Nelle ultime settimane il mondo dell’energia italiano ha visto due eventi importanti, che meritano una riflessione preoccupata. Il primo riguarda l’ultimo progetto di riorganizzazione dell’Eni, con la creazione di un contenitore, la nuova società Eie (Eni Industrial Evolution), in cui sono stati inseriti gli impianti di raffinazione ancora sopravvissuti ed il sistema di logistica primario (polmone fondamentale per l’alimentazione del sistema di distribuzione dei prodotti petroliferi).

Il secondo evento riguarda il silenzio totale intorno a questo profondo cambiamento, che costituisce una notizia ancora più preoccupante del fatto in sé.  Nessuno ha reagito o commentato, la stampa, la politica, le associazioni del settore, gli economisti, gli esperti di energia. Silenzio totale.

I sindacati, cui è stata comunicata da Eni questa rivoluzione, si sono limitati  ad esprimere le rituali preoccupazioni per la difesa dell’occupazione (o, magari, della graduale gestione delle fuoriuscite) ed hanno preso atto che il progetto non è accompagnato né da un piano industriale né da investimenti che diano una speranza di un futuro per il settore. Hanno però dichiarato che tutto avviene in un quadro positivo. Sembrano commenti provenienti da marziani che non vivono e non hanno vissuto nel nostro paese negli ultimi 30 anni.

Guardiamo in faccia la realtà. Stiamo vivendo gli effetti delle grandi incompiute delle battaglie ambientali degli ultimi tre decenni, in particolare della prima grande rivoluzione imposta dal Clean Air Act 3° a partire dal gennaio 2000 negli USA e da quella ancora più eclatante del voto del 14 febbraio 2023 con cui il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che impone ai paesi membri dell’UE di abbandonare del tutto le fonti fossili entro il 2050, interrompendo l’immissione nel mercato di veicoli a combustione interna a partire dal 2035, ovvero da domani mattina.

Queste due decisioni hanno in comune una caratteristica. Da un lato, sono state celebrate come due grandi successi del movimento ambientalista, dall’altro, hanno determinato lo stravolgimento dei sistemi produttivi, della raffinazione e dell’industria automobilistica.

Avrebbero dovuto essere accompagnati da piani industriali articolati e da piani di finanziamento giganteschi che avrebbero consentito ai settori industriali di rinnovarsi e adeguarsi al nuovo quadro legislativo.  Al contrario, i tempi imposti per il cambiamento e la mancanza di interventi a favore dei settori produttivi stanno imponendo forzature, che il sistema energetico sta pagando ad alto prezzo.

Mentre è chiara la crisi del settore automobilistico ed è evidente la velleità dell’obbiettivo proposto, non sono visibili, per la volontà di non vedere e per l’incapacità di capire, gli effetti sul sistema industriale della raffinazione del petrolio.

Solo per capire, ad oggi, dopo 20 anni di incentivi e forzature, in Italia circolano 41 milioni di veicoli con motori a combustione interna e solo 290 mila vetture elettriche. Possiamo immaginare che, invece, nei prossimi 15 anni, tutto cambierà ed avremo 41 milioni di vetture elettriche? Proprio, quando sono chiari i problemi della rete ed il deficit di offerta a fronte dei potenziali sviluppi della digitalizzazione, compresa l’Intelligenza Artificiale.

Comunque, o siamo convinti che nel 2050, il superamento delle fonti fossili sarà un fatto certo ed allora tutto quello che sta avvenendo è perfettamente logico e privo di rischi.  Se però, il 2050 fosse solo un miraggio ideologico, e dovessimo, per caso, continuare ad aver bisogno dell’approvvigionamento di prodotti petroliferi per i trasporti e per l’industria nazionale (oggi quasi 60 milioni di tonnellate/anno), allora stiamo solo predisponendo le condizioni di un disastro nazionale di proporzioni enormi.

L’Eni è una società quotata nella borsa di New York ed il suo azionista di maggioranza è il governo italiano. Se la strategia energetica del governo ha sposato in pieno le direttive UE conseguenti al voto del Parlamento, l’Eni non può che adeguarsi, trovando il modo di gestire il cambiamento in modo da tutelare gli interessi degli azionisti. Non è suo compito organizzare un’opposizione alle strategie energetiche europee.

In un contesto in cui non ci sarà più bisogno di prodotti petroliferi (perché non ci saranno più macchine né a benzina né a gasolio), che senso ha continuare ad investire nel settore della raffinazione per continuare a produrre prodotti che non avranno più mercato?

La nuova Eie rappresenta il contenitore di tutto ciò si assume non servire più al mercato italiano nei prossimi anni. E, coerentemente, non viene finanziata, perché si tratta di una realtà che è già nella sua fase terminale.

E qui si pone un problema nuovo.

Finora, il mercato finale dei prodotti petroliferi è stato garantito dalla profonda integrazione tra raffinatori ed operatori della distribuzione.  Questa integrazione è ora saltata. Tutti i raffinatori si stanno chiamando fuori e quindi non saranno più l’anello di congiunzione che alimenterà il mercato al consumo. Si creerà un vuoto.  Mancherà nel sistema un ruolo imprenditoriale che si faccia carico di fornire ai distributori i prodotti necessari.

L’unico operatore integrato sarà Enilive, che potrà acquistare il petrolio greggio dalla sua consociata Eni trading e se lo farà raffinare da Eie, pagando una fee, in modo da poter alimentare la sua quota di mercato di prodotti petroliferi per la rete e l’extrarete. Tutti gli altri operatori della distribuzione dovranno attrezzarsi a fare altrettanto.

Lo spostamento “a monte” delle compagnie nel ciclo del petrolio obbliga i distributori a fare un passo nello stesso senso, occupando uno spazio che finora era stato delle compagnie e dei raffinatori. Dovranno essere in grado o di acquistare i prodotti sui mercati internazionali oppure di acquistare il petrolio greggio sui mercati e fare contratti di raffinazione. In ogni caso dovranno disporre di una logistica primaria dove portare i prodotti raffinati, organizzarne il trasporto per l’alimentazione della rete e del sistema extra-rete.

Ad oggi, il nostro sistema di distribuzione non è preparato per questo ruolo. Non ha ancora soggetti imprenditoriali in grado di muoversi a questo livello. Bisognerà intervenire per evitare che si crei un vuoto che porti all’interruzione dei flussi di approvvigionamento, ben prima di qualunque “data-miraggio in cui scompariranno le fonti fossili”.

Dovremmo capire che il settore petrolifero non è più un limone da spremere, ma un’attività critica che richiede una discussione seria e l’individuazione di soluzioni fondamentali per l’approvvigionamento energetico del paese e, cosa sconosciuta ai più, sviluppo di tecnologie che possono portare ad un miglioramento reale dei livelli di emissioni climalteranti.