Cosa motiva e spinge le persone a costituire una comunità energetica, al di là della questione economica, che esiste e che certamente non può essere sottaciuta? La questione che mi è stata posta, non solo è quanto mai attuale ma è il crinale sul quale si gioca la capacità della pubblica amministrazione e del privato di offrire soluzioni che i cittadini possano percepire non come qualcosa di imposto dall’alto, ma che li veda protagonisti e artefici del loro destino e di quella di una intera comunità. Che li trasformi, appunto, in cittadini energetici, e che in modo attivo e consapevole possano fare investimenti per la salvaguardia del loro portafoglio e al contempo della tutela dell’interesse ambientale collettivo.

Il 9 maggio, come è noto, sono state approvate dalla Camera una serie di mozioni in materia energetica nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, per valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale l’energia nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia. Le due questioni, apparentemente in contrasto, invece, sono parte di un’unica narrazione. Se infatti non si investe sulla capacità di aumentare la consapevolezza dei cittadini che devono farsi comunità, sarà impossibile detonare le tensioni trentennali sul tema del nucleare, così come sarà molto complicato aiutarli ad investire sulla costituzione delle comunità energetiche.

Non è un caso, ad esempio, che il tema delle comunità energetiche oggi sia molto più sentito a livello di piccoli paesi, dove non è solo più facile aggregare i cittadini, ma dove il senso di comunità è più radicato. Qui si riscontra anche una maggiore consapevolezza della necessità di tornare ad investire su di esso per ridare centralità e speranza alle persone, e attrarne di nuove.
Non bisogna sprecare questa straordinaria occasione. Parlare di energia in Italia, sia sotto il profilo infrastrutturale che di investimenti,  era praticamente impossibile.
Le contestazioni sul TAP agitate dalla politica in modo trasversale, o le prese di posizioni antiscientifiche sulla xylella, accadevano solo qualche anno fa. Oggi, l’energia è tornata con prepotenza nell’agenda collettiva e di ognuno di noi, e attivare strategie di ascolto e di comunicazione che possano aiutare le persone a comprendere quello che sta avvenendo diventa fondamentale se vogliamo trasformare le comunità in cittadinanza energetica.

A patto, però, che si semplifichi anche l’iter procedurale per agevolare gli investimenti dei cittadini, così come è accaduto ad esempio con le rinnovabili, in particolare per le procedure di autorizzazione inerenti ai parchi eolici offshore galleggianti localizzati in aree demaniali individuate come idonee.
In quel caso, con il dettato della nuova legge è stata prevista la centralizzazione decisionale a Palazzo Chigi.

Il governo Meloni, quindi, si è dato non un mero compito autorizzativo, piuttosto la responsabilità strategica di disegnare la nuova mappa della produzione italiana di energia da fonti rinnovabili in mare.  E la correlazione fra campi eolici galleggianti offshore e la nascita delle dodici Hydrogen Valley previste nel PNRR può essere un punto essenziale per dare concretezza alla strategia immaginata già con il governo Draghi. E stavolta tutto questo può avvenire soprattutto al Sud, dove i procedimenti amministrativi sono stati avviati dentro un quadro normativo più snello grazie al decreto energia e alla legislazione delle Zone Economiche Speciali.

Per una volta dismessa la sindrome NIMBY, potremmo cominciare a sperimentare la sindrome PIMBY, cioè Please in my back yard. E a trasformare comunità energetiche in cittadini energetici consapevoli.

 

Stefano Cianciotta è Docente di Geopolitica all’Università di Teramo e Ad della Finanziaria Regionale Abruzzese.