Un aspetto decisivo per il decollo spinto delle rinnovabili, a tutti i livelli istituzionali, afferisce alla forte convinzione politica della necessità di accelerare la transizione energetica. Ovviamente questo elemento riguarda l’UE, che finora ha svolto un ruolo di punta, i singoli Governi - e i nostri non hanno certo brillato negli ultimi dieci anni-, le Regioni e i singoli Comuni.
Questi spingono per la transizione verso le rinnovabili con tanto maggiore convinzione quanto più chiara è la percezione di possibili ricadute in termini di riduzione del costo dell’energia, incrementi occupazionali e visibilità.
L’attuale contesto geopolitico ha evidenziato i limiti del sistema energetico europeo e del nostro Paese, mostrando la sua eccessiva dipendenza da approvvigionamenti esterni, in particolare di gas naturale.
In Italia, infatti, il gas rappresenta la fonte di energia primaria più utilizzata: ricopre il 40% circa del nostro fabbisogno energetico, e ne importiamo più di 70 miliardi di metri cubi all’anno da un numero limitato di Paesi fra cui, naturalmente, la Russia. Anche solo limitandoci al settore della produzione di elettricità, il gas ne rappresenta da solo circa la metà, e da questo derivano le evidenti conseguenze sul costo finale dell’energia che stiamo sperimentando da un anno a questa parte.
Dalla crisi climatica alla crisi energetica: problemi diversi ma nello stesso tempo strettamente interconnessi. Se le scelte del passato fossero state più lungimiranti e avessero puntato maggiormente su rinnovabili ed efficienza, oggi non pagheremmo così duramente le conseguenze di un contesto internazionale così delicato. Serve un cambio di marcia e serve in fretta, altrimenti a farne le spese è l’ambiente in cui viviamo, la nostra economia e il nostro tessuto sociale. Questo il principale messaggio che emerge dall’intervista fatta a Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola.