Il settore italiano del waste management è oggi caratterizzato da tendenze contrastanti. Negli ultimi anni, le aziende hanno sempre più frequentemente attuato misure volte a chiudere il ciclo dei rifiuti in un’ottica di economia circolare. Gli investimenti e le azioni finalizzate a migliorare la differenziata si sono notevolmente intensificati, segno che l’importanza delle fasi a monte è ormai riconosciuta da tutti gli operatori della raccolta, indipendentemente dalla loro dimensione. Campagne d’informazione, introduzione o estensione sul territorio di sistemi di tariffazione puntuale, sostituzione della raccolta stradale con quella porta a porta hanno permesso alle oltre 100 aziende operanti nella raccolta dei rifiuti urbani mappate nel Waste Strategy Report di Althesys, di portare il tasso complessivo della raccolta differenziata dal 53,7% nel 2016 al 56,8% nel 2017 (rispetto ad un dato nazionale salito nel contempo dal 52,5% al 55,5%, fonte: Istat).    

Non solo. Le imprese si sono sviluppate nel recupero dei materiali estendendo la propria presenza nelle fasi a valle. Hanno sia investito in nuovi impianti di selezione, sia acquisito imprese specializzate nel trattamento e nella valorizzazione dei materiali recuperati. A titolo d’esempio, ben 12 delle 28 operazioni straordinarie condotte nel settore del waste management durante il 2017, rilevate nel WAS Report, hanno riguardato iniziative volte ad ampliare il ventaglio di attività delle aziende lungo la filiera.

Nonostante i diversi segnali positivi, compresa l’assegnazione delle competenze in materia di rifiuti ad ARERA, la crescita della raccolta differenziata (e dunque quella dell’ammontare di rifiuti che devono essere trattati), non è stata seguita, in diverse aree del Paese, dallo sviluppo parallelo di un’appropriata capacità di trattamento e da investimenti adeguati in strutture per la selezione e valorizzazione. Di conseguenza, permangono tuttora squilibri significativi nella dotazione nazionale, particolarmente evidenti tra le aree del Nord e quelle meridionali.

La valutazione di adeguatezza del sistema impiantistico nazionale contenuta nel WAS Report evidenzia come in tutti gli scenari considerati sia necessario aumentare la capacità attraverso la costruzione di nuovi impianti. Nel complesso, perché l’Italia sia in grado di cogliere gli obiettivi europei al 2030, si stima il fabbisogno di un’ulteriore capacità di oltre 1 milione di tonnellate per la termovalorizzazione e di una capacità fino a 400.000 tonnellate per il trattamento della frazione organica. Le ipotesi alla base di queste valutazioni assumono che la dotazione impiantistica esistente sia utilizzata e manutenuta in modo adeguato. Si tiene conto, inoltre, di una visione nazionale complessiva, cioè del possibile trasferimento dei quantitativi di rifiuti dalle Regioni caratterizzate da sottocapacità a quelle con sovracapacità.

L’evoluzione nella raccolta dei rifiuti organici porta anche a sviluppare valorizzazioni energetiche diverse dalla termovalorizzazione, tra cui la produzione di biogas ed elettricità o di biometano. Alcuni player energetici, ad esempio, hanno già riconosciuto le opportunità di business offerte dagli impianti per la produzione di biocarburanti, anche sulla spinta degli incentivi per il biometano, stringendo accordi con imprese della raccolta per assicurarsi l’approvvigionamento di Forsu. I biofuel prodotti possono, a loro volta, essere impiegati per alimentare i mezzi adibiti alla raccolta dei rifiuti.

La termovalorizzazione continua, invece, a presentare le maggiori lacune in termini di capacità, particolarmente accentuate in alcune aree del Paese, a causa di fattori politici e sociali.   

Il gap impiantistico, oltre a generare significativi impatti economici ed ambientali legati al trasporto dei rifiuti e a favorire condotte illegali (che possono sfociare nei sempre più frequenti roghi di rifiuti stoccati nei capannoni senza autorizzazione), impedisce al settore nazionale di essere autonomo e lo rende maggiormente esposto ai rischi derivanti dal contesto internazionale.

Ad esempio, la chiusura del mercato cinese per alcune frazioni di materiali da riciclare, a partire da gennaio 2018, ha già iniziato ad impattare sul sistema italiano e a mostrarne la fragilità. Particolarmente significativo è il caso dei maceri esportati dall’Italia alla Cina, i cui quantitativi nel 2017 hanno registrato un calo di più di 200.000 tonnellate rispetto al 2015 (fonte: elaborazione Althesys). Le ripercussioni nel mercato domestico, derivanti dalla maggiore disponibilità di materiali, hanno portato ad un calo dei prezzi, che per le qualità inferiori ha raggiunto decrementi anche compresi tra il 60 e il 70% circa nel primo quadrimestre 2018 rispetto allo stesso periodo nel 2017.

In conclusione, una buona raccolta differenziata è essenziale, ma è solo il primo passaggio in una filiera articolata e complessa, nella quale gli impianti rivestono un ruolo primario. Non si deve dimenticare, infatti, che l’evoluzione verso un’economia circolare mediante la chiusura del ciclo comporta un’attività industriale e che, come tale, richiede investimenti, impianti e attrezzature per il trattamento della frazione organica e degli altri materiali.