Leggendo i dati forniti da Assomineraria riguardanti il quadro nazionale del settore Oil&Gas è chiaro quanto sia determinante il suo impatto sull’economia italiana e, di conseguenza, sul benessere dei territori e dei cittadini. Queste le cifre, che non hanno bisogno di interpretazioni per dimostrare un fatto evidente: è un’attività che nel 2017 ha messo in archivio 3,3 miliardi di fatturato ‘diretto’ a cui si aggiungono 20 miliardi del ‘parapetrolifero’ italiano nel mondo. Si tratta di un settore che “dà lavoro” a circa 7.000 persone in Italia, tra addetti diretti e indiretti nella sola attività estrattiva, con un indotto che impiega 13.000 unità, mentre sono 100.000 quelle che operano nel parapetrolifero per l’export, per un totale di 120.000 italiani che lavorano nell’Oil&Gas.
Insomma, nel campionato dell’Oil&Gas mondiale giochiamo in serie A. E lo possiamo fare per il valore delle maestranze ma anche per la qualità della ricerca e dell’innovazione. Le ricadute di un settore ad alta componente tecnologica come è appunto l’Oil&Gas sono importanti e strategiche: penso alle università e alle scuole che sono in grado di costruire percorsi formativi di primo piano per dare ai giovani la possibilità di imparare professioni e lavori di qualità. In questo senso, nel libro ‘Gas naturale. L’energia di domani’, ho proposto di utilizzare le tasse e le royalty derivanti dalle concessioni per sostenere i nostri cervelli, per formarli e dargli una prospettiva di lavoro anche in Italia, non solo all’estero.
Non possiamo abdicare al ruolo che abbiamo conquistato come Paese nel campo energetico, soprattutto perché genera benessere per i cittadini. E non solo per chi è impiegato direttamente: la possibilità di aumentare le estrazioni di gas naturale italiano - secondo le rilevazioni si tratta di giacimenti ingenti - permetterebbe anche di alleggerire la nostra bilancia dei pagamenti con l’estero, della quale una componente consistente è proprio l’importazione di fonti energetiche. Credo che serva una campagna reputazionale per il settore del gas naturale italiano che metta in rilievo tutti questi elementi: le numerose famiglie italiane che vivono grazie a questa attività, la sua non pericolosità anzi la sua indispensabilità per preparare un futuro energetico ‘pulito’, la possibilità di risparmiare risorse economiche in un momento in cui ne abbiamo davvero bisogno, l’impatto sulla ricerca e l’innovazione e sul futuro dei giovani. E che spieghi come non possiamo sottrarci a costruire una politica nazionale che definisca con quali fonti dovrà essere affrontata la transizione energetica.
La transizione energetica non è solo un processo a cui non ci possiamo sottrarre, ma anche una grande opportunità: in uno studio di Confindustria Energia presentato dal vicepresidente dell’associazione Roberto Poti, gli investimenti che possono essere messi in campo per sostenere ricerca e innovazione sia per quanto riguarda le fonti rinnovabili sia per quelle tradizionali che dovranno comporre il mix energetico con cui sostenere la transizione sono stimati in 96 miliardi, che genereranno 305 miliardi di valore aggiunto, con la creazione di 140.000 posti di lavoro. È importante che questa transizione non venga concepita come contrapposizione fra rinnovabili e fossili, ma come sinergia: il mix indicato come il più efficiente è quello composto dal gas naturale italiano a km zero e rinnovabili. La scelta avrebbe effetti positivi sul Pil nazionale, ovviamente: ma non si può andare in questa direzione senza un piano industriale del Paese, il che significa velocizzare le autorizzazioni anziché aumentare le moratorie.
Da un’evidenza così forte scaturisce una domanda altrettanto forte: perché il governo italiano ha deciso di legiferare contro il settore, con l’ormai famigerato emendamento ‘blocca trivelle’, e quindi contro 120.000 lavoratori che, facendo il proprio dovere ogni giorno con professionalità riconosciuta in tutto il mondo, con le loro tasse contribuiscono a tenere in piedi questo Paese? E proprio nel momento in cui i dati del Pil sanciscono l’entrata in una condizione di ‘recessione tecnica’? La spiegazione ambientalista regge poco: intanto il gas naturale è stato indicato come la fonte fossile più pulita e inserito, insieme alle rinnovabili, nel mix che dovrà assicurare la produzione di energia nella fase di transizione verso l’utilizzo delle sole fonti pulite. E ancora: la presenza di piattaforme e tubi al largo della costa romagnola non ha impedito che si sviluppasse il più grande sistema turistico italiano.
Inoltre, i Paesi che si affacciano sull’Adriatico continuano nell’attività di estrazione di gas: fermarla solo in Italia giustificandosi con temi ambientali quindi non regge. Lo stop in realtà ha per i due partiti di governo una motivazione politica. Che è doppia: per il Movimento 5 stelle si tratta di calmare la sua componente ecologista, mentre la Lega ha ottenuto le concessioni per le grandi centrali idroelettriche delle regioni del nord senza che queste spendano un euro. Alla faccia delle tasche degli italiani.