avuto bisogno di acquistare elettricità prodotta in Germania, potendo contare a sufficienza sulle proprie produzioni nazionali. Questo spiega perché il calo della domanda interna è stato del 9% mentre quello dell’offerta quasi il doppio (-17%). 

Ma quali sono le ragioni alla base di prezzi dell'elettricità negativi? 1) Non tutti gli impianti alimentati da fonti convenzionali possono essere spenti: la chiusura e il loro eventuale riavvio finisce per costare di più agli operatori piuttosto che produrre a prezzi negativi. Inoltre, ci sono ancora circa 2-3 GW di impianti a lignite che indipendentemente dai prezzi negativi devono continuare ad operare, anche se la loro chiusura renderebbe più flessibile la rete tedesca. Altri impianti, poi, devono funzionare continuamente perché necessari al teleriscaldamento. 2) Secondo quanto previsto dal Renewable Energy Act tedesco, gran parte degli operatori che producono elettricità da FER ricevono un incentivo per kilowattora, il cosiddetto sistema feed-in tariffs, che viene riconosciuto indipendentemente dai prezzi all’ingrosso e dall’effettiva produzione di elettricità. Ragione sufficiente a disincentivarli dal produrre anche se i prezzi diventano negativi.

Generazione elettrica da fonti convenzionali

Fonte: Clean Energy Wire

Quella dei prezzi negativi è una criticità intrinseca al sistema tedesco da anni, per questo si è aperto un dibattito sulla necessità di rendere più flessibile il settore della generazione per trovarsi pronti a gestire nei prossimi anni l’aumento della quota di elettricità prodotta da FER. La crescente quota di energia rinnovabile, infatti, ha reso i prezzi dell'energia molto più volatili e i prezzi negativi sono diventati un fenomeno abbastanza comune. Questi ultimi si verificano quando a una generazione di energia elevata e poco flessibile fa da contraltare una contemporanea bassa domanda di elettricità.

Di per sé, i prezzi negativi non sarebbero necessariamente un male, in quanto forniscono incentivi alle utilities per rendere le loro centrali elettriche capaci di adattarsi meglio alle fluttuazioni del mercato. Tuttavia, alla lunga valori sotto lo zero risultano essere segni di un mercato poco funzionale e potrebbero essere causa di una costante instabilità del sistema elettrico nazionale. Inoltre, i prezzi negativi finiscono per tradursi in costi maggiori per i consumatori di elettricità più vulnerabili, come quelli domestici e le piccole imprese. Su questi infatti, ricade l’onere di pagare la differenza fra i prezzi negativi e le feed-in tariffs  che, per gran parte delle installazioni che producono a fonti rinnovabili, vengono fissate in anticipo. E ancora, quando gli operatori di rete obbligano le centrali come ad es. le wind farm a smettere di produrre elettricità, quest’ultime ricevono forme di compensazioni che ricadono sempre sui consumatori.

La Germania ha provato ad arginare il problema già nel 2014 prevedendo che qualora si superino le sei ore consecutive di prezzi di mercato negativi, gli impianti a rinnovabili più potenti perdono il diritto all’incentivo. Ma sebbene il numero di ore con prezzi negativi sia stata più volte superiore alle sei ore, la perdita dell’incentivo è scattata solo in due occasioni, e gli operatori hanno continuato a generare energia. Ai primi di giugno, inoltre, il governo tedesco è intervenuto per neutralizzare la distorsione dei prezzi negativi sulle bollette elettriche ponendo a carico del bilancio dello stato 11 miliardi di euro per il prossimo biennio.

In questo dibattito, però, merita rilevare come non tutti concordino sul fatto che una generazione solare ed eolica poco flessibile costituisca un problema. Per il think tank Agora Energiewende piuttosto che pensare a ridurre la produzione delle rinnovabili le priorità dovrebbero essere: rendere la domanda più sensibile ai prezzi; ridurre il più possibile l’utilizzo delle fonti fossili; abbassare i costi degli stoccaggi e incentivare il commercio internazionale di elettricità.

In aggiunta, per molti si tratta di un problema temporaneo che dovrebbe rientrare già a partire dalla seconda parte del 2020, in ragione della prime chiusure di impianti a carbone e nucleari in attuazione delle politiche di phase out e del completamento del periodo ventennale di validità del sistema feed in tariff per le rinnovabili.

In conclusione, i prezzi negativi registrati negli ultimi mesi non sono stati una sorpresa per molti esperti, tanto che alcuni, come la società di consulenza Enervis, li avevano previsti. Se per alcuni osservatori questo è un problema da affrontare, per altri il problema non sussiste. E sono gli stessi che sostengono che anche in questa fase di stress il sistema tedesco si sia rilevato più robusto di quanti molti credano.