È opportuno chiarire fin dal principio che sarebbe riduttivo identificare l’economia circolare unicamente con le attività di riciclo e recupero dei rifiuti. Queste ultime, sebbene fondamentali, sono infatti solo uno dei numerosi tasselli che compongono il paradigma dell’economia circolare, forse uno dei più ampi e complessi concetti con cui ci stiamo confrontando negli ultimi anni. Riciclo e recupero dei rifiuti sono due termini che identificano rispettivamente tutte le attività di recupero di materia e quelle di “altro tipo”, ovvero sostanzialmente il recupero di energia.

Ai sensi della normativa europea e nazionale sui rifiuti, in vigore ormai da tre decenni, riciclo e recupero sono collocati al terzo e al quarto livello di priorità nella gestione dei rifiuti. I primi due posti sono infatti dedicati ad azioni da mettere in atto più a monte della catena del valore, ovvero la prevenzione (tutto ciò che riguarda una minore generazione di rifiuti alla fonte) e il riutilizzo, ovvero le attività che non richiedono un processamento industriale del rifiuto ma una semplice attività di controllo, pulizia e sanificazione, finalizzate ad avviare un secondo ciclo d’uso con la stessa identica funzione del primo (si consideri ad esempio il vuoto a rendere applicato alle bottiglie in vetro). Successivamente a riciclo e recupero, ovvero al quinto ed ultimo livello di priorità, si colloca lo smaltimento in discarica, un’attività senza ombra di dubbio esterna al paradigma dell’economia circolare.

Se si considera, in luogo della prospettiva della gestione dei rifiuti, quella dell’economia circolare, riciclo e recupero si collocano ancora una volta nella parte bassa dell’elenco gerarchico proposto da Potting et al. (2018), dove i primi livelli sono rappresentati dal preservare la funzione del prodotto o servizio (tramite ad esempio piattaforme di utilizzo condiviso), dal preservare il prodotto stesso (tramite ecodesign, manutenzione, ricostruzione) e successivamente i suoi componenti individuali. È solo al quarto livello che interviene il riciclo (inteso come preservazioni dei materiali costituenti il prodotto), mentre al quinto si introduce il principio della preservazione del contenuto energetico (recupero), naturalmente laddove il riciclo non sia più un’opzione percorribile.

Fatta questa doverosa premessa, veniamo ad una breve analisi dello stato dell’arte del riciclo e recupero dei rifiuti, con particolare riferimento alla situazione italiana. Il nostro paese ha messo in atto uno sforzo molto importante negli ultimi tre decenni per migliorare la gestione dei rifiuti, che fino agli anni ’90 era sostanzialmente basata sullo smaltimento in discarica, conseguendo nell’anno 2021 un livello di riciclo dei rifiuti urbani prossimo al 50% (per la precisione il 48,1%). La linea di tendenza degli ultimi anni lascia intendere che, proseguendo sulla strada intrapresa, si dovrebbe riuscire a raggiungere l’obiettivo europeo del 55% al 2025, o al più scostarsene di poco. Questi sforzi dovranno essere ulteriormente rafforzati per raggiungere gli obiettivi al 2030 e 2035, pari rispettivamente al 60 e 65%. Un contributo fondamentale è stato e continuerà ad essere dato dal riciclo dei rifiuti organici raccolti in maniera differenziata, una vera e propria peculiarità del nostro paese che da parecchi anni ha progressivamente ampliato tale raccolta su tutto il territorio nazionale (nel 2021 ne sono state recuperate ben 8,3 milioni di tonnellate), insieme alla realizzazione di un’impiantistica, sia di compostaggio che di digestione anaerobica, di sicura avanguardia nel panorama internazionale. Negli impianti più avanzati, infatti, dagli scarti da cucina si recupera biometano (immesso in rete o direttamente utilizzato per l’autotrazione), energia elettrica e/o calore per gli utilizzi interni, compost di qualità per utilizzo agronomico e in alcuni casi anche CO2 per scopi alimentari. In quest’ultima situazione il sito impiantistico diventa peraltro una struttura ad emissioni negative di gas serra!

Relativamente ai rifiuti di imballaggio, il loro recupero complessivo si è assestato nel 2021 all’82,6% dell’immesso al consumo. Gli obiettivi previsti per il 2025 sono già stati raggiunti con anticipo per tutti i diversi materiali, ad eccezione delle plastiche. È dunque su queste ultime che devono essere concentrati i principali sforzi dei prossimi anni, sia per incrementare ulteriormente i livelli di intercettazione (anche mediante l’eventuale introduzione di sistemi a deposito cauzionale), che per aumentare il livello di riciclo, strettamente legato, va da sé, alla riciclabilità dei manufatti immessi al consumo.

Su questo aspetto la recente introduzione e il rafforzamento del contributo ambientale differenziato (per plastiche e carta) dovrebbe contribuire a promuovere maggiori sforzi in termini di ecodesign e di progettazione per la riciclabilità. Relativamente all’impiantistica di selezione, che risulta sotto forte pressione a causa della necessità di aumentare i tassi di riciclo a fronte di un materiale in ingresso sempre più eterogeneo, lo stato dell’arte prevede l’utilizzo di sensori ottici per il riconoscimento automatico delle diverse tipologie di polimeri dal flusso di plastiche miste, che devono essere separati per poterne garantire il successivo riciclo. Siccome i limiti fisiologici nell’efficienza di queste apparecchiature richiede un successivo intervento di selezione manuale da parte di operatori, gli sviluppi più recenti stanno guardando con sempre maggiore attenzione a tecniche automatiche di smistamento basate su riconoscimento di immagini, intelligenza artificiale, machine learning. Cosa che consentirebbe di sostituire tale componente di selezione manuale ancora presente, ma fortemente sotto stress a causa della ripetitività del lavoro e delle talvolta difficili condizioni igieniche in cui viene svolto.

Mentre per affrontare tutti quei flussi che, sebbene differenziati, ancora oggi non riescono ad essere riciclati e pertanto sono avviati a recupero energetico, grandi aspettative sono riposte su nuovi processi di riciclo chimico. Questi ultimi, riportando il materiale alle condizioni originarie di monomero, dovrebbero consentire di chiudere il ciclo di un materiale così versatile ma altrettanto complesso come la plastica.