In occasione di OMC, Assorisorse e RiEnergia hanno organizzato due pomeriggi di interviste ad autorevoli esperti del mondo dell’energia. I talk show sono stati divisi per argomenti; durante la prima giornata si è parlato dei diversi pezzi che compongono l’articolato puzzle della transizione energetica. Ne abbiamo parlato con Davide Usberti, ponendo l’accento sul ruolo degli operatori upstream e del gas a km 0 nel processo di trasformazione in atto.

Partiamo da una doverosa premessa. Ad oggi, non è stato ancora elaborato uno scenario che, tanto al breve quanto al lungo periodo, ipotizzi un integrale azzeramento del contributo del gas naturale, prevedendone – semmai – una graduale sostituzione. Per quanto riguarda l’Italia, vista la limitata produzione interna, ciò comporterà una nuova e continua dipendenza dalle importazioni, con evidenti ripercussioni non solo in termini di sicurezza energetica ma anche ambientale. Importare non ha un impatto emissivo nullo.

A prendere coscienza di questo aspetto non sono solo le aziende energetiche, ma anche esponenti di governi e ministri che, dopo un iniziale scetticismo, hanno dovuto riconoscere l’importanza del gas naturale come baseload della transizione.

In quest’ottica, gli stessi operatori dell’upstream Oil&Gas possono diventare attori centrali della transizione, attraverso un processo che poggia su tre leve: 1) sviluppo dei giacimenti con riserve provate; 2) potenziamento della produzione nei campi esistenti; 3) ripresa dell’attività di ricerca su progetti mirati, per valorizzare le risorse del sottosuolo e consolidare la ridotta produzione interna, intorno ai 3 mld di mc, lontana dai livelli a doppia cifra di una ventina di anni fa.

Si tratta di una strategia già sperimentata in altri paesi, già molto avanti nei processi di transizione. In UK, ad esempio, il Premier Sunak ha puntato sulla cattura e stoccaggio del carbonio, confermandosi come paese all’avanguardia in questo settore, ma nel frattempo ha riavviato i bidding round per l’assegnazione di nuove licenze produttive e per il mantenimento in vita dei siti esistenti, anche incrociando iniziative di decommissioning con il recommissioning dei medesimi campi. Caso ancora più emblematico è la Danimarca, che ha autorizzato il ripotenziamento di Tyra, il più grande campo di gas naturale nel mare danese che produrrà ancora il 90% dell’output nazionale su un orizzonte di 40 anni. Due esempi che testimoniano come “le ricette ci siano, ma bisogna cucinarle”.

In Italia un ritorno del gas a km 0 è possibile, ma serve impostare un percorso serio e rapido. Tuttavia, la questione non viene sempre affrontata con un approccio scientifico e tecnico; in alcuni casi, tende a prevalere un orientamento emotivo, basato su luoghi comuni quali la correlazione negativa tra attività mineraria e altre attività economiche come turismo ed agricoltura. Un mito da sfatare perché non supportato dai dati settoriali e, da questo punto di vista, l’esempio dell’Emilia-Romagna è emblematico; inoltre, frequentemente, le aree meno critiche verso l’industria estrattiva sono quelle in cui quest’ultima è storicamente radicata sul territorio.

Pertanto, per poter puntare ad un più strutturato sviluppo delle risorse interne, vi sono due ricette molto semplici. In primis, serve chiarezza sul fatto che l’utilizzo del gas sia un’esigenza funzionale alla sicurezza energetica ed economica del paese. Giusto per fare un esempio, durante la crisi energetica 2021-2022, le industrie e i servizi essenziali avrebbero avuto un vantaggio non di poco conto se avessero utilizzato le risorse di gas interne a un prezzo competitivo. In secondo luogo, urge che le parti “facciano sistema”: un’espressione usata ed abusata dai rappresentanti industriali, ma poco concretizzata. La crisi del gas ha rappresentato un elemento di discontinuità importante e non si può più ragionare come prima. Bisogna quindi che anche le forze politiche centrali e locali, di maggioranza e opposizione, guardino alla realtà e agiscano per evitare di farsi nuovamente cogliere impreparati. Un’evenienza non improbabile dati i numerosi conflitti in essere, in aree produttive chiave.