Tra poche settimane, il 15 febbraio, entrerà in vigore il famigerato price cap sul gas. Potremo forse scoprire se avevano ragione i fautori di tale misura, secondo i quali esso consentirà di tagliare le unghie alla speculazione, oppure i critici, convinti che mettere un tetto al prezzo possa esacerbare la scarsità di gas e compromettere la già precaria sicurezza degli approvvigionamenti. È più probabile, però, che saremo costretti a tenerci il dubbio ancora per un po’. L’andamento attuale dei prezzi – nel momento in cui scriviamo questo articolo, le quotazioni al TTF veleggiano al di sotto dei 70 €/MWh – è ben lontano dalla soglia oltre la quale scatta il “meccanismo di correzione del mercato” su cui Consiglio e Commissione Ue hanno trovato il compromesso politico lo scorso 19 dicembre.
I "freni ai prezzi" su gas ed elettricità approvati in Germania alla fine del 2022 sono la più grande misura di sostegno finanziario che il paese abbia adottato finora per proteggere i consumatori energetici dai rialzi susseguenti lo scoppio della guerra della Russia contro l'Ucraina. A differenza del price cap al gas concordato a livello UE, il sussidio tedesco non fissa un tetto per gli acquisti sui mercati internazionali, ma garantisce ai clienti di coprire la maggior parte della loro domanda ad un costo fisso, qualora i prezzi di mercato superano una certa soglia.
Nel giugno 2022, il governo spagnolo insieme a quello portoghese ha introdotto un tetto al prezzo del gas utilizzato nella generazione elettrica. La misura è stata adottata solo dopo un lungo periodo di trattative con la Commissione europea, in quanto, rappresentando un'eccezione rispetto alle regole del mercato interno, ha richiesto un accordo preventivo all'interno dell'UE.