Un aspetto decisivo per il decollo spinto delle rinnovabili, a tutti i livelli istituzionali, afferisce alla forte convinzione politica della necessità di accelerare la transizione energetica. Ovviamente questo elemento riguarda l’UE, che finora ha svolto un ruolo di punta, i singoli Governi - e i nostri non hanno certo brillato negli ultimi dieci anni-, le Regioni e i singoli Comuni.

Questi spingono per la transizione verso le rinnovabili con tanto maggiore convinzione quanto più chiara è la percezione di possibili ricadute in termini di riduzione del costo dell’energia, incrementi occupazionali e visibilità.

Certo, in molti casi gli Enti locali hanno le mani legate. Per facilitare la transizione servono infatti modifiche normative, e decise semplificazioni che spettano al Governo. Qualcosa su questo fronte si sta muovendo. Ne è un esempio il Decreto Legge n. 17/2022 che prevede che le installazioni di impianti fotovoltaici rientrano tra gli interventi di manutenzione ordinaria e sono da realizzare in edilizia libera, ampliando così notevolmente i margini di intervento.

Analogamente, positiva l’introduzione delle Solar Belts, cioè le aree, anche di terreno agricolo (escluse le zone vincolate), entro i 500 metri dai siti produttivi, zone industriali, commerciali e artigianali, oltre a quelle entro i 300 metri dalle autostrade, nelle quali si possono installare impianti fotovoltaici fino ad 1 MW con la semplice DIA.

Per finire, la “Linea Diretta” che consente alle imprese di realizzare impianti a terra per autoconsumo con un collegamento tramite linea elettrica privata lunga fino a 10 km.

Un altro fronte, che coinvolge sempre il Governo, riguarda l’emanazione dei regolamenti attuativi delle Comunità energetiche, affinché possano avere un impatto incisivo sul territorio, dando un ruolo agli Enti locali ma anche alle imprese, con il risultato di garantire una maggiore diffusione del solare e una riduzione delle bollette. Uno strumento importante di sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini. Fin qui parliamo delle iniziative governative per facilitare l’installazione di impianti di piccola e media dimensione, prevalentemente fotovoltaici.

Sappiamo, però, che per raggiungere i targets del 2030 servirà un incremento significativo della potenza, da 70 a 85 GW secondo Terna e Elettricità Futura, con una quota di impianti di grandi dimensioni.  Serve quindi un deciso snellimento delle procedure autorizzative, un processo appena iniziato.

Un ostacolo importante è stato finora il parere delle Soprintendenze. E parliamo sia dei piccoli impianti che di quelli di grandi dimensioni.  L’elenco è infinito. A livello centrale sono servite decisioni del Consiglio dei ministri per sbloccare la situazione, mentre a livello regionale questo ruolo è stato svolto spesso dai Tar. Prendiamo il caso interessante del Tar Lecce sull’agrivoltaico. In una sua pronuncia ha sottolineato l’obbligo di operare un attento bilanciamento tra “l’interesse alla conservazione della trama agraria di riferimento, e l’interesse (di rilievo strategico, specie alla luce dell’attuale scenario internazionale, acuito dal conflitto bellico tuttora in corso tra la Federazione Russa e la Repubblica Ucraina) all’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili”. Sono stati così sbloccati impianti di diversa taglia, da 8 a 69 MW.

Concentriamoci ora sui Comuni. Già nel settore della mobilità la loro capacità di orientamento si è rivelata estremamente efficace. Prendete il caso di Parigi, la cui amministrazione ha in pochi anni rivoluzionato la mobilità ciclistica. Anche sul fronte energetico ci sono esperienze interessanti. Dallo storico quartiere solare di Friburgo alla decisione della città di Los Angeles di diventare 100% rinnovabile entro il 2035.

Venendo all’Italia, un caso interessante viene da Civitavecchia, una città che ha lottato a lungo contro l’egemonia fossile. Dal carbone si doveva passare al gas, scelta anche questa contestata, tanto che in primavera Enel ha chiesto l’archiviazione della procedura di Via per il progetto di conversione a metano della centrale.  Si è, invece, riscontrata una forte adesione da parte sia dei cittadini che delle istituzioni alla proposta di un parco eolico da 250 MW da realizzare a 20-30 chilometri dalla costa.

Questo esempio è significativo perché evidenzia come vantaggi o rischi condizionino chiaramente le posizioni di Comuni e Regioni. Ci sono una quarantina di progetti di eolico off-shore in Italia. E a fronte di un sostegno pubblico, come nel caso di Civitavecchia, sono molte di più le opposizioni di Comuni e Regioni. Prendiamo la Sicilia con diversi progetti, uno dei quali da ubicare a 65 km dalla costa, che vedono la Regione fortemente contraria. E un’analoga opposizione viene da diversi Comuni sardi e dalla stessa amministrazione regionale.

Per superare questa situazione di impasse, andrebbe certamente ampliata la campagna di comunicazione. In questo senso va salutata la benemerita attività di informazione di Goletta Verde di Legambiente che quest’anno ha fatto tappa proprio nelle località dove erano state presentate proposte di impianti eolici in mare aperto. In quel caso, nella presentazione del progetto sono state sottolineate le ricadute occupazionali, nonché i vantaggi per alcuni porti e cantieri navali in difficoltà che potrebbero riprendere vita grazie all’attività manifatturiera necessaria per l’eolico offshore.

Nei prossimi anni, che dovranno vedere un forte incremento della produzione rinnovabile in Italia, sarà dunque essenziale un ruolo attivo, propositivo delle Regioni e degli enti locali. Vedremo poi nelle prossime settimane qual è sarà la posizione del nuovo Governo.