Poca neve sulle Alpi, Roma senz'acqua, falde acquifere agli sgoccioli. Nell’estate appena conclusa l'Italia ha dovuto affrontare una delle più importanti crisi idriche della sua storia. In un simile contesto, il Festival dell’Acqua che si sta svolgendo a Bari proprio in questi giorni è un’importante occasione per tornare a parlare di questa indispensabile risorsa naturale anche sotto un profilo positivo e propositivo, pur non tacendone problemi e sfide. Lo abbiamo fatto con Stefano Venier, Amministratore Delegato del Gruppo Hera.
L’acqua è solo uno dei segmenti presidiati da HERA; quanto conta per il Gruppo e quale è il suo posizionamento in Italia?
Il Gruppo Hera è il secondo operatore nazionale nella gestione del servizio idrico integrato. Con una rete complessiva di oltre 53.000 km e circa 900 impianti, tra produzione, potabilizzazione e depurazione, serve 3,6 milioni di cittadini. Grazie ai significativi investimenti sulle infrastrutture e l'implementazione di soluzioni tecnologiche avanzate che prevedono l'automazione e il telecontrollo, la società garantisce la continuità dell'approvvigionamento, una qualità dell'acqua attestata da circa 730.000 test annuali e una rete che a livello di Gruppo vanta una percentuale di perdite tra le più basse a livello nazionale, inferiore di 10 punti percentuali alla media italiana. Un impegno che non è rappresentato solo dai numeri: con riferimento all'area fognaria-depurativa, ad esempio, l'Emilia Romagna è una delle pochissime regioni esenti da procedure d'infrazione, anche grazie a investimenti che negli ultimi anni hanno raggiunto quote del 60% rispetto all’ammontare destinato dal Gruppo al settore idrico.
L’acqua è un importante fattore di sviluppo. Un’affermazione scontata ma che proprio per questo motivo spesso non viene adeguatamente valorizzata. Ci può esprimere la sua opinione in merito?
È prioritario un cambio di paradigma e di mentalità. L'acqua in alcune aree è considerata un problema, un ambito da gestire solo ed esclusivamente in condizioni 'emergenziali', ma non è così. Bensì l’esatto contrario. È un'opportunità, una leva per migliorare la qualità dell'ambiente e la messa in sicurezza del territorio. Investire nell’idrico corrisponde a contribuire in maniera significativa allo sviluppo di un territorio, alla sua crescita, alla qualità dei servizi, a maggior ragione nei territori a vocazione turistica – e il Gruppo Hera ne serve tanti –, dove non è pensabile fare i conti con interruzioni o carenze idriche. Senza dimenticare un altro aspetto di grande rilievo: il settore non comprende soltanto la gestione degli acquedotti per uso civile, ma anche quelli per l'agricoltura, che assorbe circa il 60% dei consumi, e per l'industria con il 20%.
Si è tanto parlato di emergenza idrica negli ultimi tempi, ma sappiamo che è un problema che ha radici più lontane nel tempo. Pensa che sia giunto il momento di definire una strategia nazionale per l’acqua? Su quali aspetti dovrebbe focalizzarsi?
Quella che promuoviamo ormai da tempo è una ricetta in tre mosse: superare la frammentazione nella gestione delle acque, investire in tecnologia e nello sviluppo del settore idrico, adottare un meccanismo di regolazione premiante per gli operatori che garantiscono le prestazioni migliori. La gestione dei territori vede oggi un’Italia suddivisa in due parti: il 30% circa servito complessivamente da quattro grandi operatori nazionali, tra cui Hera, e la parte restante da circa un migliaio di enti di portata comunale, o poco più. Le difficoltà dell’ultima estate sono figlie, oltre che di condizioni atmosferiche non comuni, anche di gestioni poco lungimiranti. Il settore idrico, ad alta intensità di capitale, richiede una dimensione industriale adeguata, che permetta di garantire performance di livello e di mettere in campo piani di investimento significativi. Le gestioni localistiche rappresentano un forte vincolo allo sviluppo, soprattutto perché non consentono di far leva su economie di scala indispensabili in un ambito complesso come il nostro. Un meccanismo di regolazione che premi chi investe, in tal senso, fornirebbe nuovo impulso agli investimenti privati consentendo di valorizzare anche quelli pubblici in un quadro di riferimento unico e integrato.
