Mai come negli ultimi mesi, dal ritorno alla presidenza Usa di Donald Trump, la transizione ecologica ha dovuto confrontarsi col primato della politica e della guerra sull’economia: l’acuirsi delle tensioni internazionali – dal genocidio in corso a Gaza fino alla guerra d’invasione della Russia in Ucraina – s’accompagna al negazionismo climatico di The Donald, che da una parte ha convinto l’Ue a firmare un impegno ad acquistare 750 miliardi di dollari in tre anni di combustibili fossili e nucleari a stelle e strisce (una cifra tanto alta da essere altamente improbabile da poter rispettare), dall’altra tenta di fermare l’avanzata delle rinnovabili a colpi di ordini esecutivi.
Da ultimo, il dipartimento dell’Interno degli Stati Uniti ha ordinato l'interruzione dei lavori di un progetto eolico offshore da 4 miliardi di dollari già completato all’80%: Revolution Wind, con conseguente crollo in Borsa della multinazionale danese Ørsted. Un simile quadro politico ha ormai ampi riflessi a livello internazionale, scoraggiando nuovi investimenti sull’energia pulita. Ma c’è una buona notizia: lo slancio delle rinnovabili continua testardamente a crescere, grazie ai vantaggi in termini di economicità e sicurezza energetica oltre che in termini di mitigazione della crisi climatica in corso.
Secondo l’ultimo “Renewable Energy Investment Tracker” di BloombergNEF (Bnef) gli investimenti in progetti di energia rinnovabile, a livello globale, hanno toccato il record di 386 miliardi di dollari nella prima metà del 2025. Si tratta di una crescita del 10% su base annua e che ha raggiunto tali livelli nonostante negli Stati Uniti siano diminuiti del 36% rispetto alla seconda metà del 2024, poiché gli investitori si sono adeguati al mutato panorama politico. «Gli investitori e gli sviluppatori nel settore delle energie rinnovabili stanno ripensando l’allocazione del capitale e investendo dove i rendimenti dei progetti sono più elevati», spiega Meredith Annex, responsabile Clean Power presso BloombergNEF.
Non a caso, al drastico calo fatto registrare dagli Usa, si nota un costante aumento di investimenti nell’Unione Europea. «Nell’UE-27 – si legge nel report – gli investimenti nella prima metà del 2025 sono aumentati di quasi 30 miliardi di dollari, pari al +63% rispetto alla seconda metà del 2024. Questi dati confermano l’ipotesi che le aziende stiano trasferendo il capitale dagli Stati Uniti all’Europa, in particolare nel settore dell’eolico offshore, dove diversi sviluppatori hanno spostato la loro attenzione dai progetti statunitensi a quelli nel Mare del Nord».
Anche in Cina le emissioni del settore energetico sono diminuite del 3,2% su base annua nella prima metà del 2025, proseguendo una tendenza al ribasso iniziata ormai da marzo 2024. È quanto documenta l’ultima analisi di Carbon Brief, mostrando come l'aumento record della capacità solare (oltre 200 GW nel primo semestre 2025) stia portando le emissioni di CO2 della Cina sulla buona strada per un calo complessivo nell’anno in corso, una prospettiva appena confermata in parallelo anche da Greenpeace East Asia. Certo le contraddizioni non mancano, perché i dati del Global Energy Monitor mostrano 93-109 GW di progetti a carbone in costruzione in Cina che potrebbero essere completati quest'anno, col 2025 che dovrebbe così stabilire un nuovo record d’installazioni. Ma l'aumento della capacità non si traduce necessariamente in una maggiore produzione o in maggiori emissioni, contando che nel 2024 il tasso medio di utilizzo delle centrali elettriche a carbone in Cina era pari a circa il 50%.
Allargando lo sguardo a livello globale, l’ultimo rapporto pubblicato dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) sull’andamento del comparto elettrico, l’Electricity mid-year update 2025, mostra che la produzione di elettricità da carbone «sarà superata da quella da fonti rinnovabili già nel 2025 o al più tardi entro il 2026», rendendo le rinnovabili la prima fonte di elettricità al mondo. Di conseguenza «si prevede che le emissioni globali di anidride carbonica derivanti dalla produzione di energia elettrica raggiungeranno un plateau quest'anno, con un leggero calo previsto nel 2026, poiché le fonti a basse emissioni sostituiranno l'approvvigionamento da combustibili fossili». L'energia solare fotovoltaica ed eolica sono i principali motori di questa tendenza, con una quota combinata prevista nella produzione globale di elettricità in aumento dal 15% nel 2024 al 17% nel 2025 e a oltre il 19% nel 2026, rispetto al 4% di dieci anni prima.
Non è un caso se la guerra alla scienza di Trump sia arrivata fino ai vertici della Iea, con crescenti pressioni politiche per cercare di mettere in cattiva luce la crescita delle rinnovabili a discapito dei combustibili fossili. Pressioni politiche che rispondono a interessi economici che non è difficile individuare, e che pesano direttamente sulle tasche dei cittadini: «Nella prima metà del 2025 – documenta ancora la Iea – i prezzi all'ingrosso dell'elettricità nell'Unione europea e negli Stati Uniti sono aumentati del 30-40% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, in gran parte a causa dell'aumento dei prezzi del gas naturale».
Per rispondere a questa tendenza occorre certamente investire di più e più rapidamente nelle fonti rinnovabili, ma non solo. Come argomenta Keisuke Sadamori, direttore Mercati energetici e Sicurezza della Iea, le rinnovabili devono essere accompagnate «da maggiori investimenti in reti, sistemi di stoccaggio e altre fonti di flessibilità per garantire che i sistemi energetici possano soddisfare la crescente domanda in modo sicuro e conveniente».
Già oggi il flusso degli investimenti nel comparto elettrico mostra la direzione da seguire, col solare in testa nel 2025 a 441 miliardi di dollari, seguito da reti (413 mld di dollari) ed eolico (242), che staccano di gran lunga carbone (82), nucleare (74), metano fossile (70), mentre dovranno crescere l’idroelettrico (70), ma soprattutto le batterie per lo stoccaggio dell’elettricità prodotta dalle rinnovabili (66). Cercare d’invertire la rotta, ribaltando le priorità d’investimento dalle rinnovabili ai combustibili fossili, è una partita che non può essere vinta. Può però essere rallentata, come sta avvenendo in alcuni Paesi – Italia compresa –, a danno di tutti: dai consumatori al clima.



