Ambiti territoriali minimi e tariffe nazionali ben più basse di quelle di altri paesi europei. Sono questi i principali vincoli che affliggono il settore e quindi gli investimenti? Quali possibili strumenti per superarli?
Introdurre meccanismi che stimolino e favoriscano le aggregazioni potrebbe essere uno di questi. Una prima soluzione, in tal senso, riguarda l’adozione della tariffa unica nazionale, come per l’elettricità, per contrastare e provare a scardinare un sistema che oggi tiene basse le tariffe usando il blocco degli investimenti. Il passaggio successivo riguarderebbe il rafforzamento dei poteri dell’Autorità dell’Energia nei confronti degli Ega locali, gli enti degli ambiti territoriali ottimali, che andrebbe accompagnato con un ripensamento degli stessi ambiti, in modo da mettere i territori al riparo da gestioni poco lungimiranti e ancor meno orientate allo sviluppo.
Hera, secondo operatore nell’acqua in Italia, quanto investe in quest’area? Quali gli investimenti più recenti e/o pianificati?
Negli ultimi dieci anni abbiamo investito oltre 3 miliardi di euro, considerando anche l'energia, e un terzo di questi – circa 1,2 miliardi – sono stati destinati al settore idrico. Nell’acqua, in particolare, abbiamo raggiunto una quota d’investimento per abitante pari a 40 euro, a fronte di appena due euro di contributi pubblici, meno di un terzo della media nazionale di sette. Guardando al dettaglio delle opere realizzate, gli investimenti più recenti hanno riguardato l'integrazione delle reti e una nuova tecnologia per la ricerca delle perdite. Nel primo caso, l'interconnessione e il potenziamento dei sistemi acquedottistici ha permesso di diversificare le fonti di approvvigionamento, determinando una sorta di sistema di solidarietà della risorsa, rivelatosi molto utile quest'estate nelle piccole frazioni appenniniche per fronteggiare il deficit idrico, senza far ricorso ad altre misure. Per la ricerca delle perdite occulte, invece, abbiamo introdotto un sistema di ricerca satellitare che ha già dato ottimi risultati nel ferrarese, dove nel 2016 abbiamo recuperato 1.500 milioni di litri d'acqua nel corso. Per il 2017 lo stesso è stato già esteso anche all'area delle province di Bologna e di Forlì-Cesena. Per il futuro stiamo lavorando su due temi centrali: bacini e sistemi di accumulo da una parte e il riuso della risorsa idrica dall’altra.
Il Water Safety Plan introdotto dall’UE è stato recepito in Italia. Anche il nostro Paese si sta quindi avviando ad adottare criteri più stringenti sulla sicurezza della clientela servita. Come si è mossa o come intende muoversi HERA in tale ambito?
Sul Water Safety Plan, il Gruppo Hera ha scelto di anticipare i tempi e già da quest’anno ha siglato un accordo di collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per applicare nel biennio 2017-2018 i protocolli completi a due dei propri sistemi acquedottistici. È una sfida che l’azienda ha deciso di intraprendere con dedizione, impegnando risorse per un progetto pilota che riguarderà complessivamente 2.000 km di rete, 68.000 utenze (per un totale di 166.000 abitanti residenti) e circa 220 impianti, tra potabilizzatori, serbatoi, sollevamenti e disinfezioni di rete, alimentati sia da acque di superficie che da acque di falda. In questo modo la società sta acquisendo la metodologia e le competenze previste nel quadro delle nuove disposizioni, in modo da poter poi estendere i Piani di Sicurezza dell’Acqua a tutte le infrastrutture gestite. L’introduzione di uno standard preciso e valido per tutti i Paesi membri, peraltro, conferisce un valore ulteriore all’impegno profuso in questi anni. Muovendosi con largo anticipo, Hera dispone già da tempo di strutture impiantistiche, laboratori d’analisi e sistemi di monitoraggio che operano quotidianamente per consentire agli oltre 3,6 milioni di clienti di poter bere con assoluta tranquillità l’acqua del rubinetto di casa.